Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19281 del 22/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/09/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 22/09/2011), n.19281

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20343-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’Avvocato VELLA GIUSEPPE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA

195, presso lo studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LALLI CLAUDIO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1142/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 20/07/2006 R.G.N. 2256/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega VELLA GIUSEPPE;

Udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 14/6 – 20/6/06 la Corte d’appello di Torino – sezione lavoro, pronunziando sull’impugnazione proposta dalla società Poste Italiane s.p.a nei confronti di C.F. avverso la sentenza n. 132/04 resa dal giudice del lavoro del Tribunale di Biella, accolse parzialmente il gravame e dichiarò la validità del termine apposto al contratto decorrente tra le parti dal 20/7/00, mentre dichiarò la nullità del termine apposto a quello decorrente dal 26/2/01 e, conseguentemente, accertò che tra le medesime parti era intercorso, a partire da quest’ultima data, un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, confermando nel resto la decisione di primo grado.

La Corte territoriale pervenne a tale decisione dopo aver ritenuto che era legittima l’apposizione del termine al primo contratto concluso per la causale della “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie” in relazione al periodo 20/7 – 30/9/00, mentre non lo era per il secondo contratto, stipulato per le esigenze di carattere straordinario conseguenti ai processi di riorganizzazione dell’ente di cui all’art. 25 del ccnl 11/1/2001 in relazione al periodo 26/2 – 31/5/01, non avendo la società postale fornito la prova della ricorrenza delle condizioni legittimanti il ricorso a quest’ultima specifica tipologia di contratto a termine.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la s.p.a Poste Italiane che affida l’impugnazione a tre motivi di censura. Resiste con controricorso il C.. Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione agli artt. 99, 112, 115, 414 e 420 c.p.c., art. 437 c.p.c., comma 2 e alla L. n. 230 del 1962, art. 3 nonchè l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), con formulazione del seguente quesito di diritto: “Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se sia affetta da ultrapetizione in violazione degli artt. 99, 112, 115, 414 e 434 c.p.c. e art. 437 c.p.c., comma 2, della L. n. 230 del 1962, art. 3 ovvero da omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio la sentenza di merito che prenda in considerazione ipotesi di nullità dei contratti stessi non dedotte dai ricorrenti, avuto riguardo alla particolare accentuazione dell’onere di allegazione, specificazione del principio di concentrazione e di immediatezza che si verifica nel rito del lavoro ed al principio di corrispondenza del chiesto con il pronunciato, e ciò anche a fronte della specifica eccezione sollevata dalla convenuta in merito alla delimitazione dell’oggetto del giudizio e alle preclusioni avversarie”.

La ricorrente spiega di riferirsi in particolare al fatto che la Corte territoriale ha decretato la nullità della clausola appositiva del termine anche per genericità della stessa, nonostante tale aspetto non fosse stato evidenziato dal lavoratore.

Il motivo è infondato: invero, dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata riflettente la accertata nullità della clausola temporale apposta al secondo contratto, non è dato evincere il lamentato vizio di ultrapetizione, posto che la Corte territoriale, dopo aver evidenziato che non emergeva alcun dato in ordine alla connessione tra la posizione del lavoratore e le eventuali esigenze di carattere straordinario collegate alla fase di ristrutturazione dell’ente, ha spiegato che i capitoli di prova articolati dalla società riguardavano in linea generale i vari aspetti del processo di riorganizzazione, ma non contenevano alcun puntuale riferimento alla posizione del C..

La rilevata genericità dei capitoli di prova delle Poste è stata dal giudice d’appello evidenziata a riscontro della accertata insussistenza della dimostrazione di un collegamento tra la singola posizione lavorativa del ricorrente e le esigenze di carattere straordinario che avevano mosso l’ente ad assumerlo con contratto a termine, non potendo la disamina della materia del contendere prescindere dalla necessità di operare un’attenta verifica della pertinenza delle allegazioni della resistente.

2. Col secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di contratti collettivi (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla L. n. 56 del 1987, art. 23 e all’art. 25 del CCNL 11.1.2001, nonchè la contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

Il quesito di diritto posto al riguardo è il seguente: “Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se costituisca violazione o falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 25 del ccnl 11.1.2001, ovvero contraddittoria e insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio ritenere che il richiamo ad “esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi” per giustificare l’apposizione del termine non sia sufficientemente specifico, soprattutto laddove tali esigenze siano sostanzialmente le stesse su tutto il territorio nazionale ed in ogni ambito produttivo.” 3. Col terzo motivo è, infine, lamentata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e all’art. 25 del ccnl 11.1.2001, oltre che la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss. (art. 360 c.p.c., n. 3) e l’omessa motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). Al riguardo si formula il seguente quesito di diritto: ” Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se costituisca violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 nonchè degli artt. 1362 e ss. c.c. ovvero violazione dell’art. 25 CCNL 2001, ovvero ancora omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, aver subordinato la legittimità del contratto a termine in oggetto alla dimostrazione della sussistenza del nesso eziologico tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze dedotte in contratto, anche con riferimento allo specifico ufficio di applicazione.” Osserva la Corte che la disamina del secondo e del terzo motivo presuppone necessariamente l’interpretazione delle disposizioni della contrattazione collettiva richiamata a sostegno delle relative censure, ma una tale operazione non è allo stato possibile non avendo la ricorrente provveduto a produrre il testo del contratto collettivo dell’11.1.2001, in spregio a quanto previsto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, con conseguente improcedibilità degli stessi motivi. Oltretutto, non può non rilevarsi che la produzione stessa del contratto collettivo non è nemmeno indicata tra gli atti annoverati in calce al presente ricorso, subito dopo le conclusioni.

Si è, infatti, statuito (Cass. sez. lav. n. 15495 del 2/7/2009) che “l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda – imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – non può dirsi soddisfatto con la trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il ricorrente si duole attraverso le censure alla sentenza impugnata, dovendosi ritenere che la produzione parziale di un documento sia non solamente incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui al citato D.Lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, ma contrasti con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dall’art. 1362 cod. civ. e segg. e, in ispecie, con la regola prevista dall’art. 1363 cod. civ., atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa.” Si è, altresì, precisato (Cass. sez. lav. Ordinanza n. 11614 del 13/5/2010) che “l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – è soddisfatto solo con il deposito da parte del ricorrente dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, senza che possa essere considerata sufficiente la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato effettuato il deposito di detti atti o siano state allegate per estratto le norme dei contratti collettivi. In tal caso, ove pure la S.C. rilevasse la presenza dei contratti e accordi collettivi nei fascicoli del giudizio di merito, in ogni caso non potrebbe procedere al loro esame, non essendo stati ritualmente depositati secondo la norma richiamata”, (conforme anche a Cass. sez. lav. n. 4373 del 23/2/2010).

Da ultimo le sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 20075 del 23/9/2010, hanno statuito espressamente che “l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella parte in cui onera i ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente impugni, con ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 420 bis c.p.c., comma 2, la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto od accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale. Ove, poi, la Corte ritenga di porre a fondamento della sua decisione una disposizione dell’accordo o contratto collettivo nazionale depositato dal ricorrente diversa da quelle indicate dalla parte, procedendo d’ufficio ad una interpretazione complessiva ex art. 1363 cod. civ. non riconducibile a quanto già dibattuto, trova applicazione, a garanzia dell’effettività del contraddittorio, l’art. 384 c.p.c., comma 3 (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 12), per cui la Corte riserva la decisione, assegnando con ordinanza al P.M. e alle parti un termine non inferiore a venti giorni e non superiore a sessanta dalla comunicazione per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla questione”.

Così risultato (inammissibile il motivo di ricorso, ne deriva che in ordine alle conseguenze economiche della nullità dell’apposizione del suddetto termine neppure potrebbe incidere in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010 n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010 al quale la ricorrente si richiama con la memoria depositata ex art. 378 c.p.c..

Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070). In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v. fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).

Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2500,00 per onorario e di Euro 40,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2011

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