Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19265 del 19/07/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 19265 Anno 2018
Presidente: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI
Relatore: FEDERICO GUIDO

SENTENZA

sul ricorso 1519-2014 proposto da:
LOCANDA CAPITANO di SALVATORE CAPUTO & C. s.n.c. (già
TAVERNA DEL CAPITANO di SALVATORE CAPUTO & C.
S.N.C.),in persona dei soci collettivisti ed
amministratori Grazia Casa, Maria Caputo, Alfonso
Caputo, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIROLAMO
2018
1446

VITELLI 10, presso lo studio dell’avvocato DIEGO
BIANCHI FASANI, rappresentata e difesa dall’avvocato
VITTORIO SELLITTI;
– ricorrente e c/ricorréte al ric. incidentale contro

CAPUTO

IMMACOLATA,

MOLLO

LUIGI,

elettivamente

Data pubblicazione: 19/07/2018

domiciliati in ROMA, VIA ELEONORA DUSE 35, presso lo
studio dell’avvocato FRANCESCO PAPPALARDO,
rappresentati e difesi dall’avvocato MICHELE CHIANESE;
– c/ricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 3841/2012 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/03/2018 dal Consigliere GUIDO FEDERICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale

ALBERTO

CELESTE

che

ha

per

concluso

l’inammissibilità, in subordine per il rigetto sia del
ricorso principale, sia del ricorso incidentale;
udito

l’Avvocato

GIUSEPPE

VESCUSO,

con

delega

dell’Avvocato VITTORIO SELLITTI difensore della
ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
principale;
udito l’Avvocato MICHELE CHIANESE,

difensore dei

controricorrenti e ricorrenti incidentali,
chiesto

il

l’accoglimento

rigetto
del

del

ricorso

controricorso

incidentale e delle memorie.

che ha

principale
con

e

ricorso

di NAPOLI, depositata il 23/11/2012;

Fatto
Con citazione notificata il 25.2.1987 “La Locanda del capitano” di
Salvatore Caputo & c. snc, premesso che il legale rappresentante della
società, Caputo Salvatore, era proprietario di un fabbricato sito in
Massalubrense, adibito ad albergo ristorante, convenne in giudizio

illegittimamente impossessati di un vano seminterrato , a livello spiaggia
ed avevano commesso diversi abusi in danno della proprietà attrice,
quali:

l’ostruzione di una finestra in un muro comune;

l’ape ra di tre finestroni sempre su una parete comune;
l’ostruzione di tubature di scarico e di riscaldamento che
attraversavano i locali di proprietà della convenuta , nonché la
chiusura di una botola di accesso ad una fossa asettica;

la violazione delle distanze legali per la realizzazione di alcuni
manufatti;
l’abusivo esercizio di un’attività di ristorazione, concorrenziale con
quella della società attrice e fonte di immissioni di fumi e cattivi
odori.

L’attrice chiedeva, dunque, la condanna dei convenuti alla restituzione
del vano occupato ed alla eliminazione degli abusi lamentati, oltre al
risarcimento dei danni.
I conventi, costituitisi, concludevano per il rigetto delle domande ed
eccepivano l’intervenuto acquisto per usucapione del vano che l’attore
chiedeva in restituzione.
Il Tribunale di Torre Annunziata, espletata ctu ed assunta prova
testimoniale, condannò i convenuti a rilasciare all’attrice il locale di circa
20 mq. secondo la linea tracciata nella ctu;
Condannò inoltre i convenuti :

Immacolata Caputo e Luigi Mollo, esponendo che i convenuti si erano

a ripristinare la finestra esistente tra i rispettivi vani di proprietà e ad
eliminare i tre finestroni di areazione, aperti nel muro comune e senza
autorizzazione dell’attrice;
a rendere accessibile, con opere opportune, la rete fognaria
dell’attrice per le relative ispezioni;

seminterrato, in quanto realizzato in violazione della distanza ex art.
907 c.c. ult. comma.
Il Tribunale rigettò inoltre la domanda di condanna dei convenuti al
risarcimento dei danni.
La Corte d’Appello di Napoli, escluso il vizio di ultra-petizione della
sentenza di primo grado in ordine alla determinazione della
consistenza della proprietà della società attrice, affermò, nel merito,
che non risultava provata l’occupazione abusiva del locale di 20 mq.
da parte dei convenuti ritenuta dal primo giudice.
Il giudice di appello confermò invece la condanna dei signori Caputo
e Mollo al ripristino della finestra esistente, mentre ritenne che
l’apertura delle tre finestre sul muro perimetrale e con affaccio sul
cortile di proprietà comune rientrasse nell’uso legittimo della cosa
comune ex artt. 1102 c.c.
La Corte, inoltre, premessa la qualificazione del pergolato in legno
antistante il piano seminterrato come “costruzione”, e rilevato che
esso era stato realizzato successivamente al 1983 e dunque prima del
termine utile per l’usucapione, confermò la statuizione del primo
giudice, che ne aveva disposto la rimozione, ai sensi dell’art. 907 c.c.
Confermò altresí la statuizione di condanna dei signori Caputo e
Mollo a rendere accessibile, con opportune opere, la rete fognaria
della società attrice.

ad eliminare l’attuale pergolato in legno, antistante il piano

Venne infine confermata la reiezione sia della domanda avente ad
oggetto la cessazione delle immissioni provenienti dal ristorante dei
signori Caputo e Mollo, in quanto tali immissioni non eccedevano la
normale tollerabilità, sia quella di concorrenza sleale.
Per la cassazione di detta sentenza propone ricorso la Locanda del

I signori Caputo e Mollo resistono con controricorso e propongono
ricorso incidentale, affidato ad un motivo, cui la ricorrente principale
resiste con controricorso.
In prossimità dell’odierna udienza, i ricorrenti incidentali hanno
depositato memoria ex art. 378 cpc.
Considerato in diritto
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa
applicazione dell’art. 948 c.c. sotto il profilo della omessa, insufficiente
ed erronea motivazione sulla qualificazione della domanda.
Il motivo, oltre che intrinsecamente contraddittorio, in quanto la
medesima questione viene prospettata sotto profili diversi ed
incompatibili, quali la violazione di legge ed il difetto di motivazione,
senza una chiara enucleazione dello specifico vizio della sentenza che si
intende censurare (Cass. 19443/2011; 9793/2013 ) è inammissibile per
diversi profili.
Anzitutto, si fa valere il vizio di carenza motivazionale non più
censurabile alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 n.5) cpc,
applicabile ratione temporis al caso di specie, atteso che la sentenza è
stata depositata in data 23 novembre 2012.
Si osserva inoltre che il principio secondo cui l’interpretazione delle
domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di
fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione solo quando
si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio

capitano di Salvatore Caputo & c. snc, con cinque motivi.

riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto
e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.) od a quello del “tantum
devolutum quantum appellatum” (art. 345 cod. proc. civ.), vale a dire
nella denuncia di un “error in procedendo” , vizio che avrebbe dovuto, se
del caso, essere censurato, mediante la deduzione della diversa fattispecie

Con il secondo motivo si denuncia la violazione a falsa applicazione
dell’art. 948 c.c., in relazione all’art. 360 n.5) cpc, sotto il profilo del
vizio motivazionale della sentenza impugnata, in relazione all’errata
determinazione del bene oggetto della domanda di rilascio.
Pure tale motivo, come quello precedente è inammissibile, in quanto si
denunciano vizi tra loro incompatibili, quali la violazione di legge ed il
difetto di motivazione (Cass. 19443/2011; 9793/2013 ), non più
censurabile in forza della nuova formulazione dell’art. 360 n.5) cpc,
applicabile ratione temporis.
Anche sotto altro profilo il motivo è inammissibile, in quanto tende a
sollecitare un nuovo apprezzamento, nel merito, delle risultanze
istruttorie, estraneo al giudizio di legittimità, a fronte dell’accertamento
di fatto della Corte territoriale, logico, coerente ed adeguato, della
insussistenza della illegittima occupazione del locale da parte dei
resistenti, lamentata dall’odierna ricorrente.
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 903 e 1102 c.c., in
relazione all’art. 360 n.3) cpc, in quanto la Corte territoriale avrebbe
erroneamente applicato la disciplina degli artt. 903 e 1102 c.c. ,
omettendo di rilevare che l’apertura, praticata su un muro comune,
incorreva nel divieto di cui all’art. 903 comma 1 c.c.
Il motivo è infondato.
Conviene premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte la
regolamentazione generale sulle distanze è applicabile tra i condomini di

di cui all’art. 360 n.4) cpc (Cass. 21421/2014; 25259/2017).

un edificio soltanto se compatibile con la disciplina particolare relativa
alle cose comuni, dovendo prevalere in caso di contrasto la norma
speciale in tema di condominio in ragione della sua specialità. Pertanto,
ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 c.c. deve
ritenersi legittima l’opera realizzata senza osservare le norme dettate per

struttura dell’edificio condominiale (Cass. 30528/2017).
L’apertura di finestre ovvero la trasformazione di “luce” in “veduta” su
un cortile comune, in particolare, rientra nei poteri spettanti ai condomini
ai sensi dell’art. 1102 c.c, tenuto conto che i cortili comuni, assolvendo
alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, ben
sono fruibili a tale scopo dai condomini, cui spetta anche la facoltà di
praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile
comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni
prescritte, in tema di luci e vedute a tutela dei proprietari dei fondi
confinanti di proprietà esclusiva (Csss. 13874/2010; 14652/2013).
Qualora dunque, come nel caso di specie, il bene comune sia stato
utilizzato nell’ambito dei limiti e poteri spettanti al partecipante alla
comunione, l’esercizio legittimo di tali poteri esclude che possa invocarsi
la violazione delle disposizioni in materia di distanze tra proprietà
confinanti.
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di detti principi.
Il giudice di appello, accertato che lo spazio sul quale affacciavano i
finestroni per cui è causa era di proprietà comune, ha infatti ritenuto che
l’apertura di tali finestre rientrasse nell’uso legittimo della cosa comune
ex art. 1102 c.c., non risultando alcun pregiudizio ed anzi una migliore
fruizione del muro ed ha conseguentemente respinto la domanda di
eliminazione delle stesse.

regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la

Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione
dell’art. 948 c.c., in relazione all’art. 360 n.5) cpc, lamentando che il
giudice di appello abbia erroneamente ritenuto che la sentenza di primo
grado aveva preso in considerazione il solo pergolato in legno antistante
il pino seminterrato, e non anche la pedana in legno e le cabine su cui il

La ricorrente deduce al contrario che la rimozione disposta dal primo
giudice comprendesse l’intera struttura, costituita dai pali verticali, dalla
piattaforma e da tutto ciò che era stabilmente infisso al di sopra delle
stessa come le cabine.
Il motivo è inammissibile.
Esso, infatti, combina vizi eterogenei, quali la violazione di legge, in
relazione alla disposizione dell’art. 949 c.c., e quello di all’art. 360 n.5)
cpc, in relazione al quale non vengono peraltro indicati gli elementi
costitutivi, vale a dire l’omesso esame, da parte del giudice di appello, di
un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti.
L’ errata interpretazione degli atti processuali — segnatamente la sentenza
di primo grado – e delle difese delle parti costituisce peraltro
apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, neppure
astrattamente riconducibile alla violazione della disposizione di cui
all’art. 949 c.c. che ha ad oggetto i presupposti della negatoria servitutis.
Con il quinto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione
dell’art. 948 c.c. in relazione all’art. 360 n.5) cpc, lamentando il rigetto
della domanda di eliminazione delle immissioni di fumo ed odori.
Anche in tal caso, il motivo è intrinsecamente contraddittorio, in quanto
da un lato combina violazione di legge e vizio di motivazione, e
dall’altro risulta del tutto privo della indicazione degli elementi
costitutivi del vizio invocato (omesso esame di un fatto decisivo) e del
tutto generico.

pergolato si ergeva.

A fronte dell’apprezzamento di merito della Corte territoriale, secondo
cui le immissioni lamentate non eccedevano la normale tollerabilità,
logicamente ed adeguatamente argomentato, in quanto fondato sulle
risultanze della Ctu, la ricorrente si limita infatti a contestare,
genericamente, la valutazione di lieve entità delle immissioni formulata

Anche in questo caso, la censura dedotta, avente oggetto la valutazione di
normale tollerabilità delle immissioni, non è, in ogni caso, neppure
astrattamente riconducibile alla violazione della disposizione di cui
all’art. 948 c.c.
Passando al ricorso incidentale, con esso si censura la statuizione della
sentenza impugnata in forza della quale il pergolato in legno antistante il
piano seminterrato, a distanza inferiore a quella di cui all’art. 907 c.c. ,
doveva ritenersi realizzato solo a partire dal 1983, deducendo la
violazione dell’art. 360 n.5) cpc, nonché degli artt. 116 cpc e dell’art.
1158 c.c.
Il motivo è inammissibile, in quanto sovrappone vizi diversi ed
incompatibili, quali l’omesso esame di un fatto decisivo e la violazione di
norma processuale ( l’art. 116 cpc ) e sostanziale ( l’art 1158 c.c.).
Anche sotto altro profilo il motivo è inammissibile, in quanto tende a
sollecitare una nuova valutazione delle risultanze processuali, estranea al
giudizio di legittimità, in ordine all’accertamento della Corte territoriale
che il manufatto era stato eretto dopo il 1983 e quindi oltre il termine
utile per il perfezionamento dell’usucapione.
In conclusione, va respinto sia il ricorso principale che quello incidentale,
e la soccombenza reciproca giustifica l’integrale compensazione tra le
parti delle spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 sussistono i
presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e dei

dal ctu.

ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis
dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello

Spese compensate.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente
principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo, a titolo di
contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1 bis dello stesso art. 13.
Cosi deciso in R ma, il 13 aprile 2018
Il sons. st.

Il

4

*o Giudiziario
NFT:

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Roma,

1 9 LUG. 2018

incidentale.

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