Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19268 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 19268 Anno 2018
Presidente: GIUSTI ALBERTO
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 20646-2015 proposto da:
ROMANO ADRIANO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA N.
RICCIOTTI 11, presso lo studio dell’avvocato MICHELE
SINIBALDI, rappresentato e difeso dagli avvocati STEFANO
D’ERCOLE, DANIELA RUSSO giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

PROVINCIA DI CHIETI, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAZZA DI MONTECITORIO N.1, PALAZZO DI MONTECITORIO,
presso lo studio dell’avvocato ANDREA COLLETTI,
rappresentato e difeso dall’avvocato GIANNI MARIA SARACCO
giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 253/2015 della CORTE D’APPELLO di
L’AQUILA, depositata il 18/02/2015;

Data pubblicazione: 19/07/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 04/05/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. Romano Adriano proponeva opposizione dinanzi al Tribunale
di Chieti – sezione distaccata di Ortona, al fine di ottenere

Provincia di Chieti per la violazione degli artt. 11 co. 3 e 52 co.
1 del D. Lgs. n. 22/1997, adducendo l’intervenuta prescrizione
della pretesa sanzionatoria ai sensi dell’art. 28 della legge n.
689/81 e comunque la decadenza per essergli stata notificata
l’ordinanza oltre i termini di legge. Nel merito sosteneva altresì
l’infondatezza della contestazione, in quanto aveva provveduto
ad inviare a mezzo posta ordinaria la comunicazione annuale
MUD nel termine prescritto, allegando altresì l’assenza del dolo
e della colpa.
Il Tribunale adito con la sentenza n. 251 del 19/12/2012
accoglieva l’opposizione e per l’effetto annullava l’ordinanza
ingiunzione.
Dopo avere ritenuto valida la notifica del verbale di
contestazione effettuata a mani della madre dell’opponente in
data 10/6/2003, riteneva tuttavia che fosse maturata la
prescrizione, in quanto occorreva avere riguardo alla data in
cui doveva essere compiuto l’atto, la cui omissione era stata
sanzionata.
Poiché la comunicazione del MUD relativa all’anno 2001 andava
eseguita entro la data del 31/12/2002, alla data della notifica
dell’ordinanza ingiunzione opposta (11/3/2008) era ormai
maturata la prescrizione quinquennale.
Avverso tale sentenza proponeva appello la Provincia di Chieti,
e nella resistenza del Romano, la Corte d’Appello di L’Aquila

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l’annullamento dell’ordinanza ingiunzione emessa dalla

con la sentenza n. 253/2015 del 18/2/2015 riformava la
decisione di prime cure, rigettando l’opposizione.
I giudici di appello rilevavano che non erano invocabili nella
fattispecie le previsioni di cui alla legge n. 241/1990, dovendo
prevalere per il principio di specialità le diverse disposizioni di

Quanto alla prescrizione rilevata dal Tribunale, osservavano
che l’art. 28 della legge n. 689/81 fa rinvio anche
all’applicazione delle norme in tema di interruzione della
prescrizione, dovendo quindi reputarsi che la notifica del
verbale di accertamento sia un valido atto interruttivo.
Avendo il Tribunale riscontrato la validità della notifica di tale
atto, che a sua volta era stato notificato entro 90 giorni dalla
conclusione dell’attività di accertamento ( art. 14 della legge n.
689/81), la successiva notifica dell’ordinanza opposta,
avvenuta in data 11/3/2008, era intervenuta nel termine di
prescrizione quinquennale, il che denotava l’erroneità della
decisione gravata.
Quanto al merito, dopo avere evidenziato che la normativa
vigente disponeva espressamente in ordine alle modalità di
invio della comunicazione annuale MUD, che lo stesso
ricorrente aveva attestato di avere inoltrato, ma solo in data
10/6/2003, e quindi in evidente ritardo, l’opposizione doveva
reputarsi infondata.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Romano Adriano sulla base di quattro motivi.
La Provincia di Chieti ha resistito con controricorso.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza

e del procedimento per la violazione e falsa applicazione degli
artt. 112 e 342 c.p.c., stante l’omessa pronuncia sull’eccezione
pregiudiziale di nullità dell’atto di appello.

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cui alla legge n. 689/1981.

Si rileva che l’appellato aveva dedotto la nullità dell’appello per
la sua genericità, in quanto non risultavano adeguatamente
specificati i motivi di gravame, ma che su tale eccezione la
Corte d’Appello non ha fornito risposta alcuna.
Il motivo è infondato.

atteso che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte
(cfr. da ultimo Cass. n. 1876/2018) il vizio di omissione di
pronuncia non è configurabile su questioni processuali.
Peraltro, sempre per costante giurisprudenza (Sez. 2, 4 ottobre
2011, n. 20311; Sez. 1, 20 settembre 2013, n. 21612), ad
integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la
mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è
necessario che sia stato completamente omesso il
provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del
caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata
comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte,
anche se manchi in proposito una specifica argomentazione,
dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando
la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente
esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logicogiuridica della pronuncia.
La decisione nel merito sul gravame proposto dalla Provincia
implica evidentemente una valutazione in termini negativi circa
la fondatezza della dedotta carenza dei requisiti di forma sostanza dell’atto di appello, dovendo quindi del pari escludersi
che ricorra la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c.
Quanto alla diversa violazione dell’art. 342 c.p.c., che risulta
applicabile nella fattispecie nella sua versione frutto della
novella del 2012, occorre ricordare che secondo la
giurisprudenza della Corte (cfr. Cass. n. 12280/2016), sebbene

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In primo luogo va esclusa la violazione dell’art. 112 c.p.c.,

relativa alla precedente formulazione dell’art. 342 c.p.c.,
affinché un capo di sentenza possa ritenersi validamente
impugnato, non è sufficiente che nel gravame sia manifestata
una volontà in tal senso, occorrendo, al contrario, l’esposizione
di una parte argomentativa che, contrapponendosi alla

motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logicogiuridico, anticipandosi in tal senso quanto poi disposto dal
legislatore.
Tuttavia e proprio con specifico riferimento a fattispecie
sottoposta alla vigente previsione normativa, e precisamente
alla novellata formula dell’art. 434 c.p.c., che, in materia di
processo del lavoro, ricalca in maniera quasi integrale la
previsione di cui all’art. 342 c.p.c., questa Corte ha specificato
che (cfr. Cass. n. 2143/2015) l’art. 434, primo comma, cod.
proc. civ., nel testo introdotto dall’art. 54, comma 1, lettera c)
bis del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, in coerenza
con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art.
342 cod. proc. civ., non richiede che le deduzioni della parte
appellante assumano una determinata forma o ricalchino la
decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al
ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed
esauriente il “quantum appellatum”, circoscrivendo il giudizio di
gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza
impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono
e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso
rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare
la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della
decisione censurata. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto
correttamente formulato un ricorso in appello, in cui le singole

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motivazione della sentenza impugnata, con espressa e

censure – attinenti alla ricostruzione del fatto e/o alla
violazione di norme di diritto – erano state sviluppate mediante
la indicazione testuale riassuntiva delle parti della motivazione
ritenute erronee e con la analitica indicazione delle ragioni
poste a fondamento delle critiche e della loro rilevanza al fine

anche da ultimo Cass. n. 17712/2016).
La questione è stata infine portata all’esame delle Sezioni Unite
di questa Corte che con la recente sentenza n. 27199/2017,
nel confermare l’orientamento antiformalista, già affermatosi
come prevalente nella giurisprudenza di questa Corte (vedi
pagg. 11 e seguenti della sentenza da ultimo citata), hanno
affermato il principio di diritto per il quale ” Gli artt. 342 e 434
c.p.c. nel testo formulato dal decreto legge 22 giugno 2012 n.
83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n.
134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve
contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti
contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative
doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte
argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal
primo giudice.
Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente
natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il
quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a
critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari
forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un
progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di
primo grado”.
Orbene posti tali principi, ai quali il Collegio intende assicurare
continuità, e ribadita la possibilità di procedere alla disamina
diretta degli atti processuali, atteso che il motivo in esame

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di confutare la decisione impugnata; in senso conforme si veda

denunzia un error in procedendo commesso dal giudice del
merito, si ritiene che le doglianze del ricorrente siano
infondate.
Il Tribunale aveva accolto l’opposizione del Romano
attribuendo portata risolutiva al riscontro della prescrizione,

comunicazione MUD (31/12/2002) e quella di notifica
dell’ordinanza opposta (11/3/2008) fosse decorso un termine
superiore ai cinque anni di cui all’art. 28 della legge n. 689/81.
Con l’atto di appello, la Provincia ha sottolineato la necessità di
attribuire valenza interruttiva della prescrizione alla notifica del
verbale di accertamento del 10/6/2003, con la conseguenza
che restava esclusa la maturazione della prescrizione (cfr. pag.
6 dell’atto di appello).
Ebbene il raffronto tra il tenore della sentenza appellata ed il
contenuto dell’atto di appello consente di affermare che il
secondo risulta redatto in conformità di quanto prescritto
dall’art. 342 c.p.c., avendo, in ragione del contenuto della
prima, addotto gli elementi specifici che risultavano idonei ad
inficiarne la correttezza, e ciò proprio alla luce della specifica
ratio che sorreggeva la decisione del giudice di prime cure.
3. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa

applicazione dell’art. 139 co. 2 c.p.c., in quanto i giudici di
appello, nell’escludere la ricorrenza della prescrizione, sono
partiti dall’assunto della validità della notifica del verbale di
accertamento del 10 giugno 2003.
Trattasi di affermazione erronea, in quanto non tiene conto
della circostanza che la notifica dell’atto in questione era stata
effettuata non già presso la residenza del destinatario, ma in
un luogo diverso, così che la consegna a mani della madre non
poteva far presumere l’avvenuta consegna dell’atto.

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assumendo che tra la data ultima prevista per l’inoltro della

Il motivo è inammissibile.
Come riferisce lo stesso ricorrente a pag. 11 del ricorso, la
questione relativa alla validità della notifica del verbale di
accertamento aveva costituito oggetto di specifica doglianza
con l’atto di opposizione, e come riferisce la stessa sentenza

notifica era senz’altro valida ed efficace.
Trattasi, a ben vedere, e come si rileva dalla lettura del ricorso
a pag. 3, di un vero e proprio motivo di opposizione, che è
stato espressamente disatteso dal Tribunale che ha invece
opinato per la validità della notifica dell’atto de quo.
Ne deriva che essendosi verificata la soccombenza
dell’opponente, questi, ancorché vittorioso per il resto, avrebbe
dovuto contestare la correttezza della decisione del giudice di
prime cure con la formulazione di un motivo di appello
incidentale condizionato (cfr. Cass. S.U. n. 11799/2017), così
che l’omessa proposizione di tale gravame fa si che sulla
questione sia caduto il giudicato interno, non essendo quindi
consentito riproporre la stessa in sede di legittimità.
La sorte del secondo motivo coinvolge poi anche il terzo
motivo, con il quale si deduce che proprio l’erronea valutazione
circa la validità della notifica del verbale di accertamento,
avrebbe impedito alla Corte di merito di poter esaminare
l’eccezione di nullità del procedimento sanzionatorio.
Ed, invero, in disparte la mancata rispondenza del motivo al
requisito di specificità di cui all’art. 366 co. 1 n. 6 c.p.c.,
operante anche laddove si deduca un error in procedendo (cfr.
Cass. S.U. n. 8077/2012), non avendo parte ricorrente
puntualmente riportato il contenuto del proprio scritto difensivo
nel quale risulterebbero riproposte ex art. 346 c.p.c. le
questioni reputate assorbite dal giudice di prime cure, è la

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oggi gravata a pag. 2, il Tribunale aveva affermato che la

medesima prospettazione della difesa del Romano ad ancorare
la fondatezza della eccezione di nullità del procedimento
sanzionatorio alla

nullità della

notifica del verbale di

accertamento, in quanto solo una volta riscontrata
quest’ultima, risulterebbe essere stato pregiudicato il proprio

Ne deriva che, non essendo più suscettibile di contestazione la
validità della notifica del verbale di accertamento, anche tale
doglianza non è suscettibile di riesame.
4. Il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione
dell’art. 14 della legge n. 689/81 in relazione agli artt. 11 co. 3
del D. Lgs. n. 22/1997 ed 1 della legge n. 70/1994.
Assume il ricorrente che erroneamente i giudici di appello
hanno reputato tempestiva la notifica del verbale di
accertamento ai sensi dell’art. 14 della legge n. 689/81.
Si evidenzia che sulla scorta delle norme applicabili, il termine
per la comunicazione annuale del MUD (Modello Unico di
Dichiarazione Ambientale) veniva a scadere il 30 aprile 2002,
con la conseguenza che, essendo intervenuta la notifica del
verbale solo in data 10/6/2003, risulta abbondantemente
scaduto il termine di cui all’art. 14 citato.
Anche tale motivo deve essere disatteso.
In tal senso si rileva innanzi tutto che già la sentenza di prime
cure aveva ritenuto, sebbene ai fini dell’individuazione del dies
a quo della prescrizione quinquennale, che il termine ultimo
per la presentazione della comunicazione annuale del MUD
fosse quello del 31/12/2002 (cfr. pag. 4 della sentenza
impugnata), affermazione questa che l’appellato non ha inteso
contrastare in via incidentale in sede di gravame, dovendosi
quindi reputare incontestabile l’affermazione compiuta sul
punto già da parte del Tribunale.

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diritto di difesa nell’ambito del procedimento sanzionatorio.

In relazione poi alla dedotta violazione dell’art. 14 della legge
n. 689/81, si rileva che secondo la giurisprudenza di questa
Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 18574/2014; Cass. n.
7681/2014) i limiti temporali entro i quali, a pena di estinzione
dell’obbligazione di pagamento, l’amministrazione procedente è

ritenersi collegati all’esito del procedimento di accertamento,
mentre la legittimità della durata di quest’ultimo va valutata in
relazione al caso concreto e alla complessità delle indagini, e
non anche alla data di commissione della violazione, dalla
quale decorre il solo termine iniziale di prescrizione di cui
all’art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689.
Peraltro (cfr. Cass. n. 9311/2007), l’attività di accertamento
dell’illecito non coincide con il momento in cui viene acquisito il
“fatto” nella sua materialità, ma deve essere intesa come
comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati
acquisiti e afferenti agli elementi (oggettivi e soggettivi)
dell’infrazione e, quindi, della fase finale di deliberazione,
correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la
sussistenza dell’infrazione medesima e ad acquisire piena
conoscenza della condotta illecita sì da valutarne la consistenza
agli effetti della corretta formulazione della contestazione,
competendo al giudice di merito determinare il tempo
ragionevolmente necessario all’Amministrazione per giungere a
una simile, completa conoscenza, individuando il “dies a quo”
di decorrenza del termine, tenendo conto della maggiore o
minore difficoltà del caso concreto e della necessità che tali
indagini, pur nell’assenza di limiti temporali predeterminati,
avvengano entro un termine congruo, essendo il relativo
giudizio sindacabile, in sede di legittimità, solo sotto il profilo
del vizio di motivazione (conf. Cass. n. 26734/2012).

Ric. 2015 n. 20646 sez. 52 – ud. 04-05-2018 -10-

tenuta a provvedere alla notifica della contestazione, devono

La sentenza di appello, avuto riguardo alla ormai non
contestabile data di compimento della violazione (31/12/2002),
nel richiamare i principi ora ricordati, ha ritenuto che la notifica
del verbale di accertamento fosse avvenuta nel rispetto del
termine di novanta giorni di cui al richiamato art. 14, tenuto

accertamento dell’illecito.
Trattasi di accertamento in fatto che non è sindacabile in sede
di legittimità, avendo parte ricorrente omesso altresì di
denunciarne, sebbene nei ristretti limiti in cui oggi è consentito
a seguito della novella dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., la carenza
motivazionale.
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
rimborso delle spese del presente giudizio che si liquidano
come da dispositivo.
6. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30
gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare
atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013),
che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico
di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza
dell’obbligo

di

versamento,

da

parte del

ricorrente,

dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrete al rimborso in favore
della Provincia di Chieti delle spese del presente giudizio che
liquida in complessivi C 1.700,00, di cui C 200,00 per esborsi,
oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori di
legge;

Ric. 2015 n. 20646 sez. 52 – ud. 04-05-2018 -11-

conto della necessità di assicurare la conclusione dell’attività di

Ai sensi dell’art. 13, co.

1 quater, del d.P.R. n. 115/2002,

inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza
dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del
contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art.

1 bis

dello stesso art. 13.

Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 4
maggio 2018.

Il Presidente
CULdi,

,rio GiudiziOrk.

NERI

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

i,v7L

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda

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