Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19277 del 02/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 02/08/2017, (ud. 28/04/2017, dep.02/08/2017),  n. 19277

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26955/2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.L., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

RENO 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7822/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/11/2010 R.G.N. 1864/2007.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 3 novembre 2010, confermò la decisione del giudice di primo grado che aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra V.L. e Poste Italiane S.p.A. per il periodo 1/2/2002- 30/4/2002, accertando la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;

che la Corte territoriale ritenne generica la clausola apposta al contratto, motivata per favorire “un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre 2001, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002”, poichè non precisava in che modo il riposizionamento del personale sul territorio avrebbe inciso nella struttura di destinazione del lavoratore, così da non consentire di individuare nel concreto il nesso causale tra l’assunzione e le esigenze della società. Ritenne, altresì, che la società non aveva offerto, adempiendo all’onere a suo carico, di provare la correlazione tra le ragioni della stipulazione a termine quali esposte nel contratto e le ragioni sottese all’assunzione, poichè la società si era limitata a dedurre l’esistenza di un processo di trasformazione e di riorganizzazione organizzativa;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Poste Italiane S.p.A. sulla base di sei motivi;

che ha resistito il lavoratore con controricorso, illustrato mediante memorie;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con il primo motivo la ricorrente, deducendo ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1 e 2, D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, art. 12 preleggi, art. 1362 c.c. e ss., e art. 1325 c.c. e ss., rileva che illegittimamente la Corte territoriale aveva ritenuto generiche le ragioni giustificatrici del termine apposto al contratto, senza considerare lo specifico riferimento contenuto nel contratto medesimo ai vari accordi sindacali sulla mobilità del personale, pur essendo stato precisato che le ragioni giustificative del termine possono risultare anche per relationem;

che con la terza doglianza la ricorrente deduce omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), non avendo la Corte adeguatamente argomentato sulla idoneità della compresenza in seno al contratto di più ragioni fra loro non incompatibili a costituire elemento di sufficiente specificazione delle esigenze sottese al contratto, nè riguardo alla idoneità dell’analitica indicazione (operata in seno al contratto impugnato) dei numerosi accordi siglati tra azienda e sindacati per l’attuazione dei processi di mobilità;

che le due censure possono essere trattate unitariamente poichè – con esclusione della questione attinente alla compresenza di più ragioni giustificative dell’apposizione del termine contenuto nell’ultima censura, irrilevante nell’economia della motivazione della sentenza impugnata attengono entrambe, sotto i distinti profili della violazione di legge e del vizio motivazionale, all’omessa valutazione degli accordi tra azienda e sindacati espressamente menzionati nel contratto intercorso tra le parti;

che le predette censure, investendo la questione attinente alla genericità della clausola appositiva del termine, non valgono a scalfire l’altra ratio decidendi sottesa alla statuizione, di per sè sola idonea a reggere la decisione, avendo la Corte rilevato che “a prescindere dalla nullità di siffatta clausola… la società non ha offerto, adempiendo all’onere che la legge le fa carico, di provare la correlazione tra le ragioni della stipulazione a termine quali esposte nel contratto e le ragioni sottese alla astratta negoziata ammissibilità della pattuizione”, essendosi la società limitata a dedurre genericamente l’esistenza di un processo di rimodulazione organizzativa.

che con il secondo motivo la ricorrente deduce erronea e insufficiente motivazione in ordine a un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), rilevando che la Corte territoriale non aveva ammesso i capitoli di prova dedotti da Poste Italiane S.p.A. e aveva omesso di spiegare per quali ragioni la prova testimoniale volta a dimostrare la particolare incidenza dei processi di mobilità del personale, come richiesta in primo grado e reiterata in appello, non fosse ammissibile;

che il motivo è inammissibile sulla scorta del principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte e ribadito in questa sede, secondo il quale la censura inerente al diniego di ammissione di un mezzo istruttorio necessita dell’indicazione in modo esaustivo delle circostanze di fatto che formano oggetto della disattesa istanza istruttoria, sì da mettere il giudice di legittimità nella condizione di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della pronuncia impugnata (Cass. 30/07/2010 n. 17915);

che con il quarto motivo la società censura per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, dell’art. 2697 c.c., artt. 115,244 e 253 c.p.c., art. 421 c.p.c., comma 2, (art. 360 c.p.c., n. 3) l’assunto dei giudici di merito che avevano posto a carico del datore di lavoro l’onere probatorio riguardo alle ragioni che indussero le parti alla stipula di un contratto a termine e non, invece. solo quelle che legittimavano la eventuale proroga del contratto medesimo, ai sensi dell’art. 4, comma 2, del citato D.Lgs.;

che anche la suddetta doglianza è priva di fondamento, poichè, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’onere di provare le ragioni obiettive poste a giustificazione della clausola appositiva del termine grava sul datore di lavoro e deve essere assolto sulla base delle istanze istruttorie dallo stesso formulate (vedi per tutte: Cass. 10 febbraio 2010, n. 2279; Cass. 11 dicembre 2012, n. 22716);

che con il quinto motivo si denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) e violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, dell’art. 1419 c.c. e ss., D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, e art. 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), avendo la Corte di merito erroneamente affermato che la violazione del citato art. 1 comporta la nullità della clausola appositiva del termine, con conseguente conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

che il motivo è destituito di fondamento alla luce della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. 27 febbraio 2015 n. 3994), che in questa sede si riafferma, in forza della quale il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria, con la conseguenza che in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione della disciplina nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto) e da Corte cost. n. 210/92 e n. 283/05, all’illegittimità del termine e alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

che l’ultimo motivo, attinente alle conseguenze risarcitorie dell’illegittimità del termine, è fondato in ragione della previsione contenuta nella L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e del suo carattere retroattivo, ai sensi del comma 7, ancorchè trattasi di norma emanata dopo la sentenza d’appello (“In tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico” (Cass. Sez. U. del 27/10/2016 n. 21691);

che, pertanto, la sentenza va cassata limitatamente al suddetto motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte ricorrente ex art. 32 cit., per il periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. 10/07/2015 n. 14461), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (cfr., per tutte, Cass. 17/02/2016 n. 3062).

PQM

 

La Corte accoglie l’ultimo motivo, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2017

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