Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19276 del 16/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/09/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 16/09/2020), n.19276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14930/2014 R.G. proposto da:

Linea Metalli Srl, rappresentata e difesa dall’Avv. Fabio Benincasa,

elettivamente domiciliato presso l’Avv. Alessandro Voglino in Roma

via F. Siacci n. 4, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 422/33/13, depositata il 3 dicembre 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 novembre

2019 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti della Linea Metalli Srl avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2006 ai fini Iva, Ires ed Irap, in relazione ad operazioni oggettivamente inesistenti, recuperando a tassazione la maggiore Iva e i costi indebitamente detratti, nonchè irrogando le conseguenti sanzioni.

L’impugnazione, accolta dalla CTP di Napoli, era rigettata dal giudice d’appello.

Linea Metalli Srl propone ricorso per cassazione con quattro motivi. L’Agenzia delle entrate deposita atto di mera costituzione ai fini della partecipazione alla discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo denuncia la nullità della sentenza per non aver rilevato l’acquiescenza parziale e il giudicato interno con riguardo alla declaratoria, da parte del giudice di primo grado, della nullità dell’avviso di accertamento per mancata notifica del verbale di constatazione elevato alla società cd. cartiera, la Raff Metalli Sas, terza fornitrice della contribuente.

1.1. Il motivo è infondato.

La sentenza di primo grado, riprodotta in ricorso ed esaminabile in relazione alla natura della doglianza, testualmente dispone: “Gli elementi indiziari forniti dall’AF, alla luce della evidenziata giurisprudenza, non si dimostrano dunque idonei a costruire fonte e principio di prova; tra l’altro, l’Agenzia in nessuna fase del presente procedimento, ha mai allegato i processi verbali redatti nei confronti delle altre società, che pure sono inseriti nella motivazione dell’accertamento, in chiaro contrasto con i principi contenuti nello Statuto del Contribuente”, per poi proseguire con una analisi sui principi dell’onere della prova e sul carattere degli elementi indiziari, in rapporto alle risultanze del giudizio.

Già il passaggio immediatamente anteriore, inoltre, si diffondeva sull’analisi degli elementi probatori in atti.

L’affermazione, dunque, non integra una ratio della statuizione della CTP, nè un capo autonomo della stessa ma costituisce, in piena evidenza, una mera argomentazione, espressa in via solo incidentale, a sostegno della valutazione sulla idoneità e attendibilità del materiale probatorio, dalla quale, tuttavia, non è stata fatta discendere una declaratoria di nullità o illegittimità dell’avviso.

La decisione di primo grado, del resto, ha accolto solo in misura parziale il ricorso stesso e in base ad una valutazione di merito diffusamente articolata, in termini, dunque, incompatibili con una asserita declaratoria di illegittimità dell’atto.

Sulla questione, pertanto, non sussiste nè un giudicato interno, nè, tantomeno, l’acquiescenza dell’Amministrazione finanziaria.

2. Il secondo motivo denuncia “vizio della sentenza per non aver rilevato il giudicato interno formatosi” in relazione alla contestata esistenza di un accordo criminoso con le società cd. cartiere con riparto dell’indebito risparmio d’imposta, che avrebbe individuato i ricavi da attività illecita da sottoporre a tassazione, nonchè dell’illegittimità del recupero Iva avendo la società operato in regime di reverse charge.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. La CTR ha ritenuto che “l’impugnazione proposta attiene al nucleo centrale della controversia”, ossia il carattere fraudolento delle operazioni realizzate e il complesso dei rapporti tra la contribuente e le altre società, “rispetto al quale le determinazioni assunte dall’Ufficio Finanziario… ne rappresentano una inevitabile doverosa conseguenza”, derivandone altresì che “la decisione in ordine al punto suddetto assorbe inevitabilmente tutte le ulteriori questioni”.

Tale conclusione è condivisibile.

2.3. Quanto al primo profilo, infatti, è proprio la contestata – ed accertata – effettuazione di operazioni oggettivamente inesistenti che giustifica e fonda un accertamento ricostruttivo del maggior reddito, restando conseguentemente travolta la statuizione del giudice di primo grado che, come nella sentenza della CTP in esame, abbia, invece, ritenuto non sorretta da adeguata prova la relativa contestata ripresa.

2.4. Quanto al rilievo sull’applicazione del regime dell’inversione contabile, poi, la questione investe un profilo in diritto, ossia il regime di detraibilità in caso di autofatturazione di operazioni inesistenti, che integra un posterius logico e giuridico rispetto alla valutazione della loro natura, la cui contestazione ha, dunque, carattere pregiudiziale ed impedisce il formarsi del giudicato.

Giova osservare, infatti, che nel caso di operazioni inesistenti in regime d’inversione contabile, il cessionario è l’effettivo soggetto d’imposta e l’Iva integrata a debito sulle fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti è dovuta, in base al principio comunitario di cui alla Dir. 1977/388/CE, art. 28-octies, par. 1, lett. d) (ora art. 203 dir. 2006/112/CE), anche quando si tratta di forniture inesistenti o diverse da quelle indicate in fattura. Ciò incide – per il combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, art. 19, comma 1, e art. 26, comma 3, – sul destinatario della fattura medesima che non può esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta mancando il suo presupposto, ovverosia la corrispondenza, anche solo soggettiva (e, a maggior ragione, se oggettiva) dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata (v. Cass. n. 2862 del 31/01/2019; Cass. n. 16679 del 09/08/2016).

3. Il terzo motivo denuncia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, identificato nella documentazione prodotta dalla contribuente, sulla quale la CTR ha “omesso di pronunciarsi sulla valenza probatoria”, e sui fatti rappresentati in detta documentazione, che attesterebbero l’effettività delle operazioni.

3.1. Il motivo, formalmente da ricondurre all’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modif. nella L. 7 agosto 2012 n. 134, applicabile ratione temporis, è inammissibile.

Al di là dell’assente riproduzione in ricorso della documentazione invocata, la CTR ha esplicitamente apprezzato la produzione della ricorrente affermando, a fronte della provata inesistenza delle società cartiere e della conseguente ineffettività delle operazioni, che “non è dato rinvenire alcuna plausibile prova contraria fornita dalla società appellata non risultando decisivi, soprattutto in considerazione del carattere personale della cartiera, quegli elementi addotti dalla ricorrente a dimostrazione dei rapporti commerciali intercorrenti tra le società, quali i pagamenti e gli acquisti effettuati dalla predetta società cedente”.

La CTR, dunque, ha valutato la documentazione prodotta dalla contribuente e ha ritenuto che la stessa non avesse una valenza probatoria tale da superare le risultanze introdotte dall’Ufficio.

La doglianza, quindi, si risolve in una censura sulla sufficienza della motivazione – non più ammissibile non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo a giustificazione della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti al rilevante probatorio ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Sez. U, n. 8053 e n. 8054 del 2014) – e, anzi, in una contestazione sulla valutazione delle prove operata dal giudice di merito, non consentita neppure nella vigenza dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella precedente formulazione.

Va sottolineato, del resto, il difetto della doglianza anche in punto di decisività, per esser la documentazione indicata – ivi compresa la consulenza di parte che delinea l’attività della società come “compatibile con le quantità e qualità dei materiali venduti” ancorata ad una ricostruzione meramente cartolare e ipotetica, che prescinde dall’effettività delle operazioni contestate.

4. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e dell’art. 53 Cost. per aver la CTR ritenuto la fondatezza della pretesa pur a fronte della carenza di prove da parte dell’Ufficio a sostegno della inesistenza oggettiva delle operazioni, essendo, al più, configurabile solo una situazione di inesistenza soggettiva, da cui l’illegittimità della pretesa recuperatoria.

4.1. Il motivo è inammissibile.

Anche tale doglianza, infatti, pur formulata come violazione di legge, si traduce, in realtà, in una censura sulla sufficienza della motivazione e in una contestazione sulla valutazione delle prove operata dal giudice di merito, il quale ha – come sopra rilevato ritenuto “la certezza della inesistenza della operazioni fatturate” per l’inesistenza delle stesse società che avrebbero dovuto effettuarle e l’assenza di ogni riscontro fattuale al loro compimento, esito non inciso dagli elementi introdotti dalla contribuente.

Tale accertamento è coerente, del resto, ai consolidati principi della Corte di cassazione e della Corte di Giustizia (v. Cass. n. 9851 del 20/04/2018; Cass. n. 25778 del 2014; Cass. n. 9108 del 2012; Corte di Giustizia 6 settembre 2012, Tóth, C-324/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14; Corte di Giustizia 19 ottobre 2017, SC Paper Consult, C-101/16), per cui l’Ufficio, qualora contesti al contribuente l’indebita detrazione per operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, raggiunta la quale incombe sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, a norma dell’art. 2697 c.c., onere nella specie non adeguatamente assolto.

Esula da tale ambito, poi, la prova della cd. buona fede o della consapevolezza della partecipazione fraudolenta e ciò per l’evidente considerazione che, in tale evenienza, la parte è necessariamente a conoscenza dell’assenza di una operazione economica, di cui la fattura costituisce mera espressione cartolare di eventi non avvenuti, da cui l’inesistenza di un diritto alla detrazione.

5. Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla per le spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2020

 

 

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