Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19273 del 07/07/2021

Cassazione civile sez. I, 07/07/2021, (ud. 14/04/2021, dep. 07/07/2021), n.19273

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9417/2015 proposto da:

Motive S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Due Macelli n. 66, presso

lo studio dell’avvocato Dragotti Gualtiero, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Cerasi Francesco, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Zhejiang Wuma Reducer Co. Ltd, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via XXIV Maggio n.

43, presso lo Studio Legale Chiomenti, rappresentata e difesa dagli

avvocati Curcuruto Monica, Martuccelli Silvio, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3520/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 07/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/04/2021 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

La Corte di appello di Milano, con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto l’impugnazione del lodo emesso dalla Camera arbitrale di Milano in data 16 luglio 2007 (procedimento n. 6709, Prot. 6709, Arbitro unico Dott. K.J.) proposta con richiesta di declaratoria di nullità ex art. 829 c.p.c., comma 1, n. 10, da Motive SRL (di seguito, Motive) nei confronti di Zhejiang Wuma Reducer Co. Ltd (di seguito, Wuma).

La fase arbitrale era stata avviata con la domanda del 1/6/2009 con cui Motive aveva richiesto la nomina di un arbitro alla Camera Arbitrale Nazionale ed Internazionale di Milano, alla stregua della clausola compromissoria contenuta nel contratto di collaborazione stipulato con Wuma in data 30 giugno 2003.

La clausola in questione aveva il seguente tenore “Any dispute arising out or in connection with the present contract shall be finally settled in accordance with the rules of conciliation and arbitration of the international chamber of commerce of Milan, by one or more arbitrators designated in accordance to said rules” e cioè “Ogni controversia nascente da o in connessione con il presente contratto sarà decisa secondo le regole di conciliazione e arbitrato dalla camera di commercio internazionale di Milano, da uno più arbitri nominati secondo detta regole”. Wuma eccepì nell’immediatezza l’inapplicabilità al procedimento del Regolamento della Camera arbitrale di Milano e chiese che sulla questione dell’improcedibilità del giudizio si pronunciasse il Consiglio Arbitrale. Impregiudicata ogni decisione al riguardo da parte dell’arbitro, il Collegio Arbitrale procedette alla nomina dell’arbitro unico e questi accolse l’eccezione sollevata da Wuma.

La Corte di appello ha ritenuto ammissibile l’impugnativa perchè, pur richiamando l’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 10, risultava fondata sull’allegazione di errori di diritto dell’Arbitro unico nell’individuazione corretta dell’Organo arbitrale e, quindi, sulla sussistenza di un effettivo potere decisorio ed ha osservato che ciò integrava una questione di merito la cui soluzione richiedeva l’interpretazione della clausola arbitrale secondo i normali canoni ermeneutici codicistici in tema di interpretazione dei contratti (artt. 1362 c.c. e segg.) e l’indagine in ordine alla determinazione della “comune intenzione delle parti” circa il contenuto oggettivo che le stesse avev’lnteso dare alla clausola. Ha quindi concluso per il rigetto dell’impugnazione, dopo avere vagliato il procedimento ermeneutico svolto dall’Arbitro ed avere accertato che questi, avendo rilevato che la clausola era stata stipulata “con carenza di chiarezza” aveva proceduto alla sua interpretazione per comprendere quale fosse la volontà delle parti e che in questa attività ermeneutica aveva adottato una decisione esente da errori di diritto, inteso come malgoverno delle regole interpretative codicistiche, giungendo alla conclusione che le parti non avevano inteso devolvere le loro controversie alla Camera Arbitrale di Milano. La Corte distrettuale ha rimarcato che l’intrinseca opinabilità della scelta interpretativa dell’Arbitro non poteva fondare la nullità del lodo in quanto non erano stati pretermessi i principi generali dell’interpretazione, applicati correttamente.

Motive SRL ha proposto ricorso per cassazione con tre mezzi, corroborato da memoria. Zhejiang Wuma Reducer Co. Ltd ha replicato con controricorso e memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 5, art. 823 c.p.c., comma 2, n. 3 e art. 829 c.p.c., comma 2.

La ricorrente censura la statuizione con cui la Corte di appello ha affermato che “la decisione dell’Arbitro sulla esistenza e i limiti del suo potere decisorio è impugnabile non ai sensi dell’art. 829 c.p.c., n. 10, ma unicamente ai sensi del combinato disposto dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 5 e art. 823 c.p.c., comma 2, n. 3” e cioè quando la motivazione risulti inidonea alla comprensione dell’iter decisionale (questione non dedotta con l’impugnazione) ovvero “ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 2, n. 3, per violazione e falsa applicazione delle regole ermeneutiche codicistiche sulla competenza” (fol. 7 della sent. imp.).

A parere della ricorrente la Corte meneghina, per assumere la sua decisione, si sarebbe basata su una ricostruzione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 5, art. 823 c.p.c., comma 2, n. 3 e art. 829 c.p.c., comma 2, ratione temporis applicabili, del tutto erronea perchè riferita al contenuto di dette norme anteriore alla riforma introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, laddove la disciplina applicabile era quella successiva all’entrata in vigore della riforma (2 marzo 2006) come previsto dall’art. 27, comma 4, dello stesso D.Lgs., essendo stato proposto il giudizio arbitrale con domanda del 1 giugno 2009.

Sostiene, quindi, che dette norme, nell’attuale formulazione, non avevano la minima attinenza con gli argomenti in diritto posti a fondamento della decisione della Corte territoriale, mentre l’unica disposizione rilevante era proprio l’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 10, secondo il quale “L’impugnazione per nullità è ammessa, nonostante qualunque preventiva rinuncia, nei casi seguenti:… 10) se il lodo conclude il procedimento senza decidere il merito della controversia e il merito della controversia doveva essere deciso dagli arbitri”, atteso che nel caso di specie la controversia non era stata decisa nel merito.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 10.

La ricorrente censura la statuizione con cui la Corte distrettuale ha affermato “l’impugnante Motive ha sostanzialmente inteso censurare la scelta interpretativa operata dall’Arbitro, ossia l’esercizio della sua discrezionalità, che non può essere oggetto di impugnazione per nullità: l’opinabilità della scelta interpretativa e quindi la possibilità di affermare soluzioni interpretative diverse dall’opinione adottata sfugge alla sanzione di nullità della decisione arbitrale, se questa è motivata e ha seguito nell’iter argomentativo, i criteri interpretativi codicistici, come nella fattispecie” (fol. 11 della sent. imp.)

Sostiene che l’interpretazione della clausola compromissoria, alla luce della riforma del 2006 e di Cass. Sez. U. n. 24152/2013 incide sul potere di azione delle parti e, quindi, travalica il merito della controversia e incide sull’esercizio del diritto di azione che al diritto sostanziale è connesso.

Prospetta che l’eccezione di compromesso è un’eccezione di rito equiparata ad un’eccezione di competenza per territorio derogabile ove a venire in considerazione sia una convenzione di arbitrato interno, e ad un’eccezione di giurisdizione ove la deroga sia a favore di un arbitro straniero. Ne trae la conseguenza che l’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 10 – di cui aveva chiesto l’applicazione con l’impugnazione – concerne anche l’ipotesi in cui gli arbitri abbiano definito il procedimento con una pronuncia di rito, affermando l’esistenza di un impedimento processuale in realtà non sussistente “nel prevedere espressamente come motivo autonomo di impugnazione la mancata pronuncia nel merito della controversia, ha voluto attribuire all’Autorità Giudiziaria ordinaria la possibilità di riconsiderare in toto la questione della competenza per come decisa dall’Arbitro (e, quindi, di rivalutare anche nel merito le scelte compiute dall’Arbitro nell’interpretazione della clausola, e ciò in quanto destinate a incidere sul diritto della parte di ottenere giustizia attraverso lo strumento alternativo dell’arbitrato” (fol. 22 del ric.).

1.3. Con il terzo motivo si denuncia l’omessa e/o comunque insufficiente motivazione in ordine alla ritenuta inapplicabilità dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 10, ed alla non impugnabilità per nullità dell’esercizio discrezionale dell’arbitro di optare per una scelta piuttosto che per un’altra sulla questione di competenza.

Il motivo svolge i medesimi argomenti del secondo motivo, sotto il profilo della insufficiente motivazione.

2.1. I motivi, da trattarsi congiuntamente perchè strettamente avvinti, sono infondati.

2.2. Innanzi tutto, risulta decisivo rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di chiarire, quanto al profilo della applicabilità della novella introdotta nel 2006, che “In tema di arbitrato, l’art. 829 c.p.c., comma 3, come riformulato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 24, si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui al cit. D.Lgs. n. 40, art. 27, a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore della novella (2 marzo 2006), ma, per stabilire se sia ammissibile l’impugnazione per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, la legge – cui l’art. 829 c.p.c., comma 3, rinvia – va identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato, sicchè, in caso di convenzione cd. di diritto comune stipulata anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina, nel silenzio delle parti deve intendersi ammissibile l’impugnazione del lodo, così disponendo l’art. 829 c.p.c., comma 2, nel testo previgente, salvo che le parti stesse avessero autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile” (Cass. Sez. U. n. 9284 del 09/05/2016; cfr. anche Cass. n. 17339 del 13/07/2017; Cass. n. 14352 del 05/06/2018).

La decisione in esame riguarda una domanda di arbitrato proposta il 1 giugno 2009 relativa, tuttavia, ad una convenzione stipulata nel 2003 e la statuizione impugnata risulta immune dal vizio denunciato di violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 10 (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006), giacchè, in conformità con il principio espresso dalle Sezioni Unite, ha applicato l’art. 829 c.p.c., comma 2 (nella versione anteriore alla novella) che ammette l’impugnazione per nullità del lodo per violazione delle regole di diritto inerenti al merito, e lo ha fatto in relazione alla prospettata violazione o falsa applicazione delle regole ermeneutiche codicistiche di interpretazione dei contratti, avendo considerato che l’impugnante aveva denunciato proprio ciò, laddove aveva sostenuto “l’abbaglio” dell’Arbitro unico nell’interpretare la clausola” (fol. 7 della sent. imp.) in quanto dalla clausola compromissoria poteva dedursi – sempre, secondo Motive – che la Camera Arbitrale di Milano era la sola istituzione competente a decidere la controversia; ne consegue che la censura non coglie nel segno.

2.3. Va, quindi, considerato che in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia deciso sull’impugnazione per nullità del lodo arbitrale, la Corte di cassazione non può apprezzare direttamente il lodo arbitrale, ma solo la decisione impugnata nei limiti dei motivi di ricorso relativi alla violazione di legge e, ove ancora ammessi, alla congruità della motivazione della sentenza resa sul gravame, non potendo peraltro sostituire il suo giudizio a quello espresso dalla Corte di merito sulla correttezza della ricostruzione dei fatti e della valutazione degli elementi istruttori operata dagli arbitri (Cass. n. 2985 del 7/2/2018).

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha del tutto correttamente affermato che l’interpretazione della portata e del contenuto della clausola compromissoria di cui al contratto stipulato dalle parti è una questione di merito, demandata alla valutazione degli arbitri, in base ai parametri di cui agli artt. 1362 c.c. e segg.. Il giudizio di impugnazione del lodo arbitrale ha, invero, ad oggetto unicamente la verifica della legittimità della decisione resa dagli arbitri, non il riesame delle questioni di merito ad essi sottoposte, sicchè l’accertamento in fatto compiuto dagli arbitri, quale è quello concernente – come nella specie – l’interpretazione del contratto oggetto del contendere, non è censurabile nel giudizio di impugnazione del lodo, salvo che la motivazione sul punto sia completamente mancate od assolutamente carente (Cass. n. 19602 del 18/09/2020).

La censura in base all’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 10 – posta a fondamento di tutte e tre le doglianze, non è conducente, sia perchè non applicabile ratione temporis, sia perchè la Corte d’appello correttamente ha valutato che l’arbitro aveva fatto uso della propria discrezionalità decisoria – non impugnata per illogicità del percorso motivazionale – limitando la sua decisione alla complessa ed articolata interpretazione della clausola, in termini che lo ha indotto a declinare la propria potestas decidendi.

3. In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio che liquida in Euro 10.000,00, oltre Euro 200,00, per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15%, ed accessori di legge;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021

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