Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19279 del 16/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/09/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 16/09/2020), n.19279

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Nella causa iscritta al N. 24793/2018 R.G. promossa da:

CLEANPOWER SOGLIO S.R.L., (già Cleanpower S.C.p.A.) rappresentata e

difesa dagli Avv.ti MASSIMILIANO LEONETTI del Foro di Venezia e

Giuseppe Marini del Foro di Roma, elett.te dom.ta presso lo studio

del secondo in Roma, Via di Villa Sacchetti n. 9, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, C.F. (OMISSIS), rappresentata e

difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

Sez. Stacc. Di Latina n. 389/18/18, depositata il 25 gennaio 2018,

asserita mente non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27 novembre 2019

dal Cons. Luigi Nocella.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La s.c.p.a. Cleanpower proponeva innanzi alla CTP di Frosinone ricorso avverso l’avviso di pagamento N. (OMISSIS), e l’avviso irrogazione sanzioni N. (OMISSIS), notificati il 4.04.2014, con i quali l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Frosinone, non riconoscendo alla contribuente il diritto all’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 52, lett. b, comma 3 aveva richiesto il pagamento delle accise su energia elettrica non versate e relativi interessi per le annualità 2010 e 2011, ed aveva irrogato le sanzioni pari al 30% dell’imposta per le medesime annualità arretrate; in particolare la Società ricorrente aveva dedotto di possedere i requisiti per beneficiare di detta agevolazione, in quanto autoproduttore, secondo la definizione contenuta nel D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2 dell’energia elettrica mediante fonti rinnovabili ceduta in parte ad altre società consorziate, come tale riconosciuta in molti provvedimenti della stessa Agenzia delle Dogane; sotto altro profilo aveva eccepito violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 2 ed 11 poichè essa contribuente si era attenuta alle prescrizioni rese da diverse articolazioni dell’Agenzia in sede di rilascio delle licenze di esercizio di impianti diversi; inoltre lamentava eccesso di potere per l’irrogazione delle sanzioni, difetto di legittimazione passiva, carenza di motivazione ed erronea interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1995, artt. 52 e 53.

All’esito del giudizio di I grado, nel quale l’Agenzia si era costituita chiedendo il rigetto dell’impugnazione, la CTP adita, con sentenza n. 371/03/2016, respinte le questioni preliminari di merito, annullava gli atti impugnati, ritenendo che la Cleanpower potesse usufruire dell’esenzione prevista dai citati artt. 52 e 53, dovendo considerarsi le Società acquirenti dell’energia elettrica con essa consorziate autoproduttori individuali alla stregua della contribuente medesima, e quindi autoconsumatrici dell’energia da questa fornita.

Su appello dell’Agenzia, la CTR del Lazio – Sez. Stacc. Di Latina, con la pronuncia oggetto della presente impugnazione, ha riformato parzialmente la sentenza appellata, dichiarando non dovute le sole sanzioni irrogate e gli interessi e compensando le spese di lite.

In particolare il giudice d’appello, per quanto di residuo rilievo in questo giudizio, sulle principali questioni sollevate dagli appellanti ha statuito: a) circa il diritto della Società all’esenzione dalle accise sull’energia elettrica fornita ai terzi consorziati, il Collegio ha premesso che lo stesso compete al soggetto autoproduttore ed autoconsumatore dell’energia prodotta, e che la prima nozione, necessaria a definire una deroga eccezionale alla disciplina tributaria generale del settore, non potesse essere ricavata da normativa concernente altro settore di disciplina; laddove la successiva L. 17 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 911 confermerebbe che soltanto dalla sua entrata in vigore l’esenzione sarebbe stata estesa ai consumi delle società consortili, suffragando ulteriormente l’orientamento espresso da Cass. n. 23529 del 2008 e n. 8293 del 2014; b) in ordine all’eccepita violazione dei principi di buona fede e di affidamento, pur manifestando condivisione, in via generale, delle considerazioni in virtù delle quali la CTP aveva ritenuto che la nota n. 4911/V sulla quale la Cleanpower aveva fondato il proprio affidamento riguardasse tutt’altra questione che l’applicabilità dell’esenzione alle cessioni a soci dei consorzi e che comunque nella specie non vi fosse stata risposta ad interpello L. n. 212 del 2000, ex art. 11 aveva poi, anche in parziale accoglimento dell’appello incidentale della Società, che l’affidamento del contribuente in una risposta scritta dell’Amministrazione fosse rilevante, sia pure al solo fine di escludere la debenza degli interessi e l’assoggettamento a sanzioni, prendendo atto che la Cleanpower aveva inteso seguire indicazioni rese da articolazione territoriale dell’Agenzia delle Dogane, ancorchè diversa da quella di Frosinone.

La S.c.p.A. Cleanpower Soglio ricorre per la cassazione di tale sentenza, con atto notificato il 25.07.2018 ed articolato su due motivi.

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha notificato e depositato controricorso.

Nella camera di consiglio del 27.11.2019 la causa, all’esito della relazione del Cons. Luigi Nocella, è stata decisa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Prima di procedere all’esame dei motivi di ricorso, appare utile una rapida ricognizione della normativa applicabile ratione temporis alla fattispecie, anche a seguito delle modifiche al D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico accise – TUA) conseguenti alla attuazione, con D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 26 e a far data dal 01/06/2007, della direttiva n. 2003/96/CE del 27 ottobre 2003, che ha ristrutturato il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità.

1.1. Ai sensi dell’art. 52, comma 1, TUA “l’energia elettrica (codice (OMISSIS)) è sottoposta ad accisa al momento della fornitura ai consumatori finali ovvero al momento del consumo per l’energia elettrica prodotta per uso proprio”.

1.2. Obbligati al pagamento dell’accisa sono, tra gli altri, anche “gli esercenti le officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio” (art. 53, comma 1, lett. b), TUA), purchè non esclusi dal pagamento dell’imposta ai sensi dell’art. 52, comma 2, TUA. E, per quanto interessa in questa sede, non è sottoposta ad accisa soltanto l’energia elettrica “prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza non superiore a 20 kW” (art. 52, comma 2, lett. a), TUA).

1.3. L’officina di produzione è “costituita dal complesso degli apparati di produzione, accumulazione, trasformazione e distribuzione dell’energia elettrica esercitati da una medesima ditta, anche quando gli apparati sono collocati in luoghi distinti da quelli in cui si trovano gli apparati di produzione, pur se ubicati in comuni diversi” (art. 54, comma 1, TUA).

1.4. I soggetti obbligati al pagamento delle accise e, in particolare, gli esercenti officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio, “hanno l’obbligo di denunciare preventivamente la propria attività all’Ufficio dell’Agenzia delle dogane competente per territorio e di dichiarare ogni variazione (…)” (art. 53, comma 4, TUA). A seguito della denuncia, l’Ufficio competente, verificata la sussistenza di tutte le condizioni previste dalla legge ed effettuati i necessari controlli, rilascia alle officine di produzione di energia elettrica una licenza di esercizio (art. 53, comma 7, TUA) e queste ultime sono tenute a presentare, entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello cui la dichiarazione si riferisce, “una dichiarazione di consumo annuale, contenente, (…), tutti gli elementi necessari per l’accertamento del debito d’imposta relativo ad ogni mese solare, nonchè l’energia elettrica prodotta, prelevata o immessa nella rete di trasmissione o distribuzione” (art. 53, commi 8 e 9, TUA).

1.5. Infine, ai sensi dell’art. 52, comma 3, lett. b), TUA è esentata da accise l’energia elettrica “prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kW, consumata dalle imprese di autoproduzione in locali e luoghi diversi dalle abitazioni”.

1.6. La formulazione della disposizione riprende, sostanzialmente, il testo della L. 13 maggio 1999, n. 133, art. 10, comma 6, che, con riferimento alle addizionali erariali, così recita: “Al fine di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di cui al Protocollo sui cambiamenti climatici, adottato a Kyoto il 10 dicembre 1997, l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, consumata dalle imprese di autoproduzione e per qualsiasi uso in locali e luoghi diversi dalle abitazioni è esclusa dall’applicazione delle addizionali erariali (…)”. Le menzionate addizionali erariali sono state poi abrogate dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 28, comma 1, e nella nuova formulazione dell’art. 52 TUA, risultante alla novella di cui al D.Lgs. n. 26 del 2007, sono state inserite “tutte le agevolazioni già previste per l’addizionale erariale sull’energia elettrica” (L. n. 388 del 2000, art. 28, comma 3).

1.7. Va, infine, ricordato che, il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, attuativo della direttiva n. 96/92/CE del 19 dicembre 1996, concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, stabilisce che, agli effetti del menzionato decreto, “Autoproduttore è la persona fisica o giuridica che produce energia elettrica e la utilizza in misura non inferiore al 70% annuo per uso proprio ovvero per uso delle società controllate, della società controllante e delle società controllate dalla medesima controllante, nonchè per uso dei soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui alla L. 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 4, n. 8, degli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili e per gli usi di fornitura autorizzati nei siti industriali anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

2. Dalla lettura coordinata delle su riportate disposizioni si evince che, ai fini della presente controversia, tutte le officine di produzione di energia elettrica per uso proprio sono soggetti obbligati al pagamento delle accise e devono denunciare preventivamente la propria attività, ottenere il rilascio di una licenza di esercizio e depositare annualmente una dichiarazione di consumo.

2.1. Sono, dunque, soggetti obbligati al pagamento delle accise anche gli autoproduttori indicati dal D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, e, specificamente, quei soggetti che producono energia elettrica e la utilizzano in misura non inferiore al settanta per cento annuo per uso proprio ovvero per uso degli appartenenti ai consorzi o alle società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili.

2.2. Invero, sono esentati dal pagamento delle accise unicamente le officine di produzione che producono energia elettrica per uso proprio a condizione che: a) la produzione avvenga con impianti azionati da fonti rinnovabili; b) detti impianti abbiano una potenza disponibile superiore a 20 kw; c) l’energia autoprodotta venga anche autoconsumata per usi differenti da quello abitativo.

3. Ciò premesso, appare opportuno esaminare il primo motivo,

concernente l’esatta individuazione ed interpretazione della disciplina invocata in tema di esenzione all’autoproduttore.

3.1. Con esso, all’esito di una articolata disamina dell’evoluzione normativa in materia, si deduce violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 52, comma 3, lett. b in relazione al D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2 (c.d. decreto Bersani), per avere erroneamente affermato l’inapplicabilità alla fattispecie di esenzione invocata (art. 52 TUA) della nozione di autoproduttore fornita dal D.Lgs. n. 79 del 1999, coevo art. 2 definizione peraltro non contenuta nel medesimo TUA, laddove i due testi legislativi regolerebbero comunque sotto diversi profili il medesimo settore economico; evidenzia che tale interpretazione sarebbe coerente, oltre che con l’originaria sottrazione al monopolio ENEL delle imprese di autoproduzione con autoconsumo superiore al 70% di cui alla L. 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 4, comma 6 e con la completa liberalizzazione del mercato dell’energia da fonti rinnovabili attuata con la L. 9 gennaio 1991, n. 9, artt. 22 e 23 anche con le finalità di riduzione dell’inquinamento perseguite dalla L. n. 133 del 1999 e che il convincimento dell’estensione dell’esenzione dall’addizionale erariale, poi trasformatasi in imposta di consumo ed infine in accisa, anche ai consumi delle imprese di autoproduzione era assolutamente condiviso da tutte le Agenzie delle Dogane ed era stato manifestato esplicitamente da diverse determinazioni delle Agenzie Regionali interpellate (che vengono richiamate a pagg.22-23 del ricorso).

L’Agenzia replica evidenziando che dagli accertamenti effettuati la Cleanpower non è risultata nè autoproduttore nè autoconsumatore di energia, che le due nozioni di “autoproduttore” ricavabili dal TUA e dal c.d. decreto Bersani sono autonome ed applicabili nei rispettivi ambiti di disciplina, come esplicitato in entrambi i testi normativi; e sono anche intrinsecamente differenti, poichè il secondo richiede una soglia di autoconsumo assente nel primo. Infine ricorda (invocando il precedente specifico di Cass. sez. V 12.09.2008 n. 23529) che, trattandosi di norma speciale di deroga agevolativa, l’art. 52 non tollera interpretazioni estensive o applicazioni analogiche, secondo consolidatissimo orientamento di questa Corte, e deve anzi essere interpretata in senso restrittivo.

3.2. Il motivo è infondato.

La CTR, con coerente motivazione, ha ben individuato contenuto e valenza del decreto Bersani, evidenziando che dal suo articolato non emerge alcun riferimento alla disciplina tributaria delle accise, ed ha correttamente affermato che il concetto di autoproduttore di cui al D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2 non è estensibile alla materia delle accise e non può essere scisso, ai fini dell’esenzione controversa, da quello di autoconsumatore dell’energia rinnovabile autoprodotta.

3.3. Alla luce delle considerazioni già anticipate ai p.p. 2 ss., la decisione della CTR si rivela sostanzialmente in linea con il principio di diritto che questa Sezione ha già enunciato nella sentenza 16.10.2019 n. 26142, al quale si ritiene di dare continuità ed il cui principio di diritto qui si riporta: “in tema di accise sull’energia elettrica, la società consortile che autoproduce energia elettrica da fonte rinnovabile, con impianti dalla potenza disponibile superiore a 20 kw, beneficia dell’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 52, comma 3, lett. b), (nella sua formulazione applicabile ratione temporis, successiva alle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 26 del 2007) limitatamente all’energia prodotta e consumata in proprio e non anche a quella prodotta e ceduta ai singoli consorziati”.

3.4. Come già anticipato, la nozione di autoproduzione di cui al D.Lgs. n. 79 del 1999 non è idonea ad individuare i soggetti esentati dal pagamento delle accise ai sensi dell’art. 52, comma 3, lett. b), TUA, i quali non rientrano nella menzionata definizione.

A tal fine sembra opportuno evidenziare o ribadire le seguenti considerazioni:

a) il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 1, afferma che le definizioni di cui ai successivi commi valgono ai soli fini del decreto e, pertanto, la definizione di autoproduzione di cui al comma 2 trova un limite applicativo testuale;

b) la L. 6 dicembre 1962, n. 1643 istitutiva del monopolio ENEL sulla produzione e vendita dell’energia elettrica e la L. 9 gennaio 1991, n. 9 che liberalizzava il mercato dell’energia prodotta da fonti rinnovabili sono normative aventi precipua se non esclusiva finalità di regolazione del mercato dell’energia ai sensi dell’art. 43 Cost., senza alcuna rilevanza diretta o indiretta sul regime fiscale dei prodotti energetici; così come le finalità del decreto Bersani, in linea con la direttiva n. 96/92/CE, sono quelle di perseguire un mercato concorrenziale dell’energia elettrica, mentre il TUA, come modificato dal D.Lgs. n. 26 del 2007, costituisce attuazione della direttiva n. 2003/96/CE, ed ha come obiettivo l’armonizzazione della tassazione degli Stati membri della UE in materia di accise sui prodotti energetici: in questo contesto, la definizione di autoproduzione di cui al decreto Bersani prescinde dalla qualifica di soggetti obbligati al pagamento delle accise che hanno le officine di produzione di energia elettrica per uso proprio ai sensi del Testo unico accise;

c) l’esenzione, prevista dall’art. 52, comma 3, lett. b), TUA con riferimento all’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili ben prima dell’emanazione del D.Lgs. n. 79 del 1999, è limitata all’utilizzazione che fa dell’energia medesima il soggetto autoproduttore ed è di stretta interpretazione: deve, pertanto, riconoscersi l’esenzione unicamente alla società consortile che produce l’energia, nei limiti del consumo dalla stessa praticato, e non già per l’ipotesi in cui la società consortile ceda l’energia elettrica a distinti soggetti giuridici quali sono i consorziati, pena facili ed intuibili elusioni della disposizione agevolativa (nello stesso senso, ai fini dell’identificazione dei concetti di autoproduttore ed autoconsumatore, sebbene con riferimento alle addizionali locali sull’energia elettrica, Cass. n. 8293 del 09/04/2014; Cass. n. 23529 del 12/09/2008);

d) la giurisprudenza riguardante la traslazione delle agevolazioni IVA spettanti alla società consortile sui singoli consorziati attraverso il meccanismo del cd. ribaltamento dei costi e dei ricavi (Cass. n. 24320 del 04/10/2018; Cass. n. 3166 del 09/02/2018; Cass. n. 18437 del 26/07/2017) segue uno schema differente, in quanto, nelle fattispecie considerate, il contratto di appalto stipulato dal committente con la società consortile è direttamente imputabile alle società consorziate, con conseguente neutralità del consorzio, che non esercita attività commerciale in proprio; nel caso dell’autoproduzione, invece, è la società consortile a svolgere, legittimamente (cfr. Cass. S.U. n. 12190 del 14/06/2016), attività commerciale in proprio e a cedere il prodotto ai consorziati: laddove lo scopo consortile non è certo quello di godere della agevolazione fiscale, ma quello di approvvigionarsi di energia elettrica a costi contenuti.

3.5. A ciò si aggiunga che la L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 911, pur non applicabile alla presente controversia, nel richiamare pedissequamente solo la prima parte dell’art. 2, comma 2, del decreto Bersani, ed includendo, pertanto, nell’esenzione i soli soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica, implica, a contrario, che i consorzi e le società consortili, già esclusi, rimangono fuori dal campo applicativo della norma anche per gli anni d’imposta successivi al 2016.

3.6. Poichè, nella fattispecie, non è in contestazione (ed emerge chiaramente dal tenore degli atti avviso di pagamento impugnato e prodotto anche nel presente giudizio) che si chiede l’esenzione con riferimento alla sola energia prodotta e ceduta da Cleanpower in favore dei consorziati (e non anche con riferimento all’energia autoprodotta ed autoconsumata), il motivo proposto deve essere senz’altro rigettato.

4. Con il secondo motivo la Cleanpower Soglio ha denunciato

violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. n. 212 del 2000, artt. 10 e 11: facendo riferimento agli atti delle diverse articolazioni dell’Agenzia che si erano pronunciate in tempi diversi sulla spettanza alla ricorrente della qualifica di autoproduttore e sulla conseguente spettanza dell’esenzione prevista dall’art. 52, comma 3, lett. b TUA (sub g-h-i a pagg.4-6 del ricorso), evidenzia che la CTR avrebbe implicitamente ed erroneamente interpretato il disposto dell’invocato art. 10 come se potesse al più giustificare la non irrogazione delle sanzioni connesse, delimitando in tali ristretti termini gli effetti favorevoli del legittimo affidamento del contribuente. Quindi critica tale opzione interpretativa ricordando, anche alla luce della pronuncia di Cass. sez. V 2002 n. 17576 ed altre successive, che il principio di affidamento, del quale l’art. 10 rappresenta soltanto una ipotesi esemplificativa, ha portata generale, sicchè anche la prestazione tributaria principale potrebbe essere esclusa dalla pretesa impositiva. Sotto altro profilo evidenzia che la mancanza di formale denominazione delle istanze della Società quale interpelli non esclude che le stesse, quando ne avessero le caratteristiche sostanziali, sarebbero equipollenti e le risposte sarebbero dotate della medesima efficacia vincolante per l’Amm.ne rispondente, stante la nullità, disposta dal D.M. n. 209 del 2001, art. 5, comma 2 degli atti anche impositivi emanati in violazione delle stesse.

L’Agenzia sul punto ha replicato richiamando le più recenti pronunce di questa Corte che limitano la portata esimente dell’affidamento per buona fede del contribuente alle sole sanzioni ed interessi e contestando la qualifica di autoproduttore ed autoconsumatore attribuitasi dalla ricorrente.

4.1. Neppure il secondo motivo del ricorso principale merita accoglimento.

Secondo la ormai prevalente giurisprudenza di questa Corte, cui si intende dare continuità, “la tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente, sancita dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 1 e 2, costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, che trova origine nei principi affermati dagli artt. 3,23,53 e 97 Cost. e, in materia di tributi armonizzati, in quelli dell’ordinamento dell’Unione Europea, sicchè deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell’imposta, deve essere valutata ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni” (così Cass. n. 370 del 09/01/2019, con ampi riferimenti alla giurisprudenza Europea in materia di tributi armonizzati; sempre con riferimento all’esclusione delle sole sanzioni, si vedano ancora Cass. n. 10499 del 03/05/2018; Cass. n. 12635 del 08/02/2017; Cass. n. 5934 del 25/03/2015; Cass. n. 16692 del 03/07/2013; Cass. n. 21070 del 13/10/2011; Cass. n. 19479 del 10/09/2009).

4.1.1. è stato altresì precisato che “le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, sicchè, ove il contribuente si sia conformato ad un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, in base al principio di tutela dell’affidamento, espressamente sancito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2” (Cass. n. 12635 del 19/05/2017; Cass. n. 10195 del 18/05/2016; Cass. n. 3757 del 09/03/2012; Cass. n. 2133 del 14/02/2002).

4.1.2. Il principio trova origine nel fondamentale arresto delle Sezioni Unite, per il quale “la circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l’interpretazione adottata. Ciò è tanto vero che si è posto il problema della eventuale tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo (interpretativo) adottato dall’amministrazione e si è escluso che tale tutela sia possibile anche sotto il profilo dell’affidamento, stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio – coniugato secondo un diverso lessico, ma riferito ad un unico concetto – di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta. Non si può, al riguardo, non concordare con quella dottrina secondo la quale ammettere che l’amministrazione, quando esprime opinioni interpretative (ancorchè prive di fondamento nella legge), crea vincoli per sè e i Giudici tributari, equivale a riconoscere all’amministrazione stessa un potere normativo che, a tacer d’altro, è in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva relativa di legge codificato dall’art. 23 Cost.. Tutt’al più, come è stato pure affermato, potrebbe ammettersi che il mutamento da parte dell’amministrazione di un precedente indirizzo (interpretativo) sul quale il contribuente possa aver fatto affidamento, eventualmente rilevi (o possa esse valutato) ai fini della applicazione delle sanzioni e della richiesta degli interessi sulle somme dovute a titolo di imposta” (Cass. S.U. n. 23031 del 02/11/2007, in motivazione).

4.1.3. E’ vero che, giusta la valenza generale del principio del legittimo affidamento, è stato anche affermato che i casi di tutela espressamente enunciati dalla L. n. 212 del 2000, art. 10 comma 2, (attinenti all’area della irrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi), vanno considerati quali situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti, atteso che la regola è idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti (Cass. n. 620 del 12/01/2018; Cass. n. 537 del 14/01/2015; Cass. n. 14000 del 22/09/2003; Cass. n. 17576 del 10/12/2002; si veda anche Cass. n. 8197 del 22/04/2015, che esprime analogo principio pur affrontando la questione unicamente dal punto di vista delle sanzioni).

Tuttavia, come chiarito da Cass. n. 25299 del 20/11/2013, dire che la L. n. 212 del 2000, art. 10 sia una norma aperta significa unicamente “che la induzione in errore incolpevole del contribuente può essere determinata anche da differenti circostanze di fatto ovvero anche da altre condotte, imputabili ad errore della Amministrazione finanziaria, dalla stessa norma non espressamente considerate”. Si tratta, pertanto, di condotte diverse da quelle tipizzate, vale a dire le errate “indicazioni contenute in atti” dell’Amministrazione ovvero i “fatti (…) conseguenti a ritardi, omissioni od errori” della stessa o ancora le “obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma impositiva” (L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2 e 3), in presenza delle quali la tutela del legittimo affidamento può venire ad incidere sulla stessa debenza del tributo (si tratta appunto della peculiare ipotesi esaminata da Cass. n. 17576 del 2002, citata anche dalla difesa di Cleanpower).

Situazioni siffatte, in cui la tutela del legittimo affidamento viene ad incidere sulla stessa debenza del tributo, sono caratterizzate da circostanze concrete di natura eccezionale, e non necessariamente ricomprendono quelle in cui l’induzione in errore sia da ascriversi ad informazioni fornite dalla Amministrazione doganale con atti interpretativi di carattere generale o con erronee prassi applicative, che sono già espressamente contemplate dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, e sono, dunque, inidonee ad esonerare il contribuente dall’obbligazione tributaria principale (cfr. sempre Cass. n. 25299 del 2013, cit.).

4.1.4. Nè la norma così interpretata è incostituzionale, perchè al principio, di rilievo costituzionale, del legittimo affidamento fa, comunque, da contraltare il principio, di rilevanza costituzionale, della riserva di legge, nonchè gli ulteriori principi di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di obbligatorietà della funzione di imposizione e di irrinunciabilità del diritto di imposta, già menzionati dalle Sezioni Unite di questa Corte.

4.2. Poichè nel caso di specie la CTR ha riconosciuto alla società contribuente l’esenzione da pagamento degli oneri per sanzioni ed interessi, il riconoscimento a Cleanpower in svariati atti dell’Amministrazione finanziaria della qualità di autoproduttore di energia elettrica da fonti rinnovabili escluso dall’obbligo di pagamento delle accise ha comportato altresì il successivo riconoscimento del legittimo affidamento della stessa nella menzionata esenzione; ma, contrariamente a quanto sostenuto dalla Società ricorrente, le conclusioni della CTR sono conformi ai richiamati principi di diritto, spettandole unicamente, in linea di principio, l’esenzione dalle sanzioni e dagli interessi, già riconosciuta dalla CTR.

4.3. Quanto alla pretesa violazione dell’art. 11 denunciata nella seconda parte del motivo, la stessa viene proposta quale ipotesi di falsa applicazione, per non avere la CTR riconosciuto nelle istanze prodotte in atti i requisiti formali e sostanziali dell’istanza di interpello, non riconoscendo la corrispondente efficacia alle risposte dell’Amm.ne.

In realtà la CTR ha preso le mosse da una corretta lettura dell’art. 11, anche alla luce del disposto del D.M. n. 2009 del 2001, invocato art. 5 rectius degli artt. 1, 2 e 3 di detto provvedimento, nei quali sono indicati i requisiti e le condizioni di validità dell’istanza e della conseguente efficacia della risposta quoad validitatem dei successivi atti dell’Amm.ne.

Infatti è vero che sia l’art. 1 che l’art. 3 del D.M. prescrivono che l’istante debba chiaramente indicare quali siano le condizioni che determinano la situazione di oggettiva o soggettiva incertezza della questione oggetto d’interpello e della quale si chiede la soluzione con specifico riferimento al caso concreto; requisito che non concreta un vuoto formalismo, come presuppone la ricorrente, bensì il nucleo essenziale della domanda d’interpello che la distingue dagli altri atti gestori dell’Amm.ne delle Finanze; così come opportunamente la CTR ha puntualizzato, con evidente riferimento agli atti prodotti dalla Cleanpower fin dall’introduzione del giudizio, che non possono essere riconosciute come istanze d’interpello richieste che non abbiano contenuto e finalità quali descritte nell’invocato D.M. .

Orbene, l’art. 1 del D.M. enuncia un essenziale principio: la domanda di interpello deve essere presentata prima che il contribuente ponga in essere il comportamento oggetto del quesito interpretativo o di indirizzo richiesto all’Amm.ne; e, poichè nel motivo si deduce che nell’istanza di interpello, identificata in quella di cui all’all. 13 a doc. 45 allegato al presente ricorso (Licenza di esercizio rilasciata dall’Agenzia delle Dogane di Venezia), sarebbero stati rispettati tutti i requisiti di sostanza e di forma previsti normativamente, deve osservarsi che dagli stessi si evince non solo che le istanze non rispondono al requisito della preventività del comportamento rispetto sia alla richiesta che alla risposta (cfr. Cass. sez.V 17.07.2014 n. 16331), poichè nell’istanza si dichiara (novembre 2002) che l’attività di produzione era iniziata già dal settembre precedente; ma anche che la licenza d’esercizio, vero oggetto dell’istanza, è, per come riprodotta nel ricorso, provvedimento che viene (ed è stato) rilasciato dall’Ufficio Tecnico di Finanza, (organo tecnico-operativo facente parte dell’Ufficio delle Dogane) e non già dalla Direzione Regionale dell’Agenzia (struttura di vertice con funzioni dirigenziali generali), che è lo specifico organo competente, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 4 del cit. D.M., a deliberare sulle istanze di interpello.

5. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. La novità di alcune delle questioni trattate ed il parziale accoglimento del ricorso originario giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

6. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte respinge il ricorso. Spese compensate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2020

 

 

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