Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19260 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 17/07/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 17/07/2019), n.19260

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25254-2017 proposto

Z.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA, 40,

presso lo studio dell’Avvocato ILARIA DI MUCCIO, unitamente

all’Avvocato ROSA SCIATTA che lo rappresenta e lo difende giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.F.I. – RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELI 22, presso lo studio dell’Avvocato ENZO MORRICO, che

la rappresenta e difende in virtù di procura in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1871/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/04/2017 R.G.N. 5638/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/04/2019 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ROSA SCIATTA;

udito l’Avvocato VALERIA COSENTINO per delega verbale Avvocato ENZO

MORRICO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza n. 1871 del 2017 la Corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia n. 2567/2013, emessa dal Tribunale della stessa città, con la quale era stata rigettata la domanda, proposta da Z.G. nei confronti della RFI spa di cui era dirigente dall’1.10.2002, diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità e inefficacia del licenziamento disciplinare intimatogli in data 16.6.2010, con effetto retroattivo al 23.1.2010 (data della sospensione cautelare) con ogni conseguenza reintegratoria e risarcitoria anche in ordine al pregiudizio morale, biologico, all’immagine, alla dignità, al decoro, esistenziale, alla vita di relazione e da perdita di chance.

2. A fondamento del decisum la Corte territoriale ha rilevato che: a) la contestazione disciplinare mossa con lettera del 26.5.2010 e la imputazione formulata in sede penale (per la quale pendeva il relativo giudizio) erano indipendenti di talchè il principio di piena autonomia dei due procedimenti non poteva essere messa in discussione; b) non era applicabile l’art. 15 CCNL Dirigenti perchè, nella fattispecie, era in discussione il grave inadempimento dei dirigente ai doveri conseguenti al proprio rapporto di lavoro, che era un profilo assolutamente estraneo alla disposizione collettiva invocata; c) la contestazione disciplinare non era tardiva rispetto all’accertamento compiuto degli addebiti, alla contestazione degli stessi e alla irrogazione della sanzione; d) i fatti contestati (non avere assunto alcuna iniziativa di controllo e di intervento prevista dall’art. 13 delle condizioni generali di contratto, nonostante la conoscenza che la ditta Lima 2013, capogruppo dell’ATI aggiudicataria dei lavori sulla tratta (OMISSIS), fosse carente dei requisiti per l’espletamento dei lavori di armamento ferroviario; avere consentito che alcuni lavori di armamento fossero eseguiti da personale della RFI spa in contrasto con quanto previsto dall’Accordo Quadro e dalla relativa specifica di lavoro; avere sottoscritto i documenti di pagamento (SAL) inerenti tali lavorazioni a favore della Lima 2013, con relativa liquidazione degli importi, nonostante le lavorazioni fossero state effettuate dal personale della RFI spa) erano stati dimostrati; e) i detti fatti ed i relativi addebiti erano idonei ad affermare la responsabilità dell’appellante e la proporzionalità della sanzione inflitta, nonchè la sussistenza di una giusta causa di licenziamento che, in tema di licenziamento del dirigente, non coincideva necessariamente con la giustificatezza; f) l’art. 59 del CCNL Attività Ferroviarie non poteva essere invocato attesa la natura dirigenziale dell’incarico dello Z.; g) alcuna allegazione e prova era stata fornita circa un presunto carattere discriminatorio del licenziamento; h) la sospensione cautelare era stata disposta in applicazione dell’art. 60 CCNL (applicabile anche i dirigenti ex art. 27 CCNL Dirigenti) che prevede che gli effetti del recesso decorrano dalla sospensione qualora questa sia adottata per le mancanze punibili con il licenziamento senza preavviso, quale quello del caso de quo; i) andavano disattese le pretese economiche, tanto quelle risarcitorie stante la accertata legittimità del risarcimento, quanto quelle retributive, prive di idonee allegazioni e dimostrazioni sulla loro fondatezza.

3. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione Z.G. affidato a sette motivi.

4. Ha resistito con controricorso la Rete Ferroviaria Italiana spa.

5. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia l’illegittimità di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 della sentenza, per violazione e falsa applicazione dell’art. 15 CCNL Dirigenti Attività Industriali e dell’art. 115 e 116 c.p.c. e per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (con riguardo al primo e secondo motivo di appello), l’illegittimità del licenziamento per mancata applicazione dell’art. 15 CCNL Dirigenti Attività Industriali e per errata applicazione degli artt. 52 e 61 e dell’art. 27 CCNL delle Attività Ferroviarie, per essersi i giudici del merito limitati ad una analisi estremamente superficiale della vicenda, rigettando l’eccezione di nullità del procedimento, perchè i fatti contestati, che erano oggetto anche di indagini penali, non erano stati ancora accertati con sentenza passata in giudicato.

3. Con il secondo motivo si contesta l’illegittimità per vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della sentenza, per violazione o falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 421 c.p.c., comma 2 e per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (con riguardo al rigetto del terzo motivo di appello relativo alla illegittimità del licenziamento per non tempestività dello stesso), per avere erroneamente ritenuto la Corte di merito che la società non aveva avuto, già prima dei risultati della Commissione di verifica e solo attraverso l’attività di questa, contezza sulle omissioni compiute dallo Z., quando, invece, la documentazione in suo possesso già le consentiva di avere un quadro preciso della vicenda e per non avere attivato i propri poteri officiosi indi disporre il deposito degli allegati al decreto e al verbale di sequestro del 10.11/2/2009.

4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole dell’illegittimità per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 113,115,116,244 e 257 bis c.p.c., dell’art. 12 preleggi in relazione agli artt. 2104,2105,2106 e 2119 c.c., della L. n. 143 del 1949, art. 19, comma 1, lett. G), dell’art. 2232 c.c. (con riguardo al rigetto del quarto, quinto, sesto e settimo motivo di appello relativo alla valutazione della inesistenza della giusta causa del licenziamento e degli inadempimenti contestati), per non avere la Corte di merito valutato in modo unitario e sistematico l’intera vicenda sostanziale e processuale, l’intensità dell’elemento intenzionale, le precedenti modalità di attuazione del rapporto di lavoro nonchè per avere male apprezzato le risultanze documentali senza peraltro assumere la diretta testimonianza degli operai.

5. Con il quarto motivo si lamenta l’illegittimità per vizio della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per violazione dell’art. 12 preleggi in relazione agli artt. 2119,2106 e 2104 c.c. e art. 1455 c.c. e per sussistenza di vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (rigetto dell’ottavo motivo di appello) sulla non proporzionalità e di adeguatezza al presunto illecito commesso, quando, invece, la condotta non costituiva un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali e il dirigente non aveva mai avuto, in precedenza, sanzioni disciplinari di alcun tipo.

6. Con il quinto motivo il ricorrente deduce l’illegittimità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione dell’art. 115 c.p.c., per non essersi i giudici di secondo grado pronunciati sulla domanda, relativa alla mancata corresponsione di consistenti emolumenti relativi alla propria retribuzione, non collegata all’impugnativa di licenziamento e in relazione alla quale i conteggi presentati non erano stati contestati.

7. Con il sesto motivo si eccepisce l’illegittimità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione dell’art. 59 CCNL Attività Ferroviarie ed art. 27 Federmanager (rigetto del nono motivo di appello), perchè la Corte territoriale erroneamente non aveva rilevato che i fatti contestati non erano riconducibili ad alcuna delle ipotesi di cui all’art. 59 CCNL, applicabile anche ai dirigenti in virtù della natura residuale di chiusura contenuta nell’art. 27 citato.

8. Con il settimo motivo, in via subordinata, il ricorrente sostiene l’illegittimità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione dell’art. 60 CCNL Attività Ferroviarie (rigetto del nono motivo di appello) per avere erroneamente la Corte di merito individuato la decorrenza degli effetti del licenziamento dalla data della sospensione cautelare, ai sensi dell’art. 60 CCNL Attività Ferroviarie, in quanto il recesso aveva avuto causa nei gravi inadempimenti contestati con lettera del 26.5.2010 e non nei fatti penali che avevano dato luogo alla sospensione cautelare.

9. Il primo motivo è infondato.

10. La Corte territoriale ha specificato che gli addebiti contestati allo Z. attenevano ad inadempimenti contrattuali, non necessariamente caratterizzati dall’elemento psicologico del dolo per i quali era sufficiente la grave negligenza; ha, quindi, richiamato il principio di piena autonomia tra il procedimento disciplinare e quello penale.

11. L’assunto è corretto in punto di diritto perchè conforme all’orientamento di legittimità che ha riconosciuto la completa autonomia e separazione delle valutazioni espresse nell’ambito dei due giudizi (penale e disciplinare) non più legati dall’istituto della “pregiudizialità penale” a seguito della mancata riproduzione dell’art. 3 dell’abrogato c.p.p. (Cass. 14.9.2000 n. 12141; Cass. 9.4.2003 n. 5530).

12. Inoltre, l’affermazione della gravata sentenza non è in contrasto con l’art. 15 CCNL Dirigenti Attività Industriali – che in sintesi prevede che ove si apra procedimento civile o penale nei confronti del dirigente per fatti che siano direttamente connessi all’esercizio delle funzioni attribuitegli, non solo le spese legali sono a carico dell’azienda ma le garanzie di non essere licenziato e le tutele indicate nella disposizione sono escluse solo nei casi di dolo o colpa grave accertati con sentenza passata in giudicato – perchè la contestazione ed il licenziamento sono stati ritenuti fondati su fatti disciplinarmente rilevanti che prescindevano dal giudizio penale in corso.

13. Il secondo motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.

14. Come affermato dalla giurisprudenza consolidata da questa Corte, in materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione integra elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro in quanto, per la funzione di garanzia che assolve, l’interesse del datore di lavoro all’acquisizione di ulteriori elementi a conforto della colpevolezza del lavoratore non può pregiudicare il diritto di quest’ultimo ad una pronta ed effettiva difesa, sicchè, ove la contestazione sia tardiva, resta precluso l’esercizio del potere e la sanzione irrogata è invalida (cfr. tra le altre Cass. n. 19115/2013).

15. Il principio dell’immediatezza della contestazione mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per potere contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore – in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede – sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile (cfr. Cass. n. 13167 del 2009).

16. Come più volte ha avuto occasione di affermare questa Corte, il criterio dell’immediatezza va inteso in senso relativo, poichè si deve tenere conto delle ragioni che possono far ritardare la contestazione, tra cui il tempo necessario per l’espletamento delle indagini dirette all’accertamento dei fatti, la complessità dell’organizzazione aziendale, e la valutazione in proposito compiuta dal giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata priva di vizi logici (cfr. tra le altre Cass. 12.1.2016 n. 281).

17. Nel caso in esame la Corte territoriale ha sottolineato, con argomentazioni esaustive ed adeguate, che il lasso di tempo trascorso tra l’accertamento compiuto sugli addebiti, la contestazione degli stessi e l’irrogazione della sanzione appariva del tutto congruo, anche tenuto conto della nota complessa organizzazione aziendale, richiamando tutto l’iter cronologico dal verbale di sequestro dell’11.2.2010, alla sospensione cautelare del dirigente disposta il 23.1.2010, all’esito della relazione della Commissione avvenuto con relazione del 21.5.2010, alla contestazione disciplinare del 26.5.2010 e al successivo licenziamento comunicato il 16.6.2010.

18. La suddetta valutazione, corretta giuridicamente e insindacabile in questa sede in punto di fatto, rende la censura, quindi, immeritevole di pregio.

19. Il terzo motivo è inammissibile.

20. Invero, le censure, ancorchè svolte sotto il profilo di molteplici violazioni di legge, si sostanziano nella critica della ricostruzione fattuale operata dalla Corte territoriale, configurando come tale una censura diretta a riesaminare circostanze di fatto ed una più appagante valutazione delle prove raccolte che è preclusa in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 16056/2016; Cass. n. 29404/2017).

21. La Corte di appello ha proceduto ad una chiara ed adeguata disamina dei fatti oggetto di contestazione e della responsabilità che erano imputabili all’incolpato in veste di direttore dei lavori e con riguardo ai compiti di vigilanza cui era tenuto.

22. Le valutazioni svolte dai giudici di seconde cure e le coerenti conclusioni che ne sono state tratte configurano, quindi, un’opzione interpretativa del materiale probatorio del tutto ragionevole, espressione di una potestà propria del giudice del merito che non può essere sindacata nel suo esercizio (Cass. n. 14212/2010; Cass. n. 14911/2010).

23. Il quarto motivo non è fondato.

24. Giova ribadire che il licenziamento, nel caso in esame, è stato adottato anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, per giusta causa ex art. 2119 c.c. e relativamente alla posizione di un dirigente.

25. Orbene, la Corte di merito è pervenuta alla conclusione della indubbia proporzionalità del licenziamento per giusta causa in esame alla gravità del comportamento addebitato allo Z., dandone atto, con una congrua motivazione, attraverso una attenta valutazione, da un lato, della gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata soggettiva ed oggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali erano stati commessi, alle progressive modalità di attuazione e alla intensità dell’elemento intenzionale e, quindi, in conformità con i principi affermati al riguardo dalla consolidata e condivisa giurisprudenza di questa Corte (Cass. 4.3.2013 n. 5280; Cass. 16.10.2015 n. 21017).

26. In tale disamina la Corte territoriale ha, tra l’altro, posto l’accento sul fatto che, per i compiti che il dirigente era chiamato a svolgere (controlli ed interventi propri del ruolo di direttore dei lavori, approvazione dei SAL e riconoscimento dei compensi), il dovere di diligenza (non osservato consapevolmente mediante omissione delle proprie attività) era rafforzato dal ruolo ricoperto, dalla entità dei lavori e dai connessi interessi dell’azienda e che doveva considerarsi irrilevante l’affermazione secondo cui le direttive al personale RFI erano date solo dal capo-tronco, atteso che, oltre a mancare in concreto ogni prova sul punto, ogni intervento sopra precisato era rimesso pur sempre al direttore dei lavori cui competeva il controllo sulla puntuale esecuzione delle opere da parte dell’appaltatrice in conformità alla pattuizioni contrattuali.

27. Il quinto motivo è infondato perchè la Corte territoriale si è espressa sulla istanza di corresponsione delle richieste economiche, avanzate dallo Z. e non collegate all’impugnativa di licenziamento, ritenendole non supportate da prova nell’an e nel quantum.

28. La doglianza difetta, poi, di specificità in quanto non sono richiamate le argomentazioni sostenute in appello e in primo grado, nè sono indicate te relative parti degli atti processuali, da cui evincere una asserita “non contestazione” dei conteggi.

29. Il sesto motivo non è meritevole di accoglimento per genericità e non pertinenza della formulata censura.

30. La Corte territoriale, infatti, ha escluso l’applicabilità dell’art. 59 del CCNL Attività ferroviarie (per il personale non dirigente) allo Z. (che invece era un dirigente e, quindi, sottoposto ad una diversa e specifica disciplina collettiva, il CCNL Dirigenti Attività Industriali) perchè l’art. 27 Federmanager (diposizione residuale di chiusura e rinvio alle disposizioni della contrattazione collettiva per il personale non dirigente) non era applicabile nel caso in esame in quanto la disciplina del licenziamento del dirigente trovava una sua specifica regolamentazione nell’art. 19, n. 15 del Contratto Collettivo Dirigenti; la stessa Corte ha, poi, avvalorato tale argomentazione evidenziando che per la categoria dei dirigenti non valeva la disciplina limitativa sui licenziamenti di cui alle L. n. 604 del 1966 e L. n. 300 del 1970, salvo il caso di licenziamento nullo che, però, non ricorreva nella fattispecie.

31. A fronte di tale ragionamento, il ricorrente si è limitato, con la doglianza di cui sopra, a dissentire da tale ricostruzione esegetica senza, però, censurarla nello specifico e senza confutare gli argomenti posti a sostegno dell’interpretazione fornita dai giudici di seconde cure, rendendo, quindi, il motivo inammissibile (cfr. Cass. 28.10.2016 n. 21888).

32. Il settimo motivo, infine, è inammissibile per difetto di specificità.

33. Il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 60 CCNL Attività ferroviarie, ma ha omesso di riportare, nel motivo, il testo (o le parti rilevanti ai fini della doglianza) della norma contrattuale che si assume essere stata violata impedendo a questa Corte un esame diretto della disposizione in relazione alle specifiche censure mosse; ha altresì omesso di indicare quali canoni interpretativi siano stati in concreto disattesi dai giudici di seconde cure.

34. Invero, qualora in sede di legittimità venga denunciato un vizio della sentenza consistente nell’erronea interpretazione, per violazione dei canoni legali di ermeneutica o per vizio di motivazione, di una norma della contrattazione collettiva, il ricorrente ha l’onere di riportare il contenuto della stessa, stante il divieto per il giudice di legittimità di ricercare negli atti gli elementi fattuali per la decisione della controversia (Cass. 4.11.2005 n. 21379; Cass. 3.2.2009 n. 2602).

35. Ciò, nel motivo in esame, non risulta effettuato (pag. 78) perchè si reitera unicamente una diversa tesi interpretativa rispetto a quella della gravata sentenza.

36. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

37. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

38. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie della misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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