Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19267 del 20/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19267 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 20487-2011 proposto da:
ROMANO

UMBERTO

RMNMRT68B20L259R,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 2, presso lo
studio dell’avvocato ANTONINI GIORGIO, rappresentato e
difeso dall’avvocato ROBERTO FABLE, giusta delega in
atti;
– ricorrente –

2013
1951

contro

ROECHLING AUTOMATIVE ITALIA S.R.L. 08441430157, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
domiciliata in ROMA, PIAllA CAVOUR, presso la

Data pubblicazione: 20/08/2013

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
rappresentata e difesa dall’avvocato LANZINGER GIANNI,
giusta delega in atti;
– controrícorrente –

avverso la sentenza n. 7/2011 della CORTE D’APPELLO

dik

BOLZANO, depositata il 07/06/2011

r.g.n. 4/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/06/2013 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato GIORGIO ANTONINI per delega ROBERTO
FABLE;
udito l’Avvocato FRANCESCO PALUMBO per delega GIANNI
LANZINGER;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. COSTANTINO FUCCI, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

fSEZ.DIST. DI

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 7.6.2011, la Corte di Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano,
accoglieva il gravame proposto dalla società Roechling Automative Italia s.r..I. e riformava
la sentenza del Tribunale di Bolzano – che aveva annullato il licenziamento intimato a
Romano Umberto il 30.9.2009 con le conseguenze reintegratorie e risarcitorie ex art. 18
dello Statuto dei Lavoratori — rigettando ogni domanda proposta nel ricorso introduttivo.

standard di specificità richiedibile ex art. 7 I. 300/70, facendo la stessa seguito alla
sanzione della sospensione dal lavoro per tre giorni in relazione a precedente disciplinare
riguardante un’ assenza ingiustificata dal 24.8 al 26.8.2009, e contestandosi, con rilievo di
recidiva specifica, la mancata presentazione del Romano sul posto di lavoro, con
protrazione dell’assenza senza soluzione di continuità dal 27.8. al 28.8.2009 (residuo
periodo interessato dal richiamo in servizio dalla CIG di cui al telegramma del 21.8.2009).
Secondo il giudice del gravame proprio dalla connessione dei verbi e degli avverbi usati
poteva evincersi con chiarezza il senso della contestazione disciplinare che, d’altro canto,
in tali termini era stato inteso dal Romano – come desumibile dalla lettera di giustificazioni
del 18.9.2009 e dall’impugnativa di licenziamento – e dal contesto della comunicazione
scritta erano evincibili la successione cronologica delle assenze ingiustificate e l’oggetto
della contestazione. Sotto il profilo sostanziale, doveva ritenersi legittimo il recesso
datoriale ai sensi dell’art. 55 c.c.n.l. “Gomma e Plastica” del 4.7.2008 (assenze
ingiustificate prolungate oltre cinque giorni), essendosi l’assenza protratta per dieci giorni
lavorativi, di cui tre sanzionati già con sanzione conservativa ed i residui sette sanzionabili
ai sensi dell’art. 55 del menzionato contratto. Non aveva, poi, rilievo, secondo la Corte
territoriale, la circostanza che il richiamo in servizio non era prevenuto nel domicilio di
Napoli del lavoratore, atteso che era onere del predetto comunicarne la variazione.
Per la cassazione ricorre il Romano, affidando l’impugnazione a tre motivi.
Resiste, con controricorso, la società.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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Osservava la Corte adita che la contestazione disciplinare del 9.9.2009 rispondeva allo

Con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 c.
c. e dell’art. 55 c.c.n.l. Gomma e Plastica, ai sensi dell’ art. 360, n. 3, c.p.c., nonché
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo
per il giudizio, ex art. 360, n. 5, c.p.c., assumendo che la comunicazione contenente il
richiamo in servizio non era entrata nella sfera di sua conoscenza fino al 3.9.2009 e che
egli era rimasto semplicemente assente. La mancata comunicazione della variazione del

doveva considerarsi che il rapporto di lavoro versava in una situazione di sospensione. Si
duole dei tempi stretti in cui erano state fatte le successive comunicazioni, tra cui quella
relativa ad una blanda sanzione conservativa e del comportamento aziendale che, in
mancanza di riscontro, dovuto ad una mera dimenticanza nel comunicare il temporaneo
mutamento di domicilio, non aveva invitato gli altri lavoratori, in sua sostituzione, a
riprendere servizio. Osserva che non siano state valutate tutte le circostanze richiamate,
né l’elemento intenzionale, evidenzia che l’unica mancanza addebitabile era stata quella
della mancata comunicazione del cambio di domicilio e lamenta che il giudice abbia
omesso di considerare la fattispecie in concreto e la proporzionalità tra comportamento e
sanzione disciplinare.
Con il secondo motivo, il Romano si duole della violazione e/o falsa applicazione degli
artt. 7 e 18 I. 300/70, nonché dell’art. 55 c.c.n.l. Gomma e Plastica, ex art. 360, n. 3,
c.p.c., rilevando che nella contestazione mancava addirittura l’indicazione dei giorni di
assenza, fatto da ritenere decisivo, ed osserva che nella comunicazione della condotta
disciplinarmente rilevante non era stato richiamato l’art. 55 c.c.n.I., con la conseguenza
che il lavoratore non era stato messo in grado di poter bene comprendere che l’azienda
avrebbe potuto anche licenziarlo. Doveva, poi, essere valutato l’assolvimento dell’onere di
pubblicità previsto dall’art. 7 dello Statuto.
Quanto alle spese di lite osserva che, ai sensi dell’ art. 92 c.p.c., quelle relative ai gradi di
merito potessero essere compensate per l’intero.
Il ricorso è infondato.
Osserva la Corte che con riguardo ad entrambi i primi due motivi di impugnazione si
delinea una causa di improcedibilità, posto che le questioni poste non possono
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domicilio durante il periodo di c.i.g.s., ne aveva determinato il mancato rientro e, peraltro,

H–,2

prescindere dalla disamina della normativa collettiva di riferimento, che nella fattispecie
non è stata affatto prodotta. Si è, infatti, statuito (Cass. sez. lav. n. 15495 del 2/7/2009)
che “l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella nuova
formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – non può dirsi soddisfatto con la
trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il ricorrente si duole

parziale di un documento sia non solamente incompatibile con i principi generali
dell’ordinamento e con i criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui al citato D.Lgs. n.
40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, ma
contrasti con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dagli artt. 1362 cod. civ. e
seguenti e, in specie, con la regola prevista dall’art. 1363 cod. civ., atteso che la
mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre
parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione
esaustiva della questione che interessa”. Si è, altresì, precisato (Cass. sez. lav.
Ordinanza n. 11614 del 13/5/2010) che “l’onere di depositare i contratti e gli accordi
collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 369 c.p.c.,
comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – è soddisfatto
solo con il deposito da parte del ricorrente dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso
si fonda, senza che possa essere considerata sufficiente la mera allegazione dell’intero
fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato effettuato il deposito di detti atti o
siano state allegate per estratto le norme dei contratti collettivi, in mancanza di idonea
indicazione del luogo della relativa collocazione nell’ambito delle produzioni documentali
dei gradi di merito. In tal caso, ove pure la S.C. rilevasse la presenza dei contratti e
accordi collettivi nei fascicoli del giudizio di merito, in ogni caso non potrebbe procedere al
loro esame, non essendo stati ritualmente depositati secondo la norma richiamata” (cfr.,
tra le altre, Cass. 17.6.2011 n. 13353).
In ogni caso, le censure si rivelano infondate, atteso che la valutazione compiuta dal
giudice del gravame è ineccepibile in relazione alla valutazione della connotazione
disciplinarmente rilevante della condotta posta in essere, non potendo il lavoratore dolersi
del comportamento aziendale invocando una propria omissione imputabile a mera
dimenticanza nella comunicazione della variazione temporanea del proprio domicilio.
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attraverso le censure alla sentenza impugnata, dovendosi ritenere che la produzione

Al riguardo è sufficiente osservare che tanto più l’omissione acquisiva rilevanza in quanto,
versando il rapporto in stato di sospensione per effetto del collocamento in c.i.g. del
lavoratore, l’eventuale richiamo da parte del datore per consentirne il rientro
presupponeva la certezza del luogo ove inviare la relativa comunicazione, con onere a
carico del lavoratore di rendere conoscibile il luogo nel quale egli era reperibile. Devono,
invero, ritenersi applicabili, mutuandone la disciplina, le disposizioni di cui agli artt. 1334 e

onere del datore di lavoro e che la presunzione di conoscenza stabilita dall’art. 1335 cod.
civ. opera per il solo fatto oggettivo dell’arrivo della dichiarazione all’indirizzo del
destinatario, dovendosi per tale intendere il luogo più idoneo per la ricezione e cioè il
luogo che, in base ad un criterio di collegamento ordinario (dimora o domicilio) o di
normale frequenza (luogo di esplicazione di un’attività lavorativa) o per preventiva
comunicazione o pattuizione dell’interessato, risulti in concreto nella sfera di dominio o
controllo del destinatario (cfr., con riferimento ad ipotesi assimilabili, Cass. 23.12.2002 n.
18272, Cass. 28.7.2000 n. 9974).
Non può il Romano dolersi genericamente di una mancata considerazione in concreto
della fattispecie e di una omessa valutazione dell’elemento intenzionale da parte del
giudice del merito, atteso che la condotta è stata coerentemente da quest’ultimo reputata
oggettivamente idonea a configurare l’assenza ingiustificata contestata, non potendosi
conferire risalto alla dimenticanza addotta in sede di giustificazioni, prevalendo un principio
generale di correttezza nei rapporti tra le parti, rispetto al quale assumono rilevanza
comportamenti delle stesse rispettosi delle reciproche posizioni che non si rivelino lesivi
del rapporto fiduciario. E nella specie la sentenza impugnata ha fornito adeguata
motivazione, in linea con l’insegnamento giurisprudenziale di legittimità, secondo cui, per
stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il
carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in
particolare di quello fiduciario e la cui prova incombe sul datore di lavoro, occorre valutare
da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e
soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità
dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta,
stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del
prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione
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1335 cod. civ. in tema di atti unilaterali, con la conseguenza che non è configurabile alcun

disciplinare (V., tra le tante, Cass. 3.11.2011 n. 35). In ordine ai criteri che il giudice deve
applicare per valutare la sussistenza o meno di una giusta causa di licenziamento, la
giurisprudenza è pervenuta a risultati sostanzialmente univoci, affermando ripetutamente
(come ripercorso in Cass., n. 5095 del 2011 e da ultimo ribadito da Cass. 26.4.2012 n.
6498) che, per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento,
occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla

commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti
e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la
collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la
massima sanzione disciplinare. È stato, altresì, precisato (Cass., n. 25743 del 2007) che il
giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso istituzionalmente rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione della gravità
dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le
circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che tale
inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale
della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicché l’irrogazione della massima
sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento
degli obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966, art. 3) ovvero addirittura tale da non
consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.).
In tema di ambito dell’apprezzamento riservato al giudice del merito, è stato in maniera
condivisibile affermato (cfr. fra le altre, Cass. n. 8254 del 2004 e, da ultimo Cass.
6498/2012 cit.) che la giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consente la
prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto, è una nozione che la legge, allo scopo di
un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo,
configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali) di
limitato contenuto, delineante un modello generico che richiede di essere specificato in
sede interpretativa mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza
generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali
specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è
quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento
della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il
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portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati

parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire
giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al
giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici.
A sua volta, Cass. n. 9266 del 2005 ha ulteriormente precisato che l’attività di integrazione
del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c., (norma c.d. elastica) compiuta dal giudice di
merito – ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento – mediante

la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una
censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica
denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli “standards”, conformi ai valori
dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale.
Al riguardo deve rilevarsi che la decisione impugnata dal lavoratore sotto tale profilo
appare rispettosa dei principi di diritto enunciati in materia da questa Corte, in quanto il
giudice dal gravame ha dato conto delle ragioni poste a fondamento della stessa,
rilevando che la condotta del Romano, connotata da una recidiva nell’assenza dal lavoro
rispetto a precedente sanzione conservativa, anche sotto il profilo dell’elemento
intenzionale ha integrato un comportamento idoneo alla ravvisabilità della giusta causa del
recesso, sia perchè le eventuali convinzioni personali del ricorrente circa la riconducibilità
della fattispecie ad una mera dimenticanza nella comunicazione del domicilio temporaneo
di fatto sono del tutto irrilevanti a fronte del dato oggettivo della mancata presentazione al
lavoro a seguito di regolare invio della raccomandata presso il luogo dove secondo legge
la stessa doveva essere recapitata, sia perché ogni conseguenza negativa è imputabile
unicamente al predetto, che avrebbe dovuto predisporre, secondo un principio di buona
fede e di ordinaria diligenza, meccanismi idonei a rendere a lui conoscibile ogni
comunicazione datoriale
Nella specie, il licenziamento per giusta causa è stato adottato in coerenza con le
previsioni collettive, e con contestazione di recidiva specifica, e sarebbe stato pertanto
onere del lavoratore produrre la contrattazione di riferimento per contestare validamente
la riconducibilità della fattispecie concreta alla previsione collettiva. Né può sostenersi
che non sia stata operata la necessaria e congrua valutazione dell’elemento psicologico
della condotta posta in essere, posto che l’accertamento compiuto ha evidenziato la
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riferimento alla “coscienza generale”, è sindacabile in cassazione a condizione, però, che

sussistenza di un grado elevato di colpa tale da determinare un senso di profonda
sfiducia nei confronti del lavoratore, resosi autore di condotte analoghe, già in precedenza
sanzionate.
Il secondo motivo di ricorso va disatteso, per essere la censura formulata in dispregio del
principio di autosufficienza, in quanto l’assunto secondo il quale non era stata consentita la
perfetta cognizione delle conseguenze sanzionatorie connesse alla condotta addebitata,
asseritamente contestata senza alcun richiamo alla norma collettiva violata, avrebbe reso
necessario riprodurre nella sua integrità il testo della lettera di contestazione disciplinare,
nella specie non trascritta nel ricorso.
Infine, quanto alla censura relativa alla statuizione sulle spese delle fasi del merito,
occorre considerare che la decisione non contravviene all’insegnamento secondo cui nei
giudizi soggetti alla disciplina dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., come modificato
dall’art. 2, primo comma, lett. a), della legge 28 dicembre 2005, n. 263, ove non sussista
reciproca soccombenza, è legittima la compensazione parziale o per intero delle spese
processuali soltanto quando i giusti motivi a tal fine ravvisati siano dal giudice
esplicitamente indicati. Nella specie risultano esplicitate le ragioni poste a fondamento
della parziale compensazione, onde la violazione per come prospettata si rivela
insussistente.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del Romano e si liquidano nella
misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il Romano al pagamento delle spese di lite del
presente giudizio, liquidate in euro 50,00 per esborsi ed in euro 2500,00 per compensi
professionali,oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 4.6.2013

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