Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19274 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 19274 Anno 2018
Presidente: D’ANTONIO ENRICA
Relatore: BELLE’ ROBERTO

ORDINANZA

sul ricorso 5719-2013 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
C.F. 80078750587, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto rappresentato e difeso dagli avvocati
SERGIO PREDEN, LIDIA CARCAVALLO, ANTONELLA PATTERI,
LUIGI CALIULO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2018
1413

contro

CIANCOTTI DOMENICA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA GAVINANA 2, presso lo studio dell’avvocato MARIA
PAOLA MONTI, rappresentata e difesa dall’avvocato

Data pubblicazione: 19/07/2018

CLAUDIA PETTINARI giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8885/2011 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 20/02/2012 R.G.N. 5915/2009;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

R. G. n. 5719/2013

RILEVATO

che la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 8885/2011, ha respinto il
gravame proposto dall’I.N.P.S. avverso la sentenza del Tribunale di Velletri che
aveva accolto la domanda di ricalcolo della pensione di reversibilità avanzata da
Ciancotti Domenica, in ragione della sentenza n.495/1993 della Corte
Costituzionale e della necessità di considerazione, da essa imposta,

che secondo la Corte distrettuale l’appello dell’ente non si sarebbe confrontato
compiutamente con la decisione, introducendo elementi di fatto ormai preclusi e
rivendicando l’applicazione di aliquote di cui non era data adeguata contezza;
che l’Inps ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo, resistito
dalla Ciancotti;

CONSIDERATO

che l’I.N.P.S. denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la violazione dell’art.
416, terzo comma c.p.c., per essere state erroneamente ritenute tardive, dalla
Corte d’Appello, le contestazioni proposte dall’ente con il proprio atto di gravame
avverso la pronuncia del Tribunale di Velletri;
che il motivo è fondato;
che, come risulta dalla narrativa della sentenza impugnata, la Ciancotti,
premesso di essere titolare anche di pensione di vecchiaia, chiese al Tribunale di
Velletri il ricalcolo della pensione di reversibilità, sulla quale aveva ricevuto
l’integrazione al minimo sino al compimento della maggiore età della figlia
(marzo 1990), tenuto conto dell’integrazione al minimo quale ad essa spettante
in applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 495/1993;
che l’azione era stata proposta in quanto la ricorrente riteneva non corretto il
ricalcolo di tale pensione attuato dall’ente;
che il Tribunale di Velletri, accogliendo la domanda, ha dichiarato il diritto della
Ciancotti a percepire la pensione di reversibilità in misura pari al 60 % del
trattamento minimo stabilito dalla legge, con decorrenza dal 1.4.1990, data del
consolidarsi di tale pensione in capo alla sola ricorrente, condannando l’ente
previdenziale al pagamento delle differenze come calcolate nel conteggio in
allegato al ricorso;
che, secondo la Corte territoriale, l’I.N.P.S., con l’atto di gravame, avrebbe
proposto censure “generiche oltre che tardive”, in quanto tali da non confrontarsi

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dell’integrazione al minimo;

R. G. n. 5719/2013

in maniera compiuta con le ragioni della decisione e contenenti deduzioni ormai
precluse su aliquote e composizione del nucleo familiare;
che, nello stralcio dell’atto di appello riportato espressamente nel ricorso per
cassazione, l’I.N.P.S. risulta avere addotto l’erroneità della sentenza, perché con
essa si riconosceva alla superstite il 60 % della pensione integrata al minimo,
così determinandosi una “duplice applicazione dell’integrazione, considerando
che la pensione diretta della Ciancotti è già integrata”;

integrata al trattamento minimo che sarebbe spettata all’assicurato deceduto al
momento della morte”;
che tale censura costituisce semplice esplicitazione di un criterio di ricalcolo della
pensione di reversibilità integrata al minimo, corrispondente tra l’altro a quello
ritenuto, in motivazione, da Cass. S.U., 13 dicembre 2002, n. 17888 e, più di
recente, da Cass. 30 settembre 2011, n. 20104;
che la prospettazione del corretto criterio giuridico di ricalcolo non è suscettibile
di essere considerata tardiva in sede di appello, in quanto essa, come
giustamente rileva l’Istituto, attiene ai fatti costitutivi del diritto rivendicato e
quindi ogni contestazione in proposito ha il carattere della mera difesa;
che inoltre la posizione difensiva dell’I.N.P.S., postulando il riconoscimento della
misura del diritto nel 60 % della pensione del coniuge deceduto quale integrata
al minimo al momento della morte, oltre incrementi successivi, contiene una
configurazione diversa del diritto, rispetto a quella riconosciuta dal Tribunale di
Velletri e pari al 60 % dell’integrazione al minimo quale prevista dal 1.4.1990 in
poi;
che il determinarsi o meno, su tale diversa base di calcolo, di risultati diversi,
doveva essere oggetto di valutazione da parte della Corte d’Appello;
che la violazione denunciata attiene in parte all’art. 416 c.p.c., norma indicata
dall’ente nel motivo di ricorso (sotto il profilo dell’erronea affermazione in ordine
al determinarsi di una decadenza della parte originariamente convenuta, per
avere in ipotesi introdotto fatti successivamente allo spirare del termine per la
costituzione in giudizio) ed in parte, ciò evidenziandosi in ragione del principio
iura novit curia, all’art. 434 c.p.c., avendo la sentenza della Corte la sostanza di
una pronuncia di inammissibilità dei motivi di gravame;
che, in definitiva, la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare la
prospettazione critica dell’ente previdenziale sopra riportata e rispondere rispetto
alla correttezza giuridica o meno di essa, eseguendo in caso positivo i necessari
calcoli e confrontandoli con la pretesa come indicata dalla ricorrente ed accolta

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che, secondo l’I.N.P.S., tale aliquota del 60% andava applicata “sulla pensione

R. G. n. 5719/2013

dal primo giudice e valutando altresì se il diritto come riconosciuto dal Tribunale
e destinato a produrre effetti anche sulla misura a venire della pensione fosse o
meno conforme a legge;
che pertanto la sentenza impugnata va cassata, perché processualmente
illegittima, con rinvio della causa alla medesima Corte d’Appello, in diversa
composizione, onde sia valutato nel merito quanto dedotto dall’I.N.P.S. con le

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le
spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa
composizione.

Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 29.3.2018.

ragioni di appello sopra sintetizzate;

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