Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19272 del 22/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/09/2011, (ud. 10/05/2011, dep. 22/09/2011), n.19272

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.M., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato MORELLI ANTONINO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI

ANTONIETTA, STUMPO VINCENZO, DE ROSE EMANUELE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 917/2008 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 23/09/2008, r.g.n. 1017/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato CLEMENTINA PULLI per delega CORETTI ANTONIETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 23 settembre 2008) rigetta l’appello di S.M. avverso la sentenza del Tribunale di Siracusa in data 28 maggio 2004, di rigetto del ricorso proposto dalla S. in qualità di erede di S. B. – già dipendente AIAS (Associazione Italiana Assistenza Spastici), collocato in mobilità per l’anno 1996, dopo aver regolarmente riscosso il TFR – per ottenere una pronuncia di condanna dell’INPS all’erogazione delle somme corrispondenti alle ultime tre mensilità di retribuzione, ai sensi del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, art. 2.

La Corte d’appello di Catania precisa che:

a) è infondata la prima critica alla sentenza impugnata, secondo la quale il Tribunale non avrebbe considerato adeguatamente documentata la proposizione della domanda amministrativa, che invece l’INPS aveva riconosciuto essere stata presentata il 15 aprile 1997, data dalla quale il termine di prescrizione – inizialmente annuale e riferito solo alla presentazione della domanda amministrativa – diventerebbe quello ordinario decennale;

b) tale censura si basa, infatti, sull’erroneo presupposto secondo cui dopo la proposizione della suddetta domanda – entro un anno dalla cessazione del rapporto o dal completamento con esito negativo del tentativo di esecuzione – operi la ordinaria prescrizione decennale;

c) comunque, nella specie, rispetto alla domanda proposta il 15 aprile 1997, la conclusione dell’effetto estintivo del diritto non cambia facendo riferimento ad un atto di diffida dedotto in primo grado come posto in essere “verso la fine di febbraio 1998” ma in realtà rappresentato da una lettera sottoscritta dal difensore, priva di firma e di riscontro di spedizione all’INPS, ovvero a un meramente asserito ricorso al Comitato provinciale ovvero alla richiesta di un tentativo di conciliazione del 31 dicembre 1998, anch’essa non prodotta, nonostante nel corso del giudizio di appello siano stati concessi termini all’appellante per la suddetta produzione e all’INPS per produrre gli atti della fase amministrativa.

2. Il ricorso di S.M. domanda la cassazione della sentenza per quattro motivi; resiste, con controricorso l’INPS. La ricorrente ha depositato anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, – erronea e contraddittoria interpretazione e motivazione di un punto decisivo della controversia.

Si sottolinea che – pur prescindendo dalla considerazione dei tanti atti successivi alla domanda amministrativa cui può attribuirsi valenza sospensiva del termine prescrizionale l’esame e l’interpretazione letterale della disposizione di cui al D.Lgs. n. 80 del 1992, art. 2 portano a ritenere, inequivocamente, che il lavoratore con la presentazione della domanda (della cui tempestività non si dubita, nella specie) abbia esaurito le incombenze a suo carico, sicchè da quel momento in poi l’INPS deve dare corso al pagamento di quanto richiesto.

La Corte d’appello, invece, in base ad una “strana” interpretazione della norma ritiene che la suddetta domanda non avrebbe sospeso il termine prescrizionale, ma lo avrebbe solo interrotto, sicchè da quel momento la prescrizione avrebbe ripreso il suo corso.

2.- Con il secondo motivo di ricorso si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

La Corte d’appello non ha dato conto, nella motivazione, della mancata risposta dell’INPS alla richiesta della Corte stessa – sollecitata dalla ricorrente che aveva fatto presente che l’Istituto non aveva mai rilasciato ricevute degli atti consegnatigli – di produrre in giudizio gli atti successivi alla domanda amministrativa.

La Corte catanese non ha neppure preso in considerazione l’inutile evocazione dell’INPS dinanzi all’Ufficio del Lavoro e della Massima Occupazione per l’espletamento del tentativo di conciliazione, prescritto per l’inizio dell’azione giudiziaria, alla quale non può non riconoscersi valenza interruttiva della prescrizione.

3.- Con il terzo motivo di ricorso si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, – violazione e falsa applicazione di norme di diritto.

Si sottolinea che sia il Tribunale, sia la Corte d’appello, non hanno tenuto in nessuna considerazione il D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 e, pertanto, hanno applicato sia per la prescrizione del diritto sia per la decadenza dall’azione termini non conformi alla legge.

La ricorrente ha precisato che solo nel novembre 1998, in occasione del pagamento del TFR, l’INPS le ha comunicato che le ultime tre mensilità non le sarebbero state corrisposte, a causa della prescrizione, e che il provvedimento era ricorribile al Comitato provinciale.

Dopo la presentazione del suddetto ricorso, il 9 aprile 1999 la lavoratrice convocò l’INPS per il tentativo di conciliazione e l’Istituto non si presentò.

Conseguentemente dalla suddetta convocazione dovrebbe, per la ricorrente, decorrere il termine di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47. La normativa, infatti, prevede un termine triennale dalla richiesta di prestazione e un termine annuale dopo la comunicazione del provvedimento (in tal senso, si cita: Cass. 15 novembre 2004, n. 21595).

4.- Con il quarto motivo di ricorso si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per omesso esame dei documenti allegati, con conseguente vizio di motivazione.

Si sostiene che la Corte catanese ha respinto la domanda per difetto di prova in quanto non ha esaminato e vagliato la documentazione offerta dalla ricorrente.

5.- I motivi – da trattare congiuntamente, data la loro intima connessione – sono inammissibili, per molteplici ragioni.

6. Preliminarmente va rilevato che la formulazione di tutti i motivi non è conforme all’art. 366-bis cod. proc. civ. (applicabile nella specie ratione temporis), il quale, nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal n. 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. Civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (vedi, per tutte: Cass. 25 febbraio 2009, n. 4556).

7.- D’altra parte, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione del terzo motivo, tutte e quattro le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per asseritamente errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.

In tal modo, si sollecita una inammissibile lettura da parte del Giudice di legittimità delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718), oltretutto formulata in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

Come questa Corte ha più volte affermato e va qui ribadito: il ricorrente per cassazione, il quale intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – rispettivamente, imposto dall’art. 369 c.p.c., n. 4, e dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione del primo dei suddetti oneri rende il ricorso improcedibile, la violazione del secondo lo rende inammissibile (Cass. 4 settembre 2008, n. 22303; Cass. 3 luglio 2009, n. 15628; Cass. 7 febbraio 2011, n. 2966).

Nel caso di specie la ricorrente non ha affatto rispettato il suddetto principio per nessuna delle censure proposte.

8.- Con riferimento al quarto motivo, poi, ha anche formulato una censura assolutamente generica e quindi non conforme al consolidato e condiviso principio secondo cui il ricorso per cassazione richiede, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la rubrica del motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 cod. proc. civ. – è proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (vedi, per tutte: Cass. 19 agosto 2009, n. 18421;

Cass. 6 luglio 2007, n. 15263).

9.- In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e, in relazione alla data in cui è insorta la controversia, non vanno adottate pronunzie sulle spese.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 10 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2011

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