Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19261 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 17/07/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 17/07/2019), n.19261

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5365-2017 proposto da:

L. ASSICURAZIONI DI M. & N.L. S.N.C., in

persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato

ANTONELLA PARISI, rappresentata e difesa dall’avvocato ADOLFO

LARUSSA;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

contro

P.S., domiciliata ope legis presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato GEROLAMO

ANGOTTI;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1444/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 12/11/2016 R.G.N. 312/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/04/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA CIRIELLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale e rigetto del ricorso incidentale;

udito l’avvocato ANTONELLA PARISI per delega verbale Avvocato ADOLFO

LARUSSA;

udito l’avvocato MICHELE DE CILLIS per delega scritta Avvocato

GEROLAMO ANGOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 1444/2016 depositata il 12.11.2016, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, per quanto qui rileva, ha condannato L.S. ASSICURAZIONI s.n.c. e L.N. a pagare a P.S. somme a titolo di differenze retributive e TFR conseguenti allo svolgimento di mansioni superiori (corrispondenti al III livello previsto dal CCNL in luogo del II livello di inquadramento).

2. La Corte di merito è pervenuta all’accoglimento della domanda, sui rilievi che:

– il datore di lavoro non avesse sostanzialmente contestato le mansioni concretamente svolte dalla ricorrente, per tutto il periodo lavorativo, e poste a fondamento della domanda di superiore inquadramento e che, a fronte della allegazione della lavoratrice di avere svolto sempre le medesime mansioni, per tutta la durata del rapporto di lavoro dal 1984 al 2010, il datore avesse disposto l’inquadramento nel III livello solo dal novembre 2004; il datore avesse riconosciuto di avere “formato” la lavoratrice, sin dall’inizio, per svolgere mansioni corrispondenti al livello superiore, giustificando l’omesso inquadramento formale con le numerose assenze per malattia, che però secondo il giudice di appello non erano risultate provate, se non per soli 30 giorni.

La Corte territoriale, in particolare, dopo aver richiamato i principi giurisprudenziali che governano gli oneri di allegazione in caso di domanda di superiore inquadramento ha ritenuto che le mansioni allegate dalla ricorrente fossero riconducibili al terzo livello invocato e ha accolto la domanda all’esito di CTU contabile, confermando per il resto, la sentenza di primo grado (quanto al rigetto della domanda per lavoro straordinario, premio di anzianità, restituzione della somma trattenuta a titolo di mancato preavviso, indennità sostitutiva per ferie e festività non godute, risarcimento del danno da mobbing, in carenza dei relativi presupposti).

5. Avverso tale sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione L.S. Assicurazioni s.n.c. e L.N., affidato ad un unico articolato motivo.

6. P.S. ha resistito con controricorso e ha proposto altresì ricorso incidentale contro la sentenza di appello, affidato a quattro motivi, cui la ricorrente principale ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I ricorrenti in via principale hanno censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, deducendo la violazione, errata applicazione ed interpretazione degli artt. 2103 c.c. e 2967 c.c., artt. 113 e 115 c.p.c., nonchè degli artt. 6 e 7 del CCNL per gli impiegati amministrativi delle medio-piccole agenzie generali del 15.07.1982 e ss., in cui sarebbe incorsa la Corte di appello di Catanzaro allorchè, valorizzando la omessa prova da parte del datore di lavoro quanto alle assenze per malattia nel primo periodo, avrebbe erroneamente ritenuto provato lo svolgimento di mansioni superiori, pervenendo sostanzialmente ad una inversione dell’onere della prova al riguardo. Per tale via, secondo i ricorrenti, la corte avrebbe ritenuto sufficiente la mera allegazione, da parte del lavoratore, di aver svolto mansioni superiori per pervenire all’accoglimento della domanda, senza rilevare, erroneamente, che occorreva l’adempimento dell’onere della prova ed anzi ritenendo che la stessa scaturisse dalla mancata dimostrazione da parte del datore, di una ipotesi alternativa.

2. Avrebbe poi errato, la corte, nell’applicare il principio di non contestazione, poichè, contrariamente a quanto ritenuto, il datore di lavoro aveva nei propri atti contestato lo svolgimento, da parte della ricorrente, delle funzioni di coordinamento delle attività di altri dipendenti e la ricorrente stessa era, del resto, sfuggita all’onere di comparare le declaratorie tra loro e le declaratorie e le mansioni in concreto svolte, allegazioni indispensabili ai fini della prova della domanda, nella prospettazione del ricorrente.

3. Con il primo motivo del ricorso incidentale P.S. ha a sua volta censurato la sentenza, deducendo il vizio di omessa ed insufficiente motivazione sulle domande che aveva proposto ai giudici di merito, con riguardo alle altre voci retributive rivendicate (riconoscimento di lavoro straordinario, ferie non godute ed indennità sostitutiva, festività e semi festività) deducendo l’errore in cui sarebbe incorsa la corte di appello ritenendo che non fosse provato il lavoro straordinario nonostante dalla prova testimoniale ne fosse emerso lo svolgimento, e omettendo una adeguata motivazione del rigetto delle domande per le altre somme richieste.

4. Con il secondo motivo del ricorso incidentale la P. ha censurato la sentenza per avere omesso la motivazione in ordine alle domande contenute nell’atto di appello relative all’adeguamento della posizione previdenziale ed al versamento dei contributi utili ai fini pensionistici.

5. Con il terzo motivo del ricorso incidentale la lavoratrice ha dedotto il vizio di omessa, insufficiente motivazione circa l’intento persecutorio del datore di lavoro e circa la “fattispecie di mobbing” in cui sarebbe incorsa la corte non rilevando nei fatti l’intento persecutorio e il nesso di causalità tra lo stesso e la malattia denunciata.

6. Con il quarto motivo del ricorso incidentale la P. ha dedotto la violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c. in cui sarebbe incorsa la corte ex art. 360 c.p.c., n. 3, nel compensare per 10/11 le spese di lite, nonostante la lavoratrice fosse parzialmente vittoriosa.

7. Il ricorso principale è infondato.

I ricorrenti si dolgono che la corte di appello abbia mal governato i principi relativi all’onere della prova in ordine allo svolgimento di mansioni superiori, e che il giudice territoriale abbia errato nel ritenere non contestate le allegazioni della lavoratrice, affermando, per un verso, di avere efficacemente contestato tali allegazioni, per altro verso, che le stesse non fossero corrispondenti ai principi giurisprudenziali che impongono precisi oneri di comparazione tra le declaratorie contrattuali coinvolte (corrispondenti alle mansioni svolte e a quelle rivendicate) e poi tra le declaratorie stesse e le mansioni di fatto svolte.

I ricorrenti, tuttavia, formulano tali doglianze sfuggendo al preciso onere, caratterizzante la specificità dei motivi di ricorso, di allegare, riportare ed indicare in maniera chiara le parti degli atti difensivi che assumono malamente valutati (tanto contenenti le invocate contestazioni, che le mancate allegazioni) cosicchè l’intera censura difetta di specificità, non avendo la parte trascritto i documenti da cui sarebbero ricavabili i dati in questione nè specificato con quale atto, in che termini e in quale fase processuale essi sarebbero stati sottoposti alla cognizione del giudice di merito.

Tale omissione si pone in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, previsto a pena di inammissibilità e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, previsto a pena di improcedibilità, finalizzati a consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (v. ex multis, (Cass., SU., 22 maggio 2014, n. 11308, Cass., 12 dicembre 2014, n. 26174; Cass., 7 febbraio 2011, n. 2966; Cass. 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. 22 febbraio 2010, n. 4201).

8. Il ricorso incidentale è infondato.

Preliminarmente occorre osservare come la ricorrente, tranne che per il quarto motivo, non provvede a indicare a quale dei motivi di impugnazione di cui all’art. 360 c.p.c. intenda fare riferimento.

I primi tre motivi, in particolare, contengono promiscuamente la contemporanea e solo generica deduzione di omesse o insufficienti motivazioni, senza adeguatamente specificare i singoli vizi che devono invece essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dall’art. 360 c.p.c., comma 1 in tal modo non consentendo una sufficiente identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure generiche e non comprensibili (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 14317 del 2016).

8.1.- Specificamente, quanto al primo motivo, con il quale la ricorrente incidentale si duole dell’omesso riconoscimento di altre voci retributive rivendicate (riconoscimento di lavoro straordinario, ferie non godute ed indennità sostitutiva, festività e semi festività), questa corte ha da tempo evidenziato come la valutazione sull’assolvimento dell’onere probatorio in ordine al lavoro straordinario prestato costituisca accertamento di fatto (Cass. n. 12434 del 2006; Cass. n. 3714 del 2009), così come quella in ordine alla mancata fruizione di permessi e ferie, per cui esse sono censurabili in sede di legittimità secondo i canoni imposti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella formulazione tempo per tempo vigente; ne discende che la censura formulata da parte ricorrente a mente di tale disposizione (deducendo il vizio di omessa o insufficiente motivazione) senza tenere conto che la sentenza impugnata è sottoposta al regime novellato, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, delle cui prescrizioni non si cura, è inammissibile.

8.2.- Analogamente deve ragionarsi per il terzo motivo, con il quale, la ricorrente, senza confrontarsi con la nuova disposizione, si duole della omessa/insufficiente e contraddittoria motivazione, in materia di mobbing, evocando letteralmente il vizio di cui alla pregressa formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non più invocabile in sede di legittimità, nel periodo in esame (appello iscritto nell’anno 2014).

8.3.- Parimenti inammissibile la censura formulata al secondo motivo, ove è dedotta l’omessa pronuncia su domanda formulata in appello, senza la compiuta allegazione dell’error in procedendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c. e – comunque – senza la indicazione, allegazione e localizzazione dei capi di domanda che si assume elusi dal giudice territoriale, il che rende la censura aspecifica e come tale non coerente con i presupposti giuridici e di rito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, (in particolare, per quanto qui interessa, alla regola di specificità dei motivi che si riporta al n. 4 di tale disposizione) e con i principi di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., SU., 22 maggio 2014, n. 11308).

8.4.- Infine infondato anche il quarto motivo di ricorso incidentale, con il quale la ricorrente, ex art. 360, n. 3, deduce il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92, in cui sarebbe incorsa la corte liquidando solo un undicesimo delle spese in favore della parte, pur vittoriosa parzialmente.

Ed infatti nessuna violazione di legge può essere riscontrata allorchè il giudice, in caso di accoglimento parziale della domanda, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., compensi in tutto o solo in parte, come nel caso di specie, le spese sostenute dalla parte vittoriosa (cfr. ex multis Sez. 3 -, Ordinanza n. 26918 del 24/10/2018, Rv. 651332 – 01).

Costante è, infatti, l’insegnamento di questa corte secondo cui, in tema di liquidazione delle spese processuali che la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa, la determinazione degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, come nel caso di specie non è contestato, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità (v. Cass. n. 20289 del 2015).

12. Per tutte le considerarsi finora svolte, sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere respinti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, a carico dei ricorrenti principale e incidentale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale.

Compensa le spese, considerata la reciproca soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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