Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19271 del 16/09/2020

Cassazione civile sez. II, 16/09/2020, (ud. 21/02/2020, dep. 16/09/2020), n.19271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19434/2019 proposto da:

D.Y., elettivamente domiciliato in Fermignano (PU), via R.

Ruggeri n. 2/a, presso lo studio dell’avv.to GIUSEPPE BRIGANTI, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2940/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 12/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/02/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza pubblicata il 12 dicembre 2018, respingeva il ricorso proposto da D.Y., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Ancona aveva rigettato l’opposizione avverso la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che, a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. La Corte d’Appello, riteneva che le dichiarazioni rese dal richiedente non fossero attendibili e che il giudice di primo grado avesse correttamente valutato l’insussistenza delle condizioni per il riconoscimento delle situazioni soggettive invocate per ottenere la protezione internazionale.

Il richiedente aveva raccontato di essersi allontanato dal proprio Paese per paura delle conseguenze derivanti dalle minacce dello zio paterno che si era impossessato del patrimonio ereditario del padre e che gli aveva intimato di lasciare l’abitazione dove viveva con la madre, e che la denuncia fatta alla polizia era rimasta sostanzialmente priva di effetti. Tali dichiarazioni erano scarsamente credibili sotto molteplici aspetti, in difetto assoluto di minimi riscontri fattuali. In particolare, appariva inverosimile la circostanza che lo zio, dopo essersi preso cura della famiglia del richiedente, lo avesse poi minacciato di morte, unitamente ai suoi familiari non avendo ragione alcuna di temere per la sorte dei beni ereditari di cui si era impossessato, non essendoci alcun pericolo neanche dell’intervento della polizia che, secondo lo stesso racconto, si era disinteressata della questione. Nella specie, dunque, l’allontanamento dal Paese appariva riconducibile ad una decisione non dettata da situazioni che giustificavano alcuna forma di protezione. In tal caso non occorreva procedere ad un approfondimento istruttorio circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, in quanto la premessa indispensabile era che la versione fornita dal richiedente delle ragioni del suo espatrio fosse precisa e credibile.

Le medesime argomentazioni legittimavano il mancato riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria non trovando riscontri il rischio che il ricorrente potesse essere sottoposto a pena capitale, tortura o altra forma di trattamenti inumani o degradanti, ai sensi del menzionato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Non era neanche configurabile la fattispecie contemplata del citato art. 14, lett. c), non essendovi un conflitto inteso nel senso di guerra civile.

Dunque, in mancanza di elementi che potessero far ritenere particolarmente a rischio la situazione del ricorrente in relazione alla generale condizione del Paese di provenienza, doveva escludersi la possibilità di riconoscere il diritto alla protezione sussidiaria. La Guinea, infatti, non presentava condizioni tali da poter assimilarsi a quelle di un conflitto armato generalizzato come inteso dalle norme in materia di protezione sussidiaria.

Secondo la Corte d’Appello non vi erano, infatti, situazioni soggettive che legittimassero l’accoglimento della domanda di protezione, in quanto nei confronti dell’istante non erano ravvisabili lesioni di diritti umani di particolare entità. Mancava del tutto il requisito dell’effettività ed attualità del rischio richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), per la concessione della protezione sussidiaria, nonchè il requisito del conflitto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), considerato che la situazione della Guinea non poteva essere assimilata a quella di un conflitto armato tale da determinare un pericolo per il richiedente per il solo fatto del rientro nel Paese di origine.

Infine, anche per quanto riguardava la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, la Corte d’Appello confermava la correttezza delle argomentazioni del primo giudice in assenza di seri motivi di carattere umanitario risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano richiesti dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, peraltro neppure allegati dal ricorrente. Stante la diversità dei presupposti di tale misura rispetto alle misure di protezione internazionale sussidiaria non risultavano riscontrabili nel caso all’esame specifiche situazioni soggettive legate ad una condizione di particolare vulnerabilità del ricorrente, nè erano ravvisabili lesioni di diritti umani di particolare entità.

3. D.Y. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente senza svolgere attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c. per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35,artt. 112,132 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, art. 342 c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6, nonchè omesso esame circa un fatto per il decisivo per il giudizio.

Il ricorrente lamenta lacune motivazionali del provvedimento impugnato per quanto riguarda la mancanza di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, peraltro in primo grado il Tribunale aveva ritenuto credibile il racconto del ricorrente e sul punto non vi sarebbe stata alcun appello. Risultavano dunque violati gli artt. 112 e 342 c.p.c..

Il giudice di primo grado ha fondato la propria decisione sull’asserita irrilevanza della vicenda, ritenuta invece credibile, mentre la Corte d’Appello ha ritenuto non veritiere le affermazioni del dichiarante senza compiutamente argomentare in merito alle ragioni di tale asserita contraddittorietà o insufficienza in rapporto alla situazione socioeconomica politica del Paese di origine. Peraltro, la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto delle fonti internazionali citate dal ricorrente. Non vi sarebbe alcun riferimento neanche alla capacità delle istituzioni della Guinea di offrire protezione ai casi come quello narrato dal ricorrente.

Con riferimento alla domanda di riconoscimento di protezione per motivi umanitari, anche in questo caso la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe carente in relazione all’effettiva valutazione comparativa circa la condizione attuale del richiedente e quella che troverebbe nel Paese di origine.

Le medesime censure sono proposte anche in relazione all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio con riferimento alla giovane età del richiedente, al suo percorso migratorio e all’integrazione socio-lavorativa in Italia.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3 e art. 32 Cost., L. n. 881 del 1977, art. 11,D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 10, 13, 27 e 32, dell’art. 16 della direttiva Europea numero 2013/32 nonchè degli artt. 2, 3, – anche in relazione agli artt. 115 e 117 c.p.c. -D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5, 6, 7,14 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2.

Il ricorrente ribadisce che non essendo stato messo in discussione in sede di appello il giudizio di veridicità della narrazione operato dal giudice di prime cure, la Corte d’appello non poteva ritenersi investita della cognizione su tale aspetto, riformulando il giudizio con conclusioni opposte. Vi sarebbe anche la violazione del dovere di cooperazione istruttoria non essendo stata disposta l’audizione del ricorrente per colmare le lacune probatorie al fine di chiarire il contenuto delle sue dichiarazioni, anche con riguardo alle minacce alla vita concretamente subite e alla compromissione dei suoi diritti fondamentali.

Il ricorrente aveva espressamente chiesto di essere sentito in sede di interrogatorio libero in appello, cosa che non era avvenuta.

Le fonti informative di cui tenere conto devono essere attuali ed i fatti narrati devono essere messi in relazione con le condizioni sociopolitiche generali del Paese di origine. Nel provvedimento impugnato non sarebbe neanche specificata la capacità o meno della Guinea di offrire protezione, senza che rilevi se la vicenda narrata attenga alla sfera privata o pubblica del richiedente.

Con riferimento alla domanda di protezione umanitaria il ricorrente lamenta la mancanza di una valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e quella del Paese di origine al fine di valutare la vulnerabilità oggettiva e soggettiva.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e13 della CEDU e dell’art. 47 della carta dei diritti fondamentali dell’unione Europea e dell’art. 46 della direttiva Europea numero 2013/32.

La censura attiene al mancato rispetto del principio di effettività del ricorso: in presenza della denunciata violazione del dovere di cooperazione istruttoria lo stato membro interessato ha un dovere di cooperare attivamente per l’acquisizione di tutti gli elementi atti a sostenere la domanda.

4. I tre motivi di ricorso, che, stante la loro evidente connessione, possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

In primo luogo, deve respingersi la tesi del ricorrente circa il passaggio in giudicato della statuizione del primo giudice circa la credibilità del racconto del richiedente, in quanto non impugnata in appello.

Il ricorrente era risultato integralmente soccombente in primo grado rispetto alla domanda di protezione internazionale e il suo appello ha comportato necessariamente un riesame dell’intera vicenda.

A tal proposito è sufficiente richiamare il seguente principio di diritto: “Il giudicato non si determina sul fatto ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicchè l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame” (Sez. 6-3, Ord. n. 12202 del 2017).

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero operata dalla Corte d’Appello, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

Nel caso di specie la Corte d’Appello ha dato atto dei criteri in base ai quali valutare il racconto del richiedente, tenuto conto anche dell’onere probatorio attenuato e ha ampiamente motivato in ordine alle ragioni di non credibilità, sicchè il motivo si rivela del tutto infondato.

La critica formulata nei motivi costituisce, infatti, una mera contrapposizione alla valutazione che la Corte d’Appello ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

Peraltro, la ritenuta non credibilità del racconto rende priva di rilevanza la censura, costituendo un’autonoma ratio decidendi, idonea a sorreggere la decisione di rigetto della domanda.

Come si è detto, la Corte d’Appello ha ampiamente motivato sia in relazione alla non veridicità del racconto ed ha richiamato le fonti (Ministero degli affari esteri) in base alle quali ha ritenuto che la situazione complessiva della Guinea non fosse tale da determinare un rischio grave per il richiedente, sicchè è del tutto evidente che non vi è stato alcun omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, la censura si risolve in una richiesta di nuova valutazione dei medesimi fatti.

Inoltre, anche in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il ricorrente lamenta il riferimento a fonti non aggiornate ma non indica altre fonti più recenti che siano idonee a smentire quanto accertato dalla Corte d’Appello.

Il ricorrente, inoltre, deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla sua vicenda personale ed alla situazione generale della Guinea, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, sia quanto alla credibilità dei fatti narrati, sia quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata nei giudizi di merito.

Come si è detto, la Corte d’Appello ha ritenuto generico ed inverosimile il racconto del richiedente, indicando le incongruenze e contraddizioni riscontrate. Ha inoltre esaminato la situazione generale del Paese di origine, ritenendo di escludere una situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali della Guinea, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese). Invece l’esercizio di poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14 lett. a) e lett. b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, sia la credibilità del ricorrente che l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità.

All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

5. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Nulla sulle spese in assenza di attività difensiva del Ministero intimato.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2020

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