Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19280 del 22/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/09/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 22/09/2011), n.19280

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8558-2010 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.A., B.C., elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA GIORGIO SCALIA 12, presso lo studio dell’avvocato GATTI

MARCO, rappresentati e difesi dall’avvocato MASSIMO FAUGNO, giusta

delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2162/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/03/2009 R.G.N. 10980/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO LUIGI ;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto per A. e

inammissibilità per B..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 12/3/08 – 23/3/09 la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento dell’impugnazione proposta da A.A., B.C. e C.F. avverso la sentenza del 29/9/04 del giudice del lavoro del Tribunale di Roma, dichiarò la nullità del termine apposto ai contratti intercorsi tra gli appellanti e la società Poste Italiane s.p.a. ed accertò che tra le parti sussisteva un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dall’8/6/99 per la A. e dal 2/10/00 per la B. ed il C., condannando la società appellata al risarcimento del danno a decorrere dalla costituzione in mora del 17/3/03 e nei limiti di un triennio dalla cessazione di fatto del rapporto, cioè fino al 30/10/04, oltre che agli accessori di legge, mentre compensò per l’intero le spese del giudizio. La Corte d’appello addivenne a tale decisione dopo aver escluso che i rapporti in esame potessero essersi risolti per mutuo consenso e dopo aver accertato che l’apposizione del termine era avvenuta in difetto di contrattazione collettiva autorizzatoria, in quanto gli stessi erano stati stipulati, ai sensi dell’art. 8 del ccnl del 26/11/94, al di fuori dei limiti temporali previsti dagli accordi integrativi del 25/9/97 e del 16/1/98.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la società Poste Italiane s.p.a nei confronti della A. e della B., affidando l’impugnazione a due motivi di censura.

Resistono con controricorso le intimate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Osserva la Corte che successivamente al deposito del ricorso B. C. e la società Poste Italiane s.p.a. hanno conciliato la lite come da copia del verbale di conciliazione in sede sindacale del 17 gennaio 2011, depositato in atti, dal quale emerge la rinunzia della lavoratrice agli effetti giuridici della sentenza di riammissione in servizio e l’accettazione delle modalità e dei termini di riammissione a suo tempo adottati dalla società con rinunzia ad ogni altro diritto o credito, anche risarcitorio, il tutto con accettazione della società alle rinunce formulate dalla lavoratrice.

All’udienza odierna, in cui sono comparsi i difensori delle parti, il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Deve osservarsi che con il prodotto verbale di conciliazione le parti hanno definito esaurientemente la controversia dedotta in giudizio, con la previsione della natura transattiva e novativa del suddetto accordo; nel contempo le parti hanno anche puntualmente definito gli aspetti economici dell’intera vicenda processuale specificatamente indicati nello stesso verbale con riferimento alle somme riconosciute alla lavoratrice e a quelle che quest’ultima si è impegnata a restituire in quanto ricevute in eccesso rispetto agli importi concordati. Tale definizione in sede stragiudiziale della controversia comporta la cessazione della materia del contendere e di conseguenza la dichiarazione della sopravvenuta inammissibilità del ricorso per cassazione per difetto di interesse. Nel rispetto della volontà delle parti espressa in sede di conciliazione si mantiene ferma la regolazione delle spese dei gradi di merito e si dispone la compensazione delle spese del presente giudizio.

Resta, quindi, da operare la disamina delle censure proposte dalla ricorrente nei confronti di A.A..

1. Col primo motivo è denunziata la violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 dell’art. 8 ccnl 26/11/94, nonchè degli accordi sindacali del 25/9/97, del 16/1/98, del 27/4/98, del 2/7/98, del 24/5/99 e del 18/1/01 in connessione con l’art. 1362 c.c. e ss. (art. 360 c.p.c., n. 3) con la formulazione dei seguenti quesiti:

a) “Dica la Suprema Corte se in applicazione dei principi che regolano la successione dei contratti collettivi nel tempo, in termini di efficacia e validità, ad un accordo collettivo che integra il contratto collettivo con riguardo alla introduzione di una nuova ed ulteriore ipotesi di legittimo ricorso alla stipulazione a termine, deve riconoscersi valenza ed efficacia, anche temporale, pari al contratto collettivo di cui costituisce integrazione (nel caso di specie l’accordo integrativo del ccnl 26/11/94, del 25/9/97, introduttivo di una ulteriore ipotesi di legittima apposizione del termine, in quanto non prevedente nel suo contenuto alcun termine finale di validità, assumeva la stessa efficacia temporale del ccnl che ha integrato)”;

b) “Dica la Suprema Corte se nell’interpretare un accordo collettivo si deve tener conto del significato letterale delle espressioni in esso utilizzate dalle parti e del comportamento complessivo da esse tenuto anche in epoca successiva alla sua stipulazione (nel caso di specie gli accordi cosiddetti attuativi, successivi alla stipulazione dell’accordo sindacale integrativo dell’art. 8 ccnl 26/11/94, del 25/9/97 e, in particolare, degli accordi del 18/1/98, del 27/4/98, del 2/7/98 e del 18/1/01, poichè in esse le parti hanno espressamente dichiarato che “si danno atto” del permanere fino ad una certa data delle esigenze, correlate al processo di ristrutturazione in corso, legittimanti la stipula di contratti a termine ai sensi dell’accordo dei 25/9/97, costituiscono atti con funzione meramente ricognitiva della permanenza delle esigenze sottese alla riconosciuta necessità di stipulare ulteriori contratti a termine e non pongono nuovi limiti temporali alla facoltà di effettuare assunzioni con l’apposizione di un termine alla durata del contratto)”.

c) ” Dica la Suprema Corte se gli accordi ed i verbali intervenuti tra le parti successivamente al 25/9/1997 e sino al 18/1/2001, non avevano natura negoziale bensì meramente ricognitiva del fenomeno della ristrutturazione e riorganizzazione aziendale in atto e della necessità di stipulare o meno ulteriori contratti a termine.” d) ” Dica la Suprema Corte se i termini individuati negli accordi successivi a quello del 25/9/1997 non si riferiscono alla scadenza dell’autorizzazione a stipulare contratti a termine ma alla durata delle assunzioni, una volta accertata la persistenza delle esigenze riorganizzative di cui all’accordo.” e) ” Dica la Suprema Corte se la posizione giuridica attiva affermata in giudizio meritevole di tutela può definirsi “diritto quesito” e quindi indisponibile da parte degli agenti contrattuali anche qualora l’accertamento preliminare della sua esistenza non sia stata ancora oggetto di verifica giudiziale per il tramite di sentenza passata in giudicato.” 2. Col secondo motivo si deduce l’omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) contestandosi, in particolare, la ravvisata esistenza del limite temporale del 30/4/98 per il ricorso al tipo di contratto a termine di cui ci si occupa. Si sostiene, in sintesi, che il dato letterale non consentirebbe la soluzione affermata dalla Corte territoriale, in quanto solo l’accordo del 25/9/97 integrava il ccnl del 1994, mentre i successivi accordi attuativi si limitavano a dar atto della circostanza che fino ad una certa data sussisteva una delle ragioni previste dal medesimo accordo del 25/9/97 per la stipula dei contratti a termine e non alle altre due che, quindi, non potevano considerarsi limitate temporalmente; in definitiva tali accordi attuativi davano atto della situazione con riferimento all’art. 8 del ccnl del 1994 come integrato da quello del 1997, ma non contenevano dichiarazioni integrative o modificative di tale disciplina.

Osserva la Corte che i due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto comportano una disamina complessiva della questione della legittimità o meno del ricorso alla tipologia del contratto a termine di cui trattasi con riferimento all’epoca in cui ciò avvenne alla luce delle disposizioni collettive richiamate.

Orbene, la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto intercorso tra la A. e la società Poste Italiane s.p.a. è stato stipulato, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane” – ai sensi dell’art. 8 del ccnl del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998, vale a dire per il periodo 8.6.1999-30.10.1999.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto “de quo”. Al riguardo, sulla scia della pronunzia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588), è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo), la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del ccnl. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr. Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703), va, quindi, confermata la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto “de quo”, risultando superfluo l’esame di ogni altra censura al riguardo.

I motivi di censura formulati dalla ricorrente sono, pertanto, infondati. Ne consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno poste a suo carico, con loro attribuzione al difensore antistatario della A., avv. Massimo Faugno, nella misura liquidata come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile nei confronti di B. C.. Spese compensate.

Rigetta il ricorso nei confronti di A.A. e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio in Euro 2500,00 per onorario, Euro 15,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali con attribuzione all’avv. Faugno.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2011

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