Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19278 del 19/07/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 19278 Anno 2018
Presidente: D’ANTONIO ENRICA
Relatore: CALAFIORE DANIELA

SENTENZA

sul ricorso 23526-2017 proposto da:
I.N.P.S.

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA

SOCIALE C.F. 80078750587, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura
Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli
2018
2022

avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO STUMPO,
VINCENZO TRIOLO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

– ASARO VITO, RIGAMONTI ADELIO, BODDLI RIZVAN,

Data pubblicazione: 19/07/2018

POLLOZI LEONARD, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA PIETRO DA CORTONA 8, presso lo studio
dell’avvocato MAURILIO D’ANGELO, che li rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– MOLTENI ITALIA S.R.L., in persona del legale

in ROMA, VIA PASUBIO, 15, presso lo studio
dell’avvocato STEFANO MUNGO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 943/2017 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 12/04/2017 R.G.N. 208/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/05/2018 dal Consigliere Dott. DANIELA
CALAFIORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. STEFANO VISONA’, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;
uditi gli Avvocati VINCENZO STUMPO e ANTONIETTA
CORETTI;
udito l’Avvocato STEFANO MUNGO.
udito l’Avvocato MAURILIO D’ANGELO.

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata

r.g. N. 23526/2017
INPS/ASARO V.+Altri/Molteni Italia s.r.l.

FATTI DI CAUSA

1)

La Corte d’appello di Milano, con sentenza n.943/2017, ha respinto

l’appello proposto dall’INPS avverso la sentenza del Tribunale G.L. di Como
che, giudicando anche nei confronti di Molteni Italia s.r.l. (chiamata in
causa) e ritenendo che i rapporti di lavoro fossero stati risolti con la società
cedente Molteni s.r.l. per poi riprendere con la Molteni Italia s.r.I., aveva

Rigamonti Adelio, tese ad ottenere la liquidazione da parte del Fondo di
Garanzia dei crediti vantati a titolo di t.f.r. nei confronti della fallita Molteni
s.r.I., dopo che la domanda di intervento avanzata all’esito dell’ammissione
al passivo del relativo credito successiva al fallimento della società, era
stata rigettata in ragione del fatto che i rapporti di lavoro degli appellati non
erano cessati ma erano proseguiti, prima del fallimento, a seguito della
cessione dell’azienda da Molteni S.r.l. a Molteni Italia s.r.l.
2)

La Corte territoriale, ritenendo assorbente il motivo d’appello con il

quale l’INPS aveva contestato l’affermazione del primo giudice secondo cui
non poteva attribuirsi all’ammissione dei crediti al passivo una valenza
meramente endoprocedimentale, ha dichiarato di fare applicazione dei
precedenti di questa Corte nn. 24730 del 2015 e 23258 del 2015, secondo i
quali la definitiva ammissione al passivo dei crediti in questione aveva
determinato l’insorgere dell’obbligo a carico dell’INPS a prescindere, non
solo dalla partecipazione dell’INPS alla procedura fallimentare, ma anche
dell’effettiva sussistenza del trasferimento d’azienda e della reale cessazione
del rapporto di lavoro.
3)

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’Inps sulla base di un

unico motivo illustrato da memoria.
4)

Resistono con controricorso Vito Asaro, Boddli Rizvan, Pollozi Leonard E

Rigamonti Adelio e Molteni Italia s.r.l.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1)

Con l’unico motivo di ricorso l’INPS lamenta la violazione degli articoli 2,
commi 1°,2°,4°, 5 0 , 7° ed 8°, della legge n. 297 del 1982, con riferimento
all’art. 2112 cod. civ., dal momento che, essendosi verificata la cessione
dell’azienda, il Giudice del lavoro aveva accertato il diritto degli assicurati a

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accolto le domande di Vito Asaro, Boddli Rizvan, Pollozi Leonard E

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INPS/ASARO V.+Altri/Molteni Italia s.r.l.

percepire dal “Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto” gestito
dall’Inps, anche la quota di T.F.R. maturata per lo svolgimento di attività
lavorativa in favore del datore di lavoro cedente, poi sottoposto alla
procedura concorsuale del fallimento, per essere stati i relativi crediti dei
lavoratori ammessi al passivo della procedura concorsuale, nonostante la
responsabilità solidale ex lege del datore di lavoro cessionario in bonis.
Il ricorso è ammissibile e fondato. I controricorrenti denunciano

l’inammissibilità dell’unico motivo formulato dall’Inps in relazione al disposto
dell’art. 360 bis, comma 1 n. 1, cod. proc. civ., ritenendo ostativa al suo
esame nel merito la presenza di una giurisprudenza della Corte di
cassazione di segno opposto a quello prospettato in ricorso; il rilievo di
inammissibilità sarebbe configurabile in presenza di una decisione delle
Sezioni Unite, di un orientamento consolidato delle Sezioni semplici, di più
pronunce convergenti delle Sezioni semplici, di una sola sentenza, se
convincente, di una Sezione semplice.
3)

Il rilevo è infondato giacché la funzione di filtro, secondo

l’interpretazione fatta propria dalle Sezioni Unite di questa Corte di
cassazione n. 7155 del 2017, che va ora riaffermata, non può trovare
applicazione in quanto essa consiste in ciò, che < la Corte è in un certo qual senso esonerata - ex art. 360 bis - dall'esprimere compiutamente la sua adesione alla soluzione interpretativa accolta dall'orientamento giurisprudenziale precedente: è sufficiente che rilevi che la pronuncia impugnata si è adeguata alla giurisprudenza di legittimità e che il ricorrente non la critica adeguatamente. In questo senso l'art. 360 bis è una normafiltro perché consente di delibare rapidamente ricorsi "inconsistenti". Ma si tratta pur sempre di una "inammissibilità di merito", compatibile con la garanzia dell'art. 111 Cost., comma 7. >.
4)

Nel caso di specie, il motivo, lungi dal limitarsi alla mera riproposizione

di critiche già esaminate dai precedenti di questa Corte, si misura con i due
precedenti (Cass. Sez. Lav. nn. 23258 del 2015 e 24730 del 2015) che,
apportando conseguenze ulteriori a precedenti arresti, hanno ispirato la
sentenza impugnata e propone una lettura critica degli esiti dei medesimi
che non risulta aver formato oggetto, ad oggi, di disamina specifica da

2

2)

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parte di questa Corte di legittimità e di cui si darà specifico conto nel corso
dei punti successivi. Da ciò l’assenza delle condizioni per giungere alla
declaratoria di inammissibilità.
5)

Non sussiste neanche l’inammissibilità del motivo per difetto di

interesse o di specificità, non essendo stato riproposto dall’INPS, in appello,
il tema del riconoscimento in fatto dei presupposti di operatività degli effetti

disposto dell’art. 2112 cod. civ., in relazione alle circostanze che portarono
alla costituzione dei rapporti di lavoro nei confronti di Molteni Italia s.r.I.,
giacché, nel caso di specie, le vicende concrete non sono contestate e la
valutazione della loro incidenza sulla normativa – peraltro inderogabile- in
tesi applicabile alla fattispecie dedotta in causa, comporta la risoluzione di
questione esclusivamente giuridica.
6)

Peraltro, la sentenza impugnata, alla pagina due, riferisce che tra i

motivi d’appello proposti dall’INPS vi era anche la denuncia del mancato
accertamento da parte del primo giudice dell’effettiva cessazione del
rapporto di lavoro con Molteni s.r.I., in difetto di prova di dimissioni o di
licenziamento. Dunque, il rilievo di inammissibilità del motivo è del tutto
infondato.
7)

In fatto, è dunque opportuno ricordare le vicende circolatorie che –

come emerge pacificamente dagli atti di parte – hanno interessato l’azienda
presso cui gli odierni contro ricorrenti hanno prestato, e per quanto emerge
dagli atti ancora prestano, la propria attività di lavoro. In data 16 settembre
2010 i rapporti di lavoro dei signori Vito Asaro, Boddli Rizvan, Pollozi
Leonard E Rigamonti Adelio hanno visto succedere alla datrice di lavoro
Molteni s.r.I.,che già aveva avanzato domanda di concordato preventivo, la
società Molteni Italia s.r.I., a seguito di contratto d’affitto d’azienda stipulato
in pari data e che conteneva limitazioni di assunzione di responsabilità nei
riguardi dei crediti dei lavoratori preesistenti. Successivamente, in data 30
maggio 2011, il Tribunale di Como ha dichiarato il fallimento di Molteni
s.r.I.; il 26 luglio 2011, inoltre, il curatore nominato in seno a tale procedura
concorsuale ha comunicato a Molteni Italia s.r.l. la risoluzione del contratto
d’affitto, per recesso, con conseguente retrocessione dell’azienda al

Lviv3

giuridici di continuità dei rapporti di lavoro ai fini dell’applicazione del

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Fallimento ai sensi dell’art. 78 I. fall. Infine, con atto di cessione d’azienda
del 13 febbraio 2012, la medesima azienda è stata definitivamente
trasferita a Molteni Italia s.r.l. a seguito di vendita autorizzata dal Giudice
delegato.
8)

I lavoratori, ottenuta l’ammissione al passivo delle domande relative

agli importi del t.f.r. maturati sino al 15 settembre 2010, hanno chiesto

della quota di t.f.r. maturato alle dipendenze della società fallita Molteni
s.r.l. ed a tale domanda è stato opposto un rifiuto motivato con riferimento
alla circostanza che con il trasferimento del rapporto di lavoro da Molteni
s.r.l. a Molteni Italia s.r.I., avvenuto il 16 settembre 2010, per effetto del
contratto di affitto d’azienda, il cessionario, in bonis, era l’unico obbligato a
corrispondere il t.f.r. anche per la parte relativa al cedente.
9)

A fronte di tale complessivo svolgimento dei fatti, il Tribunale di Como

ha considerato i rapporti di lavoro cessati alla data del 15 settembre 2010 e
ricostituiti ex novo il giorno successivo, nei confronti della cessionaria, con
ciò ritenendo integrati i presupposti applicativi dell’intervento del Fondo di
garanzia ex art. 2 I. n. 298 del 1982, non essendo possibile per l’Inps
opporre alcuna ragione ostativa alla richiesta dei lavoratori dopo
l’ammissione al passivo fallimentare del relativo credito. La Corte d’appello
di Milano, con la sentenza impugnata, ha ritenuto che, a prescindere dalla
effettiva ricostruzione della vicenda circolatoria intercorsa tra Molteni s.r.l. e
Molteni Italia s.r.l. e dalla effettiva prosecuzione dei rapporti di lavoro ai
sensi dell’art. 2112 cod. civ. prospettata dall’Inps tra i motivi d’appello,
dovesse farsi applicazione dei principi espressi nelle sentenze di questa
Corte di cassazione nn. 24730 e 23258 del 2015, che, facendo leva sul
consolidato orientamento secondo cui l’INPS subentra ex lege nel debito del
datore di lavoro insolvente, previo accertamento del credito del lavoratore e
dei relativi accessori mediante insinuazione nello stato passivo divenuto
definitivo e nella misura in cui risulta in quella sede accertato, hanno
affermato l’incontestabilità da parte dell’Istituto di tale accertamento, a
torto o a ragione, avvenuto in sede fallimentare ed anche se l’Istituto sia
rimasto estraneo alla procedura stessa avendo forza di cosa giudicata. La

l’intervento del Fondo di garanzia presso l’INPS per ottenere il pagamento

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ragione giustificatrice di tale contenuto della norma sarebbe, infatti, quella
di garantire il soddisfacimento dei crediti insoddisfatti dei lavoratori senza
costringerli ad ulteriori e defatiganti accertamenti in altra sede.
10) In termini essenziali, si tratta, ora, di stabilire se l’obbligo del Fondo di
garanzia di cui all’art. 2 della legge n. 297 del 1982, valutate tutte le
ricadute sul sistema, possa scaturire, incondizionatamente, dalla sola

domandato in sede fallimentare è la sola quota di t.f.r. maturata presso il
precedente datore di lavoro assoggettato a fallimento, successivamente alla
cessione dell’azienda ed a prescindere dalla verifica dell’avvenuta
cessazione del rapporto di lavoro intercorso con il cedente.
11)Le questione, ad avviso del Collegio, non può trovare risposta nei
termini di cui ai precedenti indicati dalla sentenza impugnata, seppure di tali
precedenti vanno condivise le premesse relative alla ricostruzione
sistematica dell’istituto di cui all’art. 2 della legge n. 297 del 1982. In
particolare, deve ricordarsi che secondo il consolidato orientamento
espresso da questa Corte di legittimità, cui si intende dare continuità, il
diritto del lavoratore di ottenere dall’Inps, in caso d’insolvenza del datore di
lavoro, la corresponsione del TFR a carico dello speciale Fondo di cui alla L.
n. 297 del 1982, art. 2, ha natura di diritto di credito ad una prestazione
previdenziale, ed è, perciò, distinto ed autonomo rispetto al credito vantato
nei confronti del datore di lavoro (restando esclusa, pertanto, la fattispecie
di obbligazione solidale), diritto che si perfeziona (non con la cessazione del
rapporto di lavoro ma) al verificarsi dei presupposti previsti da detta legge
(insolvenza del datore di lavoro, verifica dell’esistenza e misura del credito
in sede di ammissione al passivo, ovvero all’esito di procedura esecutiva),
con la conseguenza che, prima che si siano verificati tali presupposti,
nessuna domanda di pagamento può essere rivolta all’Inps, e, pertanto, non
può decorrere la prescrizione del diritto del lavoratore nei confronti del
Fondo di garanzia” (cfr. in termini Cass. 23 luglio 2012 n. 12852 ed anche
nn. 10875, 20675 del 2013; 12971 del 2014).
12)Va, tuttavia, rimarcato che gli arresti della giurisprudenza di questa
Corte di legittimità appena citati non hanno mai affrontato la specifica

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ammissione al passivo della domanda del lavoratore: anche se, ciò che si è

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questione appena indicata, giacché non era prospettata in tali occasioni la
carenza di taluno degli elementi costitutivi della stessa fattispecie di cui
all’art. 2 della legge n. 297 del 1982, ma si discuteva della relazione
giuridica esistente tra l’obbligo retributivo del datore di lavoro insolvente e
l’obbligo del fondo di sostituirsi al medesimo datore di lavoro, con
particolare riferimento al regime della prescrizione ed al termine iniziale del

prestazioni previdenziali, al regime degli atti interruttivi della prescrizione,
alla disciplina degli accessori in caso di ritardo, alt’ eventuale regime di
solidarietà esistente con il datore di lavoro al fine di fare applicazione
dell’art. 1310 cod. civ. etc…
13)In altri termini, quella giurisprudenza ha operato un inquadramento
sistematico della disciplina del Fondo di garanzia che, attraverso il
riconoscimento di una finalità esclusivamente assicurativa e previdenziale
funzionale alla pienezza di protezione dei lavoratori dal rischio
dell’insolvenza del proprio datore di lavoro, ha avuto il merito di svincolare
l’operatività del meccanismo di garanzia dal legame con i presupposti
concreti delle obbligazioni retributive rimaste inadempiute a causa
dell’insolvenza che, dunque, diventano l’oggetto della diversa ed autonoma
prestazione previdenziale. Se questo è il senso ed il contenuto del percorso
interpretativo segnato dalle citate pronunce, resta, dunque, da dimostrare
che dalla natura autonoma, rispetto all’originario obbligo retributivo
datoriale, e previdenziale della prestazione possa ricavarsi anche
l’astrazione totale dal separato ed originario credito retributivo fino al punto
che, una volta ottenuta l’ammissione al passivo fallimentare, nulla possa più
impedire l’obbligo di intervento del Fondo di garanzia.
14)Infatti, mentre è chiaro che la natura autonoma

dell’obbligo di

corresponsione della prestazione impedisce all’Inps di poter opporre
eccezioni derivanti da ragioni interne al rapporto di lavoro che mirino a
contestare esistenza ed entità dei crediti in ragione del concreto atteggiarsi
delle situazioni giuridiche soggettive del lavoratore e del datore di lavoro,
come costantemente affermato da questa Corte di cassazione, non
altrettanto agevole è fare derivare dall’autonomia dell’obbligazione

1-‘1

lir’

suo decorso, alla eventuale soggezione alla decadenza prevista per le

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assicurativa attribuita al Fondo anche l’effetto di totale inibizione
dell’accertamento giudiziale relativo agli elementi soggettivi ed oggettivi al
cui ricorrere scatta l’obbligo di tutela assicurativa e che sono interni alla
stessa autonoma fattispecie previdenziale.
15)Non può, in particolare, ad avviso del Collegio, trarsi la necessaria
conseguenza che una volta ottenuta (a torto o a ragione) l’ammissione

l’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, di contestare la concreta
operatività della regola di intervento del Fondo, incentrata sul ricorrere degli
elementi previsti dalla stessa fattispecie di cui alla legge 29 maggio 1982,
n. 297, art. 2, ed all’art. 2 del d.lgs. n. 82 del 1990, sulla cui autonomia si è
fondata la giurisprudenza di questa Corte sopra ricordata.
16)La prima delle citate disposizioni, intitolata ,
risulta infatti espressamente finalizzata allo < scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto, di cui all'articolo 2120 del codice civile, spettante ai lavoratori o loro aventi diritto>.

17) Pertanto, prevede la disposizione, < trascorsi quindici giorni dal deposito dello stato passivo, reso esecutivo ai sensi dell'articolo 97 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero dopo la pubblicazione della sentenza di cui all'articolo 99 dello stesso decreto, per il caso siano state proposte opposizioni o impugnazioni riguardanti il suo credito, ovvero dalla pubblicazione della sentenza di omologazione del concordato preventivo, il lavoratore o i suoi aventi diritto possono ottenere a domanda il pagamento, a carico del fondo, del trattamento di fine rapporto di lavoro e dei relativi crediti accessori, previa detrazione delle somme eventualmente corrisposte [...] 18)11 richiamo all'art. 2120 cod. civ., dunque, costituisce l'oggetto dell'obbligo assicurativo pubblico mediante rinvio alla disciplina contenuta in tale disposizione e rende palese la necessità, affinché sorgano i presupposti per l'intervento del Fondo, che : a) sia venuto ad esistenza l'obbligo di pagamento del t.f.r. fissato dall'art. 2120 cod.civ. in capo al datore di lavoro; b) egli, in tale momento, si trovi in stato di insolvenza. della domanda di insinuazione al passivo, ciò determini l' impossibilità per r.g. N. 23526/2017 INPS/ASARO V.+Altri/Molteni Italia s.r.l. Dunque, sempre ai sensi del disposto dell'art. 2120 cod. civ. citato è necessario, innanzi tutto, che sia intervenuta la risoluzione del rapporto di lavoro. Ciò, non solo perché il t.f.r. non può essere preteso se non alla cessazione del rapporto di lavoro ( vd. da ultimo Cass. n. 2827 del 2018) ma anche in quanto è la stessa fattispecie di cui all'art. 2 della legge n. 297 del 1982 che include la risoluzione del rapporto, espressamente, fra i 19)Recita, infatti, la citata disposizione ai successivi commi cinque e sei siano intervenute successivamente all’entrata in vigore della
presente legge.
20) E’, dunque, testualmente previsto che, perché si determini l’intervento
del Fondo di garanzia, l’insolvenza riguardi il soggetto titolare in atto del
rapporti di lavoro, il datore di lavoro cioè che è tale al momento in cui
avviene la risoluzione del rapporto di lavoro. E’ evidente, infatti, che la
disposizione di cui al sesto comma, nello stabilire l’irretroattività della
normativa introdotta, si riferisce agli elementi indefettibili della fattispecie
(risoluzione del rapporto di lavoro e soggezione del datore di lavoro a
procedura concorsuale) intervenuti dopo l’entrata in vigore delle disposizioni
in commento.
21)11 dato testuale è, peraltro, coerente con l’interpretazione che delle
citate disposizioni deve darsi sul più vasto piano sistematico sia
sovranazionale che interno.
22)Quanto al diritto dell’Unione europea va, infatti, ricordato che la
normativa in esame costituisce applicazione, tardiva e travagliata secondo

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presupposti di applicazione della tutela.

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la dottrina, nel diritto dello Stato italiano di quanto fu stabilito dalla Direttiva
CE n. 987 del 1980, che concerne il ravvicinamento delle legislazioni degli
Stato membri relativamente alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di
insolvenza del datore di lavoro. Tale direttiva ha voluto garantire ai
lavoratori subordinati una tutela minima in caso di insolvenza del datore di
lavoro. A tale scopo la direttiva ha delineato un meccanismo di tutela basato

datore di lavoro per il pagamento di taluni crediti dei lavoratori subordinati
in caso di insolvenza di quest’ultimo. In attuazione di detta direttiva, lo
Stato italiano ha adottato due testi normativi, la L. 29 maggio 1982, n. 297,
che ha istituito all’art. 2, il fondo di garanzia per il trattamento di fine
rapporto, ed il D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, recante l’attuazione della
direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di
insolvenza del datore di lavoro, con il quale la garanzia è stata estesa anche
alle ultime retribuzioni (artt. 1 e 2). Successivamente, la disciplina del fondo
di garanzia è stata integrata dal D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 186, adottato in
attuazione della direttiva del Consiglio dell’Unione Europea 2002/74/CE del
23 settembre 2002, che ha modificato il D.Lgs. n. 80 del 1992 e la L. n. 297
del 1982, regolamentando le cd. situazioni transnazionali. La direttiva
80/987 è stata poi abrogata dall’articolo 16 della direttiva 2008/94/CE, che
ne riprende i principi fondamentali.

Ai sensi dell’articolo 3 della direttiva

80/987: «Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché gli
organismi di garanzia assicurino, fatto salvo l’articolo 4, il pagamento dei
diritti non pagati dei lavoratori subordinati, risultanti da contratti di lavoro o
da rapporti di lavoro, comprese le indennità dovute ai lavoratori a seguito
dello scioglimento del rapporto di lavoro, se previste dal diritto
nazionale».
23)1 diritti di cui l’organismo di garanzia si fa carico sono le retribuzioni non
pagate corrispondenti a un periodo che si colloca prima e/o eventualmente
dopo una data determinata dagli Stati membri. La giurisprudenza della
Corte di giustizia, in particolare, ha costantemente affermato che la direttiva
80/987 persegue un fine sociale che consiste nel garantire una tutela
minima a tutti i lavoratori subordinati a livello dell’Unione in caso di

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sulla creazione di specifici organismi di garanzia, che si sostituiscono al

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insolvenza del datore di lavoro mediante il pagamento dei crediti non pagati
derivanti da contratti o da rapporti di lavoro e vertenti sulla retribuzione
relativa ad un periodo determinato (v., in particolare, sentenze Maso e a.,
C-373/95, EU:C:1997:353, punto 56; Walcher, C-201/01, EU:C:2003:450,
punto 38, nonché Teimer, C-311/13, EU:C:2014:2337, punto 42).
24) In tale contesto la Corte di Giustizia ha più volte sottolineato che, per

l’interessato

(v.,

in

particolare,

sentenza

Visciano,

C-69/08,

EU:C:2009:468, punto 44 e giurisprudenza ivi citata). Il fine sociale che
sorregge la ratio dell’intervento del Fondo e circoscrive l’ambito della tutela
è indicato mediante il riferimento < a crediti non pagati relativi ad un periodo determinato>, con ciò fissandosi la nozione di che è tale perché collocato all’interno di un ambito temporale
definito.
25)Significativamente, in conformità agli obblighi derivanti dalla direttiva
987/80, l’art. 2 del d.lgs. n. 82 del 1990, prevede :< Il pagamento effettuato dal Fondo di garanzia ai sensi dell'art. 1 e' relativo ai crediti di lavoro, diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto, inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi che precedono: a) la data del provvedimento che determina l'apertura di una delle procedure indicate nell'art. 1, comma 1; b) la data di inizio dell'esecuzione forzata; c) la data del provvedimento di messa in liquidazione o di cessazione dell'esercizio provvisorio ovvero dell'autorizzazione alla continuazione dell'esercizio di impresa per i lavoratori che abbiano continuato a prestare attivita' lavorativa, ovvero la data di cessazione del rapporto di lavoro, se questa e' intervenuta durante la continuazione dell'attività dell'impresa>.
26)La fattispecie in esame, secondo quanto emerge dalla sentenza
impugnata e dal contenuto incontestato degli atti delle parti, si caratterizza
in quanto, l’intervento del Fondo di garanzia viene richiesto
successivamente allo sviluppo di una complessa vicenda circolatoria che ha
interessato l’azienda. Dunque, ciò che va accertata e la compatibilità
dell’intervento del Fondo di garanzia anche laddove sia inesistente la

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loro stessa natura, i crediti retributivi sono di enorme importanza per

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relazione causale e temporale tra inadempimento datoriale ed insolvenza
dichiarata con procedura concorsuale che costituisce l’ambito applicativo
fisiologico dell’intervento del Fondo di garanzia legato allo scopo sociale
della normativa europea.
27)Di fatto, l’intervento del medesimo Fondo finisce per riconnettersi a
situazioni in cui il credito del lavoratore non è più relativo al periodo < assicurativa, ma viene agganciato, senza limiti temporali e prescindendo dalla attuale individuazione dei soggetti del rapporto di lavoro, ad uno degli ex datori di lavoro, interessati dalle vicende circolatorie pregresse, che viene dichiarato fallito in epoca in cui il rapporto di lavoro non è più in essere nei confronti del lavoratore istante perché proseguito con altro soggetto, dunque, l'applicazione dell' art. 2 della legge n. 297 del 1982 e dell'art. 2 del d.lgs. n. 80 del 1992, si allontana, oltre che dalla lettera delle norme citate, dalla funzione di tutela del bisogno socialmente rilevante indicato dalla direttiva 987/80 e successive modificazioni. Il risultato di tale interpretazione, dunque, si pare porsi in contrasto con l'obbligo di interpretazione conforme che incombe sul giudice nazionale ed, in concreto, pare consentire che il Fondo di garanzia, finanziato dai contributi dei datori di lavoro e dallo Stato ( art. 2 I. n. 297/1982), possa deviare dai compiti istituzionali con possibili effetti distorsivi, vietati espressamente dallo stesso art. 2, ottavo comma, I. n. 297/1982, secondo cui < Le disponibilità del fondo di garanzia non possono in alcun modo essere utilizzate al di fuori della finalità istituzionale del fondo stesso>.
28)Una simile interpretazione, inoltre, pare non considerare che le tutele
dei lavoratori, in ipotesi di trasferimento d’azienda, formano oggetto di altre
specifiche previsioni di derivazione comunitaria e che la giurisprudenza della
Corte di Giustizia UE (Sez. VI, 28/01/2015, n. 688), interpretando i
contenuti della direttiva 2001/23, ha affermato che essa < [...] stabilisce la regola generale secondo cui il cessionario è vincolato ai diritti e agli obblighi che risultano da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente tra il lavoratore e il cedente alla data del trasferimento dell'impresa. Come risulta dalla lettera e dalla struttura dell'articolo 3 di tale direttiva, la 11 determinato> che connota lo scopo sociale dell’obbligo di copertura

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trasmissione al cessionario degli oneri a carico del cedente al momento del
trasferimento dell’impresa, in presenza di lavoratori alle dipendenze del
cedente, comprende tutti i diritti di questi ultimi laddove essi non ricadano
in una delle eccezioni espressamente previste dalla stessa direttiva (v., per
analogia, sentenza Beckmann, C-164/00, EU:C:2002:330, punti 36 e 37).
53. Costituiscono parte integrante di questi oneri non soltanto i salari e altri

contributi al regime legale di previdenza sociale a carico del cedente, in
quanto derivanti da contratti o da rapporti di lavoro vincolanti per
quest’ultimo. Infatti, come emerge altresì dall’articolo 2, paragrafo 1, della
direttiva 2001/23, nel disciplinare le condizioni di lavoro, un contratto di
lavoro o un rapporto di lavoro implicano, ai sensi della direttiva in parola, un
rapporto giuridico fra i datori di lavoro e i lavoratori (sentenza Kirtruna e
Vigano, EU:C:2008:574, punto 41).
29) Peraltro, Corte giustizia UE, sez. III, 22/06/2017, n. 126, ha chiarito,
ad ulteriore conferma della integrale copertura garantita al lavoratore
interessato dalla cessione della propria azienda, che in relazione all’ipotesi
di accordo pre-fallimentare per prosecuzione attività di impresa ad opera di
un terzo, la Direttiva 2011/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, deve
essere interpretata nel senso che la tutela dei lavoratori garantita dagli artt.
3 e 4 di tale direttiva permane in una situazione in cui un’impresa sia
trasferita in seguito ad una dichiarazione di fallimento nell’ambito del prepack, preparato anteriormente a detta dichiarazione e realizzato
immediatamente dopo la pronuncia di fallimento, nell’ambito del quale, in
particolare, un “curatore designato” nominato da un giudice esamini la
possibilità di un’eventuale prosecuzione delle attività dell’impresa ad opera
di un terzo e prepari azioni da svolgere subito dopo la pronuncia di
fallimento per realizzare tale prosecuzione, e inoltre non è rilevante, a tal
riguardo, che l’obbiettivo perseguito da tale operazione di pre-pack miri
anche a massimizzare gli introiti della cessione per l’insieme dei creditori
dell’impresa in oggetto.
30)Anche guardando alle ricadute sul sistema interno, inoltre, trova
conferma la necessità di non sottrarre il riconoscimento dell’obbligo di

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emolumenti spettanti ai lavoratori dell’impresa in questione, ma anche i

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intervento del Fondo di garanzia alla verifica giudiziale. In primo luogo
perché in tal modo si realizzerebbe una palese violazione dell’art. 24 Cost.,
inibendo ai soggetti interessati, nel caso di specie il Fondo gestito dall’INPS,
il diritto alla tutela giudiziaria per preservare il corretto funzionamento del
meccanismo assicurativo pubblico di garanzia in forza della semplice
ammissione al passivo fallimentare della domanda del lavoratore che

del decreto di approvazione dello stato passivo, il quale, necessariamente
non può riguardare gli obblighi del Fondo derivanti dall’art. 2 della legge n.
297 del 1982 e dall’art. 2 del d.lgs. n. 80 del 1992, ma ha ad oggetto,
esclusivamente, i diritti di credito del lavoratore ed < [...] esclude la possibilità di riproporre, all'interno della detta procedura, ogni questione concernente l'esistenza del credito, la sua entità, l'efficacia del titolo da cui deriva, l'esistenza di cause di prelazione [...]> (Cass. SS.UU. n. 16508 del
2010).
31)

Non pare, inoltre, che Cass. n.19291 del 2011 possa valere a

contrastare quanto sin qui affermato perché nella detta sentenza, con
riferimento all’ipotesi della cessione d’azienda, si dice sì che < il diritto al trattamento di fine rapporto ex art. 2020 cod. civ. matura progressivamente in ragione dell'accantonamento annuale>, ma si
precisa anche che . Quindi il credito per t.f.r. non è ancora esigibile,
tant’è che neppure comincia a decorrere il termine di prescrizione. Alla
cessazione del rapporto il datore di lavoro cessionario risponderà per l’intero
t.f.r. (in via diretta quanto alla quota di t.f.r. maturata dopo la cessione; in
via solidale quanto alla quota maturata precedentemente); invece il datore
di lavoro cessionario risponderà solo per la quota di t.f.r. maturata prima
della cessione.
32) Questa Corte di cassazione ha confermato ripetutamente tale
convincimento, affermando che il diritto al trattamento di fine rapporto
(TFR) sorge con la cessazione del rapporto di lavoro ( Cass. n.2827/2018,
del 10 ottobre 2017; Cass. Cass. n. 9695/2009) ed in quanto credito non
esigibile al momento della cessione dell’azienda – quello avente ad oggetto

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finirebbe per assumere una efficacia superiore a quella connessa agli effetti

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il t.f.r. fino a quel momento maturato – non può essere ammesso al passivo
del fallimento del datore di lavoro cedente. Per sostenere il contrario, si
dovrebbe applicare estensivamente l’art. 1181 cod.civ. sulla decadenza dal
termine: “il creditore può esigere immediatamente la prestazione se il
debitore è divenuto insolvente”, ma il credito avente ad oggetto il t.f.r.,
maturato prima della cessazione del rapporto, non è un credito

prestazione vede il decorso del tempo ed il correlato obbligo di
accantonamento quali fattori costitutivi interni alla fattispecie e non quali
elementi, eventuali, condizionanti soltanto il momento di esigibilità della
prestazione stessa .
33)Anche l’evoluzione legislativa che ha interessato il trattamento di fine
rapporto conduce a risultati opposti alla tesi dell’esigibilità frazionata del
t.f.r., dal momento che essa lo ha messo in relazione con la previdenza
complementare. La Legge Finanziaria n. 296 del 2006, art. unico, commi
755 e 756, ha previsto- come è noto- il conferimento del TFR alla
previdenza complementare, dunque, come segnalato da questa Corte di
cassazione (Cass. n. 8228 del 2013), ormai, il T.F.R serve ad alimentare la
previdenza complementare. Ai sensi di questa norme le quote di T.F.R
maturate dal primo gennaio 2007 vengono versate presso le forme
pensionistiche complementari di cui al D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, ove
i lavoratori manifestino detta opzione, mentre, in mancanza di opzione,
nelle aziende con meno di 50 addetti, il TFR maturando resterà come prima
presso i datori di lavoro, mentre nelle aziende con almeno 50 addetti, le
quote di TFR non destinate alle forme pensionistiche complementari,
confluiranno nell’istituito “Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del
settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’art. 2120 c.c.”, che
è un fondo a ripartizione, gestito dall’Inps per conto dello Stato.
34)Peraltro, la ricordata direttiva comunitaria n. 80/987/CEE, all’articolo 8,
assegna agli Stati membri anche il compito di adottare misure idonee per la
tutela dei lavoratori subordinati, nel caso di insolvenza dell’impresa, in
relazione ai loro diritti, maturati o in corso di maturazione, in ordine alle
prestazioni di vecchiaia previste dai regimi previdenziali complementari ed

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assoggettato ad un termine di esigibilità poiché la struttura della

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anche se hanno già cessato il loro rapporto con quel datore di lavoro,
vengano a trovarsi di fronte all’insolvenza dello stesso. Ciò rende, altresì,
ancora più problematica la percorribilità della tesi della scomponibilità del
t.f.r. anteriormente alla data di cessazione del rapporto di lavoro e,
soprattutto, rende evidente come la tutela di tali diritti dei lavoratori non sia
affidata al Fondo di garanzia per il pagamento dei crediti retributivi ma ad

particolare, garantisce l’integrale copertura contributiva al lavoratore
danneggiato dall’omissione contributiva del datore di lavoro insolvente
attraverso apposito Fondo di garanzia, istituito presso l’Inps ai sensi
dell’articolo 5, comma 1, decreto legislativo n. 80/1992, proprio allo scopo
di assicurare specifica e idonea tutela al lavoratore danneggiato dalle ipotesi
in cui il datore di lavoro non sia in grado di effettuare, in tutto o in parte, i
versamenti contributivi dovuti al sistema di previdenza complementare.
Il Fondo è chiamato ad intervenire nel momento in cui, a causa dell’omesso
o incompleto versamento dei contributi dovuti dal datore di lavoro
insolvente, il lavoratore non può accedere alla correlata prestazione
complementare ed interviene a copertura di: contributi del datore di lavoro,
contributi del lavoratore trattenuti e non versati da parte del datore di
lavoro, quote di Tfr conferite al Fondo trattenute sulla retribuzione dovuta e
non versate da parte del datore di lavoro».

35. In definitiva, va affermato il principio secondo cui, l’art. 2 della legge n.
297 del 1982 e l’art. 2 del d.lgs. n. 82 del 1990, si riferiscono all’ipotesi in
cui sia stato dichiarato insolvente ed ammesso alle procedure concorsuali il
datore di lavoro che è tale al momento in cui la domanda di insinuazione al
passivo viene proposta ed, inoltre, poiché il t.f.r. diventa esigibile solo al
momento della cessazione del rapporto, il fatto che (erroneamente) il
credito maturato per t.f.r. fino al momento della cessione d’azienda sia
stato ammesso allo stato passivo nella procedura fallimentare del datore di
lavoro cedente non può vincolare l’Inps, che è estraneo alla procedura e che
perciò deve poter contestare il credito per t.f.r. sostenendo che esso non
sia ancora esigibile, neppure in parte, e quindi non opera ancora la garanzia
dell’art. 2 I. 297/1982. Poiché la sentenza impugnata non si è attenuta a

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altri interventi degli Stati membri. Il nostro legislatore nazionale, in

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tale principio, la stessa va cassata e rinviata alla Corte d’appello di Milano,
in diversa composizione, che riesaminerà la questione alla luce di quanto
sopra affermato e considerando, altresì, nella valutazione degli obblighi
assunti dalla società Molteni Italia s.r.l. nei riguardi dei lavoratori in forza al
momento della acquisizione dell’azienda, i principi espressi dalla C.G.U.E. ai
punti 28) e 29).

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, per la
prosecuzione del giudizio, alla Corte d’appello di Milano in diversa
composizione che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del
giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 16 maggio 2018 ed il 9 luglio 2018.

36. Il giudice del rinvio regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

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