Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19282 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/07/2019, (ud. 05/04/2019, dep. 17/07/2019), n.19282

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16100-2018 proposto da:

P.F., R.F., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO 6, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

DI MONACO, rappresentati e difesi dall’avvocato ALESSANDRO

CIARROCCHI;

– ricorrenti –

Contro

MOTORS & CO. SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentate e difesa dall’avvocato CARLO

BUONGARZONE;

– Controricorrente –

avverso la sentenza n. 337/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 13/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TEDESCO

GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

P.F. e R.F. chiamavano in giudizio davanti al Tribunale di Macerata la Motor & C. s.r.l. (Motor), deducendo la sussistenza di un vizio di costruzione nell’autovettura dai medesimi acquistata presso la convenuta concessionaria.

Chiedevano, per quanto ancora interessa in questa sede, la condanna della concessionaria al risarcimento del danno.

Nella contumacia della convenuta, il tribunale accoglieva la domanda, condannano la Motor al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, della somma di Euro 9.107,02, oltre al pagamento delle spese di lite.

Impugnata la sentenza dalla Motor dinanzi alla Corte d’appello di Ancona, la stessa corte la riformava, così rigettando la domanda degli attori, cui imputava di non avere dato la prova del vizio di costruzione.

Rilevava la corte che la mancata costituzione della convenuta nel giudizio di primo grado precludeva l’operatività, ex art. 115 c.p.c., del principio di non contestazione e pertanto non attenuava l’onere probatorio a carico degli acquirenti.

Ciò posto essa rilevava che la perizia di parte, prodotta dinanzi al tribunale dagli acquirenti, costituiva semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio.

Quanto alle ulteriori istanze di prove, proposte nel corso del giudizio di primo grado, la corte rilevava che esse non erano state reiterate in sede di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado, dovendosi quindi intendere abbandonate.

Per la cassazione della sentenza presso la P.F. e R.F. hanno proposto ricorso affidato a un unico motivo.

La Motor & C. in liquidazione ha resistito con controricorso.

Con unico motivo di ricorso i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 2697 c.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

La corte d’appello non ha tenuto conto della copiosa documentazione che corroborava quanto sul piano probatorio già si poteva evincere dalla perizia di parte, in particolare non avrebbe considerato il doc. 14, il quale documentava che gli attori avevano proposto domanda di mediazione, cui la convenuta non aveva aderito non per ragioni di merito, ma eccependo il difetto di legittimazione passiva.

Si rileva che analoga contestazione la Motor aveva fatto costituendosi tardivamente con la comparsa conclusionale nel giudizio di primo grado.

La corte di merito ha omesso ogni motivazione in ordine ai documenti prodotti, che il giudice di primo grado aveva ritenuto sufficienti a giustificare l’accoglimento della domanda.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente possibilità di definizione nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In vista dell’adunanza i ricorrenti hanno depositato memoria.

Il ricorso è infondato.

La corte di merito ha ritenuto non sufficiente, ai fini della prova, la perizia di parte e rispetto a tale valutazione non si deduce la mancata considerazione di un fatto, principale o secondario, idoneo a giustificare una decisione diversa.

La parte si duole della mancata considerazione di un complesso di documenti (in particolare della corrispondenza inter partes precedente l’instaurazione del procedimento di mediazione), dei quali, però, non descrive minimamente il contenuto, là dove colui in sede di legittimità “denunci l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l’onere di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività” (Cass. n. 18506/2006; n. 21621/2007).

I ricorrenti insistono nel sostenere che, in fase stragiudiziale, la venditrice si sarebbe limitata a negare la propria legittimazione passiva, non aderendo per questa sola ragione alla mediazione.

Ma a tale rilievo deve replicarsi che esso, in ipotesi, descrive un comportamento tutt’altro che univoco nel senso dell’avvenuto riconoscimento del vizio nella sua materialità da parte della venditrice. Si ricorda che per fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve intendersi il fatto idoneo con certezza a determinare un diverso esito della lite (Cass., S.U., n. 8053/2014), mentre i ricorrenti indicano al più un mero indizio, che il giudice di merito avrebbe dovuto valutare nel complesso degli elementi acquisiti alla causa.

Ciò posto non resta che rimarcare che le considerazioni della corte d’appello sono in linea con la giurisprudenza di legittimità, sia per quanto riguarda la rilevanza della consulenza di parte, che di per sè è effettivamente priva di autonomo valore probatorio (Cass. n. 20347/2017; n. 13902/2013), sia per quanto riguarda il significato da attribuire alla contumacia, la quale non solo non solleva la controparte dall’onere della prova, ma neanche rappresenta un comportamento valutabile, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 1, per trarne argomenti di prova in danno del contumace (Cass. n. 14860/2013; n. 10947/2003), sia infine in ordine al fatto che le istanze istruttorie, non specificamente reiterate in sede di precisazione delle conclusioni, debbono ritenersi abbandonate (Cass. n. 5741/2019).

Il ricorso, pertanto, va rigettato, con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettaria nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 5 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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