Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1926 del 27/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/01/2011, (ud. 25/11/2010, dep. 27/01/2011), n.1926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16747/2007 proposto da:

S.A.T.A. – SOCIETA’ AUTOMOBILISTICA TECNOLOGIE AVANZATE S.P.A., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio

dell’avvocato DE LUCA TAMAJO Raffaele, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato AMENDOLITO BRUNO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.G.M.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 845/2006 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 20/10/2006 r.g.n. 211/06;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/11/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato PAOLO TOSI per delega DE LUCA TAMAJO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 2 marzo 2005 il Tribunale di Melfi, in funzione di giudice del lavoro, in accoglimento della domanda, avanzata con ricorso del 31 dicembre 2003 dal lavoratore D.G.R. M., annullava il licenziamento intimato dalla datrice di lavoro, spa S.A.T.A. – Società Automobilistica Tecnologie Avanzate – ordinando la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro e condannando la resistente società al conseguente risarcimento del danno.

Avverso tale decisione proponeva appello la società, con ricorso depositato il 23 febbraio 2006, deducendo l’erroneità, contraddittorietà e carenza della motivazione, nonchè l’errata interpretazione ed applicazione della normativa in materia, e concludendo per la declaratoria della piena legittimità del recesso intimato al dipendente.

Si costituiva il D.G. resistendo al gravame, di cui chiedeva il rigetto.

Con sentenza del 28 settembre-18/20 ottobre 2006, l’adita Corte di Appello di Potenza confermava la decisione di primo grado, non avendo la società fornito la dimostrazione dell’affissione del codice disciplinare.

Nè poteva accogliersi l’istanza istruttoria avanzata dalla società al fine di dimostrare l’adempimento dell’obbligo di affissione, non avendo questa censurato in alcun modo la decisione di rigetto di detta istanza, da parte del Giudice di primo grado.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la spa SATA con due motivi.

L’intimato D.G. non si è costituito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la S.A.T.A., denunciando violazione delle previsioni di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, artt. 2094, 2104, 2106, 1176 e 1218 c.c., e art. 25, disciplina generale sezione terza, CCNL dei metalmeccanici dell’industria privata, nonchè motivazione incongrua, contraddittoria e illogica, lamenta che la Corte di Appello di Potenza abbia omesso di valutare, ai fini della legittimità dell’intimato licenziamento, la rilevanza della contestazione mossa al D.G. con nota 4.2.2003 in relazione agli addebiti “nuovi” ivi richiamati, sulla base della ritenuta decadenza dell’appellante (SATA s.p.a.) dalla prova dell’avvenuta affissione del codice disciplinare; ciò, pur riconoscendo, per ammissione dello stesso lavoratore, la mancata adozione, da parte sua, di quelle misure idonee a consentire l’esecuzione della visita di controllo e per tabulas l’omessa giustificazione dell’assenza del 23.1.2003.

Ad avviso della ricorrente una tale valutazione sarebbe chiaramente erronea, poichè la stessa si porrebbe in palese contrasto tanto con la normativa in materia che con l’orientamento consolidato espresso in proposito dalla Corte di legittimità.

Il motivo è fondato, sotto il profilo di seguito indicato.

Il Giudice di appello, dopo avere espresso le ragioni che giustificavano l’avvenuta decadenza della società appellante dalla prova dell’avvenuta affissione del codice disciplinare, ha affermato che, pur a voler condividere il giudizio di gravità – espresso dalla società datrice di lavoro – della condotta posta in essere dal lavoratore – emergendo per sua stessa ammissione la mancata adozione di quelle misure necessarie a consentire l’esecuzione della visita di controllo e per tabulas l’omessa giustificazione dell’assenza per il giorno 23.01.2003 – ed il giudizio di rilevanza della recidiva, e quindi, ove si “dovesse procedere ad una nuova valutazione complessiva della contestazione mossa con nota in data 04.02.2003 sia in relazione ai fatti nuovi che in relazione al pregresso”, l’avvenuta decadenza dalla prova della avvenuta affissione costituiva una violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, che comportava l’illegittimità del recesso.

D’altro canto, la dimostrazione dell’affissione del codice disciplinare, nella specie, doveva considerarsi indispensabile, essendo la condotta contestata al lavoratore violatrice non di generali obblighi di legge ma di puntuali regole di comportamento negozialmente previste e funzionali al miglior svolgimento del rapporto di lavoro, trattandosi, nello specifico, come da nota del 4.2.2003, di: 1) “assenza a visita medica di controllo alle ore 11,00 del 18.12.2002 e mancato preavviso all’azienda della citata assenza”;

2) “allontanamento senza autorizzazione dalla sala medica presso cui era stato accompagnato con conseguente abbandono del posto di lavoro per circa un’ora in data 19.1.2003”;

3) “assenza ingiustificata dal lavoro del 23.1.2003 “. Nel caso in oggetto – sempre ad avviso della Corte di merito – il principio secondo cui l’onere di redazione ed affissione del codice disciplinare non può estendersi a quei fatti il cui divieto risiede non già nelle fonti collettive, o nelle determinazioni del datore di lavoro, bensì nella coscienza sociale quale minimo etico, doveva ritenersi applicabile solo alle sanzioni disciplinari espulsive, per le quali il potere di recesso dell’imprenditore, in presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, è tipizzato e previsto direttamente dalla legge, e non anche per le sanzioni cosiddette conservative, per le quali il potere disciplinare del datore di lavoro, solo genericamente previsto dall’art. 2106 cod. civ., esige necessariamente, per il suo concreto esercizio, la predisposizione di una normativa secondaria, cui corrisponde l’onere della pubblicità, a norma della L. n. 300 del 1970, art. 7, che ha inteso conferire effettività anche con riferimento alla comunità d’impresa, al principio “nullum crimen, nulla poena sine lege”.

Ritiene il Collegio che tale principio, sostenuto da una giurisprudenza minoritaria (v. Cass. n. 12735/2003), non appare condivisibile, poichè anche relativamente alle sanzioni disciplinari conservative (e non per le sole sanzioni espulsive) deve ritenersi che, in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perchè contrario al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale, non sia necessario provvedere alla affissione del codice disciplinare, in quanto il lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta (v. Cass. n. 17763/04; Cass. n. 56/2007).

Non essendosi il Giudice a qua conformato al principio appena espresso, l’impugnata sentenza va cassata con rinvio ad altra Corte di appello, designata in dispositivo, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

Il secondo motivo di ricorso, concernente l’affermata decadenza dalla prova volta a dimostrare l’avvenuta affissione del codice disciplinare, va pertanto dichiarato assorbito.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Salerno.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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