Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19267 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 17/07/2019, (ud. 30/05/2019, dep. 17/07/2019), n.19267

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8791/2014 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato CLEMENTINA

PULLI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

EMANUELA CAPANNOLO, MAURO RICCI;

– ricorrente –

contro

S.C., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato EMANUELE

MAGANUCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 623/2013 del TRIBUNALE di GELA, depositata il

01/10/2013 R.G.N. 1374/2012;

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. il Tribunale di Gela, con la sentenza in epigrafe indicata, pronunciando ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 7, ha condannato l’INPS ad erogare a S.C. l’assegno di invalidità civile;

2. per la cassazione della sentenza ricorre l’INPS, affidando il ricorso a due motivi, cui ha resistito, con controricorso, S.C..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

3. l’INPS, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento, violazione dell’art. 445 bis c.p.c., censura la sentenza impugnata per avere altresì pronunciato la condanna al pagamento del beneficio preteso sul presupposto della sussistenza delle condizioni reddituali e dello stato di incollocabilità al lavoro, anzichè limitarsi ad accertare il requisito sanitario all’esito del ricorso che la parte privata aveva tempestivamente proposto, dopo la formulazione della dichiarazione di dissenso alle conclusioni di insussistenza del requisito sanitario cui era pervenuto il consulente tecnico d’ufficio;

4. in continuità con i precedenti di questa Corte, da ultimo Cass. n. 9876 del 2019, vanno riaffermati i principi di seguito richiamati in ordine all’ambito del giudizio previsto dall’art. 445-bis c.p.c., u.c., e all’eventuale definizione, del giudizio di cognizione cui il Tribunale deve dar corso incentrato sulle questioni sanitarie rispetto alle quali vi sia contestazione, con statuizione di condanna al pagamento del beneficio richiesto, fornita o meno la prova della sussistenza dei requisiti extrasanitari previsti dalla legge;

5. la novella al codice di rito, con l’introduzione dell’art. 445 bis, ha avuto il dichiarato fine di realizzare una maggiore economicità dell’azione amministrativa, di deflazionare il contenzioso e di contenere la durata delle controversie previdenziali e assistenziali nei termini di ragionevolezza sanciti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;

6. il legislatore ha attribuito ad un più rapido accertamento della condizione sanitaria il valore risolutivo del considerevole numero di controversie e ha ritenuto che l’introduzione di un modello procedimentale improntato ad un sommario accertamento, seguito da un eventuale giudizio di cognizione, potesse sortire effetti acceleratori e deflativi del contenzioso;

7. la novella, come i precedenti di questa Corte hanno già rimarcato, ha coronato la riforma realizzata con il D.L. n. 78 del 2009, conv. con modif. in L. n. 102 del 2009, che ha accentrato nell’Inps la titolarità dell’accertamento del requisito sanitario per le provvidenze in materia di invalidità civile, cecità civile, sordomutismo, handicap e disabilità, e ha modificato, con il D.L. n. 203 del 2005, art. 20, comma 5, art. 10, comma 6, convertito nella L. n. 248 del 2005, eliminando l’obbligo di notifica degli atti introduttivi dei giudizi all’Avvocatura dello Stato e la qualifica di litisconsorte necessario del Ministero dell’Economia e delle Finanze;

8. inoltre, con lo stesso D.L. del 2009, art. 20, comma 3, ha disposto che, a decorrere dal 1 gennaio 2010, le domande volte ad ottenere i benefici nelle materie sopra indicate, complete della certificazione medica attestante la natura delle infermità invalidanti, sono presentate all’INPS, secondo modalità stabilite dall’ente medesimo;

9. l’Istituto trasmette, quindi, in tempo reale e in via telematica, le domande alle Aziende Sanitarie Locali per lo svolgimento della visita;

10. l’accertamento dei requisiti socio-economici o extrasanitari prescritti per ciascun beneficio previdenziale o assistenziale segue soltanto all’eventuale esito positivo dell’accertamento sanitario, non potendo darsi un inutile dispendio dell’azione amministrativa attraverso accertamenti non conseguenti ad una positiva verifica delle condizioni sanitarie richieste dall’ordinamento per fruire di una determinata prestazione;

11. l’invio del verbale di invalidità civile, cecità o sordità, attiverà la verifica amministrativa in ordine alla sussistenza dei requisiti extrasanitari per lo specifico beneficio richiesto dall’assistito;

12. la stessa sequenza modale e temporale è stata riprodotta con il rito sommario introdotto con la novella, concentrando nel preventivo accertamento giudiziale e nell’eventuale successivo giudizio di cognizione che ad esso fa seguito, il contraddittorio sulla condizione sanitaria di un beneficio negato dall’ente previdenziale esclusivamente per tale profilo ed oggetto esclusivo dell’interlocuzione tra ente previdenziale ed assistito già avvenuta nella pregressa fase amministrativa;

13. conferma questa simmetria l’art. 445 bis c.p.c., che ha individuato ipotesi di ricorso alla procedura per a.t.p.o. (oltre quelle previste dalla L. n. 222 del 1984) omogenee rispetto a quelle per le quali il procedimento di accertamento sanitario è ormai attribuito integralmente alla competenza dell’istituto previdenziale;

14. il richiamo al citato D.L. n. 203, art. 10, comma 6 bis, convertito, con modificazioni, dalla richiamata L. n. 248, conferma che l’Inps ne è parte necessaria;

15. tali considerazioni, unitamente al rilievo che l’accertamento sanitario omologato con il decreto previsto dall’art. 445 bis, comma 5, viene notificato agli enti competenti che, compiute le necessarie verifiche, provvedono al pagamento della prestazione, avalla la soluzione già adottata da questa Corte. con le sentenze nn. 6010, 6084 e 6085 del 2014 e n. 8533 del 2015, secondo le quali il procedimento per accertamento tecnico preventivo ha il fine di accertare la sussistenza delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa che si intende far valere, accertamento che, a mente del comma 5, in caso di mancata contestazione diviene immodificabile, ed è opponibile agli enti competenti per il beneficio richiesto;

16. è pur vero che costituisce principio condiviso e consolidato di questa Corte l’improponibilità di azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti che integrino solo elementi frazionari della fattispecie costitutiva di un diritto che può costituire oggetto di accertamento giudiziale solo nella sua interezza (v., fra le altre, Cass. n. 8533 del 2015 e la giurisprudenza ivi richiamata);

17. la premessa logica da cui muove tale conclusione (valorizzata, fra le altre, da Cass., Sez. U, n. 27187 del 2006) è che la tutela giurisdizionale è tutela di diritti (arg. ex art. 24 Cost., art. 2907 c.c., artt. 99 e 278 c.p.c.) e i fatti possono essere accertati dal giudice solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sè, per gli effetti possibili e futuri.

18. solo in casi eccezionali, predeterminati per legge, possono essere accertati i fatti separatamente dal diritto che l’interessato pretende di fondare su di essi (lo stato dei luoghi, per urgenti esigenze probatorie: art. 696 c.p.c.; sulla verità di un documento: art. 220 c.p.c., sulla verificazione di scrittura privata e art. 221 c.p.c., sulla querela di falso);

19. non sono ritenute, quindi, proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti pur giuridicamente rilevanti, ma che costituiscano elementi frazionistici della fattispecie costitutiva del diritto, la quale può costituire oggetto di accertamento giudiziale solo nella sua funzione genetica del diritto azionato, e cioè nella sua interezza (v., fra le tante, per l’inammissibilità dell’azione di mero accertamento dello stato di invalidità civile, Cass. n. 6731 del 2014, Cass. n. 1035 del 2015 e numerose successive conformi);

20. la novella introdotta nel 2011 va letta, dunque, tenendo conto della volontà deflativa ed acceleratoria perseguita dal legislatore, impedendo, tuttavia, che l’accertamento del requisito sanitario si ponga come fattore a sè stante, avulso dal diritto sostanziale che si intende realizzare, di cui non a caso fa esplicita menzione il citato art. 445 bis, comma 1, laddove individua la legittimazione attiva in capo a “chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti” e àncora l’accertamento sanitario alla “pretesa fatta valere”;

21. va dunque riaffermato, in continuità con Cass. n. 8533 del 2015, che con la novella del 2011 il legislatore, intervenendo anche sulla materia regolata dall’art. 147 disp. att. c.p.c., ha introdotto, limitatamente al procedimento per a.t.p.o, un accertamento giudiziale delle condizioni sanitarie, strumentale e preordinato all’adozione del provvedimento amministrativo dell’ente previdenziale di attribuzione di una prestazione, previdenziale o assistenziale, che dev’essere indicata nel ricorso;

22. l’accertamento, divenuto definitivo con il decreto di omologa, sarà poi vincolante nei confronti dell’ente previdenziale competente per l’erogazione, che, ai sensi dell’art. 445 bis, comma 5, dovrà limitarsi all’accertamento della sussistenza dei requisiti extrasanitari;

23. non di meno l’ammissibilità dell’a.t.p.o. presuppone, come proiezione dell’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), che l’accertamento medicolegale, pur sempre richiesto in vista di una prestazione previdenziale o assistenziale, risponda ad un concreto interesse del ricorrente che renda azionabile la pretesa al riconoscimento dei diritti corrispondenti alla condizione sanitaria allegata, al fine di evitare il rischio della proliferazione smodata del contenzioso sull’accertamento del requisito sanitario;

24. questa Corte ha già chiarito, agli effetti dell’ammissibilità dell’a.t.p.o., che il giudice adito accerti sommariamente, nella verifica dei presupposti processuali, oltre alla propria competenza, anche la ricorrenza di una delle ipotesi per le quali è previsto il ricorso alla procedura prevista dall’art. 445 bis, nonchè la presentazione della domanda amministrativa, l’eventuale presentazione del ricorso amministrativo, la tempestività del ricorso giudiziario; quanto al profilo dell’interesse ad agire, che il giudice valuti l’utilità dell’accertamento medico richiesto al fine del riconoscimento del diritto soggettivo sostanziale di cui l’istante si affermi titolare, utilità che potrebbe difettare ove manifestamente carenti, con valutazione prima facie, altri presupposti della prestazione previdenziale o assistenziale in vista della quale il ricorrente domanda l’accertamento tecnico (v., in tal senso, Cass. n. 5338 del 2014 cit.);

25. all’esito positivo di tale verifica e sussistenti, sulla base della prospettazione del ricorrente, i requisiti per dare ingresso all’accertamento tecnico, il giudice proseguirà nella procedura descritta dalla disposizione, dovendo altrimenti dichiarare il ricorso inammissibile, con pronuncia priva di incidenza con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale (come ritenuto da Cass. n. 5338 cit.), che non preclude l’ordinario giudizio di cognizione sul diritto vantato;

26. in assenza di contestazioni, viene emesso il decreto di omologa, espressamente definito non impugnabile giacchè il rimedio concesso a chi intenda precludere la ratifica delle conclusioni del consulente tecnico officiato nel giudizio sommario si colloca esclusivamente in un momento anteriore, ossia prima dell’omologa e nel termine fissato dal giudice per contestare la consulenza tecnica;

27. in assenza di contestazioni si chiude definitivamente la fase dell’accertamento sanitario; le conclusioni del consulente tecnico sono intangibili, il che si spiega considerando che sarebbe evidentemente illogico attribuire un rimedio impugnatorio avverso l’omologa alla parte che, nel momento anteriore ad essa, quando le era consentito farlo, non ha contestato la possibilità di ratificare le conclusioni del consulente tecnico su cui la medesima omologa si fonda (v., fra le altre, Cass. n. 12332 del 2015);

28. coerentemente con tale premessa, la dichiarazione di dissenso che la parte deve formulare, al fine di evitare l’emissione del decreto di omologa (ai sensi dei commi 4 e 5), può avere ad oggetto sia le conclusioni cui è pervenuto il consulente tecnico d’ufficio, sia gli aspetti preliminari che sono stati oggetto della verifica giudiziale e ritenuti non preclusivi dell’ulteriore corso, relativi ai presupposti processuali ed alle condizioni dell’azione come sopra delineati;

29. in mancanza di contestazioni, l’accertamento sanitario ratificato con il decreto di omologa diviene definitivo e non è successivamente contestabile, nè il decreto è ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost.;

30. se invece una delle parti contesti la possibilità del giudice di ratificare l’accertamento medico, si apre il procedimento di cognizione, con onere della parte dissenziente di proporre al giudice, in un termine perentorio, un ricorso contenente, a pena di inammissibilità, la specificazione dei motivi di contestazione;

31. la contestazione alle risultanze della consulenza tecnica è delineata, nell’art. 445 bis, come fattispecie a formazione progressiva articolata in due fasi distinte: la prima, con la dichiarazione di dissenso, la seconda, con la proposizione della domanda giudiziale ai sensi del comma 6, che non incontra preclusioni in relazione alle argomentazioni difensive, anche di natura tecnica, che possano essere svolte (sul termine per il deposito della dichiarazione di dissenso v. Cass. n. 24408 del 2018);

32. la parte che intenda contestare le conclusioni del consulente tecnico di ufficio è tenuta, a pena d’inammissibilità, a specificarne i motivi non già con la presentazione della dichiarazione di dissenso prevista dal comma 4, sibbene direttamente con il ricorso introduttivo del giudizio, previsto dal comma 6, poichè in assenza di interlocuzioni con il giudice o la controparte, non previste dalla norma, è processualmente inutile anticipare la specificazione delle ragioni di contestazione al momento della dichiarazione di cui al comma 4, tanto più che a quest’ultima potrebbe anche non seguire l’introduzione del giudizio di cognizione (v. Cass. n. 12332 del 2015 cit.);

33. i dubbi di costituzionalità del sistema così delineato, con riferimento agli artt. 3,24,38 e 111 Cost., sono stati dichiarati infondati dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 243 del 2014);

34. in riferimento alla previsione del termine perentorio per l’instaurazione del giudizio di merito, la Consulta ha rilevato che gli interventi diretti a comporre le contrapposte esigenze di concedere alla parte ulteriori strumenti di difesa e di assicurare al processo una ragionevole durata attraverso la previsione di termini perentori, richiedono apprezzamenti rimessi esclusivamente al legislatore (a tal fine richiamando Corte Cost. nn. 305 del 2001 e 855 del 1988);

35. il Giudice delle leggi ha aggiunto che “la prefissione di termini, con effetti di decadenza o di preclusione, è compatibile con l’art. 24 Cost., purchè i termini stessi siano congrui e non tali da rendere eccessivamente difficile per gli interessati la tutela delle proprie ragioni” (Corte Cost. n. 106 del 1973) “e che la lesione del diritto alla tutela giurisdizionale si ha solo quando la irrazionale brevità del termine renda meramente apparente la possibilità del suo esercizio” (così Corte Cost. n. 243 del 2014, cit.);

36. i sospetti di compatibilità costituzionale sono stati superati dalla Consulta proprio muovendo dalla struttura del ricorso per accertamento tecnico preventivo, come sopra delineata, osservando che “il termine perentorio di trenta giorni per il deposito del ricorso, ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6, risulta congruo, anche considerando che decorre dal deposito in cancelleria della dichiarazione di dissenso della parte medesima. Esso non è tale da rendere eccessivamente difficile agli interessati la tutela delle proprie ragioni, tenendo, altresì, conto che già il ricorso, con il quale si propone l’istanza di accertamento tecnico preventivo, contiene tutti gli elementi propri di un ricorso giurisdizionale, ai sensi dell’art. 125 c.p.c., o quanto meno l’esposizione sommaria delle domande o eccezioni alle quali la prova è preordinata (art. 693 c.p.c.) e, quindi, indica il diritto di cui il ricorrente si afferma titolare e alla cui realizzazione è finalizzata la detta istanza. Pertanto, il termine indicato contempera le esigenze di tutela del diritto di difesa con quelle di garantire una ragionevole durata del processo. Da ciò consegue anche la ragionevolezza della previsione in ordine alla necessaria specificazione nel detto termine, a pena di inammissibilità del ricorso, dei motivi della contestazione…Non si tratta di una ipotesi di “giurisdizione condizionata” ma della necessaria delimitazione del thema decidendum del giudizio di merito” (Corte Cost. n. 243 cit.);

37. il thema decidendum del giudizio di merito è, dunque, incentrato sulla contestazione delle conclusioni del consulente tecnico, anche se favorevoli al riconoscimento delle condizioni sanitarie per il diritto alla prestazione cui era finalizzato il ricorso per a.t.p.o., giacchè sussiste anche l’interesse dell’Inps a contestare dette conclusioni e a che il giudizio di merito non venga dichiarato inammissibile: il mancato deposito del ricorso introduttivo del giudizio entro il termine di 30 giorni dalla dichiarazione di dissenso avverso le conclusioni del consulente tecnico, nonchè la definizione del giudizio con sentenza di inammissibilità del ricorso, privano di conseguenze le contestazioni mosse alle conclusioni del consulente, ai sensi del comma 4, e consentono alla controparte di ottenere dal giudice il decreto di omologazione delle stesse (v., fra le altre, Cass. n. 8533 del 2015 cit.);

38. l’inappellabilità della decisione – espressamente delimitata al giudizio previsto dall’art. 445 bis, comma 6, – conferma l’introduzione di un procedimento giurisdizionale preventivo di accertamento del requisito sanitario richiesto dalla legge per un diritto ad una prestazione, previdenziale o assistenziale, lasciando impregiudicato l’ordinario giudizio, ex art. 442 c.p.c., deciso con sentenza soggetta agli ordinari mezzi di gravame;

39. la pronuncia sul solo requisito sanitario, e dunque la declaratoria che riconosca il diritto al beneficio preteso ricorrendone le condizioni sanitarie previste dalla legge, lascia impregiudicato, in futuro, l’accertamento in sede amministrativa dei restanti requisiti extrasanitari e, se contestati, in sede giudiziaria;

40. l’ordinamento ammette sentenze di condanna condizionata, allorquando l’evento condizionante sia realmente tale, quale fatto futuro ed incerto, e sussista interesse ad una pronuncia in tal senso; viceversa, stante l’obbligo generale del giudice di pronunciare su “tutta” la domanda (art. 112 c.p.c.), non è di regola ammesso che si chiuda il processo con l’accertamento solo di alcuni elementi della fattispecie costitutiva di un dato diritto, rimettendosi ad altro giudizio l’accertamento degli altri fatti costitutivi;

41. ciò a meno che, come è nel caso di cui all’art. 445 bis, u.c., la pronuncia sia, per legge, destinata a riguardare solo un elemento della fattispecie costitutiva, il requisito sanitario per beneficiare di una prestazione previdenziale o assistenziale, sicchè quanto in essa deciso non può contenere un’efficace declaratoria sul diritto alla prestazione, destinata a sopravvenire solo in esito ad ulteriori accertamenti, per quanto relativi a fatti antecedenti o concomitanti rispetto ad essa (v., in termini, Cass. n. 27010 del 2018);

42. ancora meno, in definitiva, può contenere una condanna dell’ente previdenziale all’erogazione del beneficio il cui compendio di elementi costitutivi, extrasanitari e sanitari, non sia stato ancora integralmente accertato, per essere avulso dal thema decidendum, per quanto fin qui detto, il vaglio di elementi extrasanitari neanche verificati, in sede amministrativa, prima della proposizione dell’accertamento tecnico preventivo;

43. in difformità con quanto fin qui illustrato, il Tribunale ha pronunciato condanna dell’ente previdenziale all’erogazione del beneficio, ritenute assertivamente esistenti tutte le condizioni di legge per il diritto al beneficio preteso, anzichè limitarsi alla mera affermazione della sussistenza del requisito sanitario o al più condizionarne l’erogazione alla sussistenza degli altri requisiti extrasanitari;

44. la sentenza impugnata va, pertanto, cassata e, per non essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, la Corte, decidendo nel merito, dichiara inammissibile la domanda di condanna dell’INPS al pagamento dell’assegno di invalidità in favore dell’assistito;

45.1a novità della questione non preceduta da un consolidato orientamento di legittimità all’epoca del deposito del ricorso consiglia la compensazione delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile la domanda di condanna dell’INPS al pagamento dell’assegno di invalidità in favore di S.C.; compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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