Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19276 del 22/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/09/2011, (ud. 17/05/2011, dep. 22/09/2011), n.19276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3403-2008 proposto da:

R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALADIER 53,

presso lo studio dell’avvocato ALLEGRA ROBERTO, rappresentata e

difesa dall’avvocato NAVACH MASSIMO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati BIONDI GIOVANNA,

PULLI CLEMENTINA, VALENTE NICOLA, RICCIO ALESSANDRO, giusta delega in

atti;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 169/2007 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 05/03/2007 R.G.N. 395/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

All’esito infruttuoso del prescritto procedimento amministrativo, R.M., con ricorso depositato il 6 giugno 2003, conveniva innanzi al Tribunale di Trani, giudice del lavoro, l’INPS e il Ministero Economia e Finanze per sentire dichiarare, nei confronti del secondo, il proprio diritto a percepire l’indennità di accompagnamento e condannare il primo al pagamento delle relative somme oltre accessori di legge nonchè delle spese processuali.

Si costituivano entrambi i convenuti eccependo la propria carenza di legittimazione passiva e, nel merito, l’infondatezza del ricorso.

Dopo l’espletamento di consulenza medica di ufficio, l’adito Tribunale, con sentenza emessa in data 19aprile 2005, dichiarava la carenza di legittimazione passiva del Ministero Economia e Finanze e compensava le spese tra quest’ultimo e la ricorrente, mentre riconosceva l’invocato diritto e condannava l’INPS a pagare le relative somme e le spese processuali in favore della R..

Contro tale pronuncia proponeva appello l’INPS, con ricorso depositato in data 6 febbraio 2006, chiedendone la parziale riforma.

Si costituiva la R. che ne invocava la conferma.

Con l’unico motivo di appello l’INPS lamentava che il primo Giudice avesse condannato esso Istituto all’integrale pagamento delle spese processuali del primo grado di giudizio nonostante, sulla scorta della consulenza tecnica, fatta propria in sentenza, le condizioni legittimanti la erogazione dell’invocato beneficio fossero insussistenti sia al momento della proposizione della domanda amministrativa sia al momento del deposito del ricorso giudiziale, essendo venute ad esistenza assai più tardi giacchè, mentre il ricorso risultava depositato il 6 giugno 2003, la decorrenza del beneficio disposta in sentenza era in data 8 settembre 2004.

Lamentava pertanto l’appellante il malgoverno da parte del primo giudice del principio della soccombenza essendosi verificata nella fattispecie la cosiddetta soccombenza reciproca che comportava la compensazione delle spese.

Resisteva l’appellata sostenendo essersi comunque fatta applicazione corretta, con la prima pronuncia, del principio della soccombenza.

Con sentenza del 25 gennaio-5 marzo 2007, l’adita Corte d’appello di Bari, rilevato che il vantato diritto era sorto in data 8 settembre 2004, di gran lunga successivamente alla data del deposito del ricorso introduttivo (6 giugno 2003), accoglieva il gravame e per l’effetto compensava interamente fra le parti le spese del giudizio di primo grado, oltre quelle di secondo grado in considerazione della “particolarità della questione”.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre R.M. con un unico motivo.

L’INPS si è limitata ad apporre procura in calce al ricorso avversario, partecipando alla discussione orale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La ricorrente denuncia, in una con vizi di motivazione, la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., per quanto attiene alla disposta compensazione delle spese di lite. Osserva che la richiamata disposizione letta unitamente all’art. 149 disp. att. c.p.c. ed interpretata alla stregua dei principi di cui all’art. 24 Cost., comma 2, induce a ritenere irrilevante, ai fini della valutazione della soccombenza, il momento della decorrenza della prestazione stessa, una volta stabilita l’effettiva sussistenza del relativo diritto, incoerente essendo con questo accertamento la previsione dell’impossibilità, per la parte vittoriosa, di riversare l’onere economico del processo sulla controparte, la cui resistenza ha reso necessario il ricorso al giudice.

La esposta censura è priva di fondamento.

Questa Corte ha chiarito in materia (v., in particolare, Cass. n. 7716/2003) che la parte che agisca in giudizio per far valere il diritto ad una prestazione previdenziale o assistenziale, assumendo che i relativi fatti costitutivi esistono fin dal momento della presentazione della domanda giudiziale o da epoca ad essa anteriore, rimane, rispetto a tale assunto, sicuramente soccombente quante volte sia accertato che l’esistenza stessa si è perfezionata soltanto in un momento successivo.

Non rileva in contrario che le controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria si caratterizzino, anche quando richiedono lo svolgimento di un preventivo procedimento amministrativo, per la loro strumentalità ad un finale giudizio sul rapporto e non sull’atto.

E’ vero, infatti, che l’esclusione della funzione meramente impugnatoria impedisce che il giudice si limiti allo scrutinio di legittimità dell’atto amministrativo di diniego della prestazione, con riguardo alla situazione esistente al momento dell’atto stesso, e gli impone, invece, di tenere conto anche dei fatti costitutivi verificatisi in epoca successiva e perfino nel corso del giudizio; ma è ugualmente vero che la postulazione giudiziale di illegittimità del diniego della prestazione è espressione di un petitum avente ad oggetto un rapporto di durata maggiore (perchè implicitamente ne è allegato l’insorgere già al momento suddetto) di quello poi accertato dal giudice per effetto di tali sopravvenienze, ragion per cui è innegabile che il bene della vita effettivamente ottenuto si caratterizza in termini diversi e ridotti rispetto a quello postulato.

La situazione che ne segue è già stata esaminata dalla giurisprudenza di legittimità, che, in quest’ordine di idee, l’ha ricondotta ad un tipico fenomeno di soccombenza reciproca. Invero, con sentenza 27 novembre 1997 n. 11997, si è stabilito che è censurabile in sede di legittimità il diniego di compensazione delle spese processuali, nel caso in cui la pronuncia di merito abbia pretermesso di valutare la reciproca parziale soccombenza, implicita ogniqualvolta l’aggravamento di cui all’art. 149 disp. att. cod. proc. civ., per il diritto alla prestazione previdenziale, sia insorto nel corso del procedimento.

Reputa il Collegio di dovere dare continuità a questo orientamento che affida le sue ragioni ultime ad una corretta nozione della “soccombenza”, nella quale ravvisa un’applicazione di quello di causalità, che vuole non esente da onere delle spese la parte che col suo comportamento antigiuridico (per la trasgressione delle norme di diritto sostanziale) abbia provocato la necessità del processo.

In questa prospettiva, è incontestabile che non è priva di responsabilità, rilevante sul piano causale, la parte privata la quale si determini a pretendere dal competente organismo erogatore una provvidenza assistenziale allorchè non sia ancora in possesso dei requisiti di legge e ad intraprendere, dopo essersi visto opporre un legittimo rifiuto nella sede amministrativa, la via giudiziale il cui inizio si caratterizzi, a sua volta, per la persistente mancanza dei requisiti stessi, sì da giustificare la resistenza almeno iniziale della controparte. Ne consegue che questa responsabilità, non meno di quella gravante sulla controparte che abbia infondatamente perseverato nella sua resistenza pur dopo l’utile (per l’attore) sopravvenienza dei requisiti originariamente carenti, non esime da onere di spese giudiziali e determina la condizioni di reciprocità della soccombenza.

Del pari, alla stregua del suindicato principio di causalità, non è contestabile la parziale soccombenza della parte privata (idonea a giustificare la compensazione delle spese) nell’ipotesi in cui, sebbene il requisito sanitario sia risultato sussistente da epoca anteriore alla domanda giudiziale, questa abbia avuto ad oggetto il conseguimento della prestazione assistenziale con decorrenza correlata a data anteriore a quella in cui l’anzidetto requisito risulta essersi perfezionato (ai sensi dell’art. 149 disp. att. cod. proc. civ.) per effetto di aggravamenti successivi alla domanda amministrativa ma anteriori al procedimento giudiziario, in quanto, anche in tal caso, il riconoscimento della prestazione dal primo giorno del mese successivo a quello di accertata insorgenza del requisito sanitario equivale ad un accoglimento solo parziale della domanda (v., anche di recente, Cass. n. 7307/2011).

Per quanto precede, il ricorso deve essere rigettato.

Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11 nella specie inapplicabile ratione temporis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2011

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