Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19281 del 02/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 02/08/2017, (ud. 05/04/2017, dep.02/08/2017),  n. 19281

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14574/2011 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, ALLA VIA DEI

PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

M.P. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

VALADIER 36, presso lo studio dell’avvocato IOLANDA PICCININI, che

lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 527/2010 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 30/11/2010 R.G.N. 232/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2017 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato IOLANDA PICCININI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – La Corte di Appello di Brescia ha respinto l’appello proposto dal Ministero della Giustizia avverso la sentenza del Tribunale di Bergamo che, in parziale accoglimento della domanda formulata da M.P., aveva dichiarato il diritto della ricorrente ad essere inquadrata nel ruolo unico dirigenziale, seconda fascia, con decorrenza dal 1 gennaio 2005 ed aveva condannato il Ministero al pagamento delle differenze retributive derivanti dal nuovo inquadramento.

2 – La Corte territoriale ha premesso che la M., dopo aver prestato servizio per più di tre anni in qualità di segretario comunale, aveva usufruito della mobilità prevista dal D.P.R. n. 465 del 1997, art. 18, comma 6, ed era transitata con decorrenza dal 14.8.1998 nei ruoli del Ministero della Giustizia, posizione economica C3, poi C3 super.

In punto di diritto la Corte ha ritenuto applicabile alla fattispecie la L. n. 311 del 2004 ed ha evidenziato che la norma, chiara nella sua formulazione letterale, richiede ai fini dell’inquadramento nel ruolo unico dirigenziale solo due presupposti: l’avere prestato servizio, in qualità di segretario comunale, per un periodo di almeno tre anni e l’essersi avvalso della facoltà prevista dall’art. 18 del richiamato D.P.R..

Ha aggiunto che la tesi, sostenuta dal Ministero appellante, della applicabilità della disposizione alle sole procedure di mobilità non ancora concluse, non considera il tenore della norma nella parte in cui fa riferimento ai “ruoli unici delle amministrazioni in cui (i segretari comunali o provinciali) prestano servizio alla data di entrata in vigore della presente legge”.

Infine ha evidenziato che il CCNL per il biennio economico 2000-2001 aveva riconosciuto la qualifica dirigenziale a tutti i segretari transitati alle dipendenze di altra amministrazione, sicchè la ratio della L. n. 311 del 2004, andava individuata nella volontà del legislatore di eliminare la ingiustificata disparità di trattamento fra gli inquadramenti avvenuti prima o dopo il 31 dicembre 2001.

3 – Il ricorso del Ministero della Giustizia domanda la cassazione della sentenza sulla base di un unico motivo. M.P. resiste con tempestivo controricorso illustrato da memorie ex art. 378 c.p.c. del 7.9.2016 e del 30.3.2017

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Il Ministero della Giustizia con l’unico motivo di ricorso denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 “violazione e/o falsa applicazione della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, commi 47, 48 e 49”. Evidenzia il ricorrente che il comma 49, valorizzato dalla Corte territoriale, richiama il “processo di mobilità di cui al comma 48” quest’ultimo chiaramente riferibile ai soli segretari comunali non ancora definitivamente inquadrati nei ruoli delle amministrazioni di assegnazione. Aggiunge che nessuna parte della disposizione fa riferimento ad una efficacia retroattiva della stessa, inapplicabile, quindi, alle situazioni ormai cristallizzate da tempo.

2 – E’ infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa della controricorrente in relazione alla asserita mancanza o insufficienza della esposizione dei fatti di causa.

L’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, risponde non ad una esigenza di mero formalismo, bensì a quella di consentire una conoscenza chiara dei fatti di causa, in modo da permettere alla Corte di Cassazione di intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato. Il requisito, quindi, è soddisfatto ogniqualvolta l’atto fornisca gli elementi indispensabili per una precisa cognizione della vicenda processuale, sicchè la valutazione sulla completezza della esposizione dei fatti contenuta nell’atto introduttivo deve essere effettuata considerando il fine che il requisito stesso mira ad assicurare e contemperando la esigenza di fornire alla Corte tutti gli elementi necessari ai fini della decisione con quella della necessaria sinteticità degli atti processuali.

Ne discende che, come evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte, la “esposizione sommaria dei fatti di causa” non richiede nè la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali nè che “si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale s’è articolata” (così in motivazione Cass. S.U. 11.4.2012 n. 5698), essendo sufficiente una sintesi della vicenda “funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure mosse alla sentenza impugnata”. Le stesse Sezioni Unite hanno anche significativamente aggiunto che “il ricorso non può dirsi inammissibile quand’anche difetti una parte formalmente dedicata all’esposizione sommaria del fatto, se l’esposizione dei motivi sia di per sè autosufficiente e consenta di cogliere gli aspetti funzionalmente utili della vicenda sottostante al ricorso stesso”. Nel caso di specie, poichè si discute unicamente della interpretazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 48 e 49 e della sua applicabilità anche alle procedure di mobilità già concluse alla data di entrata in vigore della nuova normativa, le sintetiche indicazioni contenute nella narrazione del “fatto” risultano sufficienti al raggiungimento dello scopo.

3 – Il ricorso è fondato.

La questione – presentando il requisito di particolare importanza previsto dall’art. 374 c.p.c., comma 2 – è stata recentemente decisa dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenze nn. 784, 785, 786/2016).

Le Sezioni Unite, effettuando una approfondita ricostruzione del quadro normativo e contrattuale che ha regolato e regola le procedure di mobilità dei segretari comunali (disciplinate, inizialmente, dal D.P.R. n. 465 del 1997, artt. 18 e 19 e successivamente dall’art. 32 del contratto collettivo nazionale di lavoro dei segretari comunali e provinciali 1998-2001, dalla L. 27 luglio 2004, n. 186, che abrogò il D.P.R. n. 465 del 1997, art. 18, dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, interpretata autenticamente dalla L. 246 del 2005) hanno ritenuto che la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49 – che disciplina la possibilità del reinquadramento e dell’accesso alla dirigenza a seguito del passaggio ad altra P.A. – non si applica, alla luce di una interpretazione letterale, sistematica e teleologica della norma, ai segretari comunali o provinciali trasferiti per effetto di procedure di mobilità già esaurite alla data di entrata in vigore della citata legge. La disposizione normativa si riferisce, invero, ai soli processi di mobilità eventuali e futuri, dovendosi ritenere che una diversa interpretazione sarebbe lesiva del principio costituzionale dell’accesso alla P.A. per concorso pubblico, applicabile anche alla dirigenza.

Il suddetto circoscritto ambito di applicazione viene ricavato, dalle Sezioni Unite, non solo da elementi testuali della disposizione normativa (quali: l’incipit del comma 49, che rinvia ai processi di mobilità disciplinati dal comma 48; lo stesso comma 48, collegato al blocco delle assunzioni previsto dal comma 47, che detta una disciplina derogatoria rispetto al contratto collettivo di settore 1998-2001 e rivolta al futuro, in quanto delimitata dalle regole che le parti sociali, in sede di rinnovo del contratto collettivo, vorranno adottare; la previsione del limite del contingente di spesa contenuto nel comma 49) ma altresì da una interpretazione sistematica e teleologica della normativa del 2004, che si colloca nell’ambito di un graduale e costante processo di limitazione dell’accesso alla dirigenza delineato sia dal legislatore che dalle parti sociali. Invero, la regola dettata dal D.P.R. n. 465 del 1997, prevedeva – in caso di passaggio ad altra P.A. – l’attribuzione della qualifica di provenienza; il c.c.n.l. 1998-2001 dei segretari comunali e provinciali ha, da una parte, rivisto il sistema di classificazione e, dall’altra, consentito l’accesso alla dirigenza solamente alle qualifiche più elevate; la L. n. 186 del 2004, ha uniformato la mobilità dei segretari comunali e provinciali alla disciplina generale sulla mobilità dettata dal T.U. sul pubblico impiego (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30); la L. n. 311 del 2004, interpretata autenticamente dalla L. n. 246 del 2005, ha apportato ulteriori modifiche in senso riduttivo, prevedendo che anche per i segretari comunali e provinciali delle qualifiche più elevate l’accesso alla dirigenza non costituisse più la regola. Interpretare, pertanto, il comma 49 della L. n. 311 del 2004, art. 1, in maniera così estensiva da imporre una generalizzazione dell’accesso alla dirigenza sulla base dei due requisiti ivi previsti (servizio di segretario svolto per almeno tre anni ed esercizio dell’opzione per la mobilità prevista dal D.P.R. n. 465 del 1997) sarebbe fortemente contraddittorio con l’evoluzione normativa e contrattuale riscontrata in materia di mobilità dei segretari comunali e provinciali. Nè può correttamente invocarsi il principio di conservazione affermato dall’art. 1367 c.c., criterio sussidiario e concernente l’interpretazione degli atti negoziali (e non normativi), anche a fronte della sussistenza di casi, seppur modesti, di procedure di mobilità in atto alla data dell’entrata in vigore della L. n. 311 del 2004.

4 – Il Collegio intende dare continuità all’orientamento giurisprudenziale espresso nelle decisioni sopra richiamate, che hanno ribadito le conclusioni alle quali questa Sezione era già pervenuta con le sentenze n. 165/2014, 1047/2014, 1324/2014, orientamento ripreso dalle recenti ordinanze nn. 16521, 12035, 12034, 12033 e 7620 del 2016.

5 – Le argomentazioni sviluppate dalle Sezioni Unite resistono alle osservazioni critiche della controricorrente, che nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c., quanto all’esegesi della norma ha fatto leva sul tenore letterale della stessa, non decisivo per le ragioni evidenziate nel punto che precede.

Parimenti non può essere invocato il processo in atto di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (Legge Delega 7 agosto 2015, n. 124, non seguita dal decreto delegato sulla dirigenza; emendamenti allo schema di decreto legislativo di modifica al T.U. n. 165 del 2001), che prevede una rilevante riorganizzazione dell’amministrazione statale centrale e periferica e, in particolare, interventi sia in materia di dirigenza pubblica sia sulla posizione dei segretari comunali e provinciali.

Il quadro normativo attualmente vigente non offre elementi che incidono sull’interpretazione seguita, trattandosi – alla luce dei principi di delega espressi – di modifica e rimodellazione di ampio respiro, che concerne tutti gli assetti del personale della P.A. (con eventuale delega a unificare, sopprimere ovvero istituire ruoli, gradi e qualifiche e rideterminare dotazioni organiche), secondo un criterio di semplificazione e di riconoscimento del merito e della professionalità.

6 – L’eccezione di illegittimità costituzionale della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49, in riferimento all’art. 3 Cost., è manifestamente infondata, oltre che per le ragioni già indicate dalle Sezioni Unite (cfr., punti 60-64 sentenza n. 784, 59-62 sentenza n. 785, 60-64 sentenza n. 786), per il principio costantemente affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui “lo stesso naturale fluire del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche” (cfr. fra le tante Corte Cost. nn. 61/2010, 170/2009, 94/2009, 341/2007) sicchè non è ipotizzabile ingiustificata disparità di trattamento a fronte di una disciplina differenziata applicata alla stessa categoria di soggetti in momenti temporali diversi.

7 – Ragioni analoghe portano ad escludere l’ipotizzato contrasto con il principio di non discriminazione sancito dall’art. 14 della CEDU, giacchè, anche a voler prescindere dalla questione dell’applicabilità della norma nelle sole ipotesi in cui vengano in rilievo le altre norme sostanziali della Convenzione preposte a tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (fra le più recenti Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, p. 54; 7 febbraio 2013, Fabris contro Francia, p. 47; 22 marzo 2012, Konstantin Markin contro Russia), la giurisprudenza della Corte è costante nell’affermare che una disparità di trattamento è discriminatoria solo qualora “manchi di una giustificazione oggettiva e ragionevole”, “quando non persegua un fine legittimo” ovvero non sussista “un rapporto di ragionevole proporzionalità tra i mezzi impiegati ed il fine perseguito” (Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, p. 59; 25 ottobre 2005, Niedzwiecki contro Germania; 27 marzo 1998, Petrovic contro Austria, p. 30; 1 febbraio 2000, Mazurek contro Francia, p. 46 e 48).

Dette condizioni difettano nella fattispecie perchè l’inquadramento della controricorrente è stato disposto nel rispetto della normativa all’epoca vigente, in relazione alla quale il diritto di opzione era stato esercitato, per cui nessuna compromissione dei diritti riconosciuti dalla Carta può essere ravvisata, posto che il trattamento più favorevole per gli appartenenti alla categoria, invocato quale termine di comparazione, è sopravvenuto in un momento in cui la procedura di mobilità si era conclusa, il che esclude ogni profilo discriminatorio della disciplina.

8 – Non può trovare accoglimento la richiesta di rinvio del procedimento in attesa di interventi legislativi, che parte resistente prospetta essere in corso, intesi a definire la posizione dei segretari comunali interessati dal contenzioso in esame, poichè le circostanze dedotte a sostegno della richiesta non fanno apparire certa nè imminente la risoluzione della questione.

Al riguardo giova pure ricordare che il principio della ragionevole durata del processo, che ha rilievo costituzionale (art. 111 Cost., comma 2, seconda parte), impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare attività processuali non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto del principio del contraddittorio, da garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo, in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a esplicare i propri effetti (cfr. Cass. n. 3189 del 2012; conf. Cass. 20422 del 2012). Ne consegue che al giudice è impedito di adottare provvedimenti che, senza utilità per il diritto di difesa o per il rispetto del contraddittorio, ritardino inutilmente la definizione del giudizio, imponendogli un particolare rigore nel bilanciamento delle opposte ragioni, soprattutto nel giudizio di cassazione, caratterizzato da impulso d’ufficio (cfr. sent. n. 3189/12 cit.).

9 – In accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la controversia deve essere decisa nel merito con il rigetto, in base al principio di diritto su enunciato, della domanda introduttiva del giudizio.

10 – Le ragioni che hanno portato all’intervento delle Sezioni unite, giustificano la compensazione delle spese dell’intero processo.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originaria domanda proposta da M.P..

Compensa integralmente fra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2017

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