Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19257 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 17/07/2019, (ud. 27/03/2019, dep. 17/07/2019), n.19257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 40-2015 proposto da:

BANCO POPOLARE SOCIETA’ COOPERATIVA, successore a titolo universale

della B.P.N. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 6,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMINO LO CONTE, rappresentata e

difesa dall’avvocato REMIGIO BELCREDI;

– ricorrente –

contro

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PARIGI 11,

presso lo studio degli avvocati ORESTE CARDILLO e MARIA GRAZIA

VASATURO (STUDIO LEGALE ORESTE CARDILLO & ASSOCIATI), che lo

rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6563/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 20/12/2013 R.G.N. 6955/2009.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 6563/2013 del 20.12.2013, per quanto qui rileva, ha respinto tanto l’appello principale, proposto da V.G., che quello incidentale, proposto dalla Banca Popolare Soc. coop. contro la sentenza del Tribunale di Napoli del 12.3.2009, n. 569, che aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto dalla Banca, volto ad ottenere la condanna del V. al risarcimento dei danni patrimoniali e all’immagine subiti in seguito a condotte da questi tenute nel corso del rapporto di lavoro, quale direttore della filiale di (OMISSIS) della Banca ricorrente;

che, a fronte delle doglianze degli appellanti, entrambi in disaccordo con la valutazione di nullità posta dal Tribunale a fondamento del decisum, la Corte territoriale ha evidenziato come nel ricorso in primo grado la Banca si fosse limitata ad allegare di aver riscontrato irregolarità in merito a 46 conti correnti, senza individuare i numeri identificativi dei conti stessi, nè enunciare le specifiche irregolarità relative a ciascun conto, incorrendo in carenze deduttive che avevano precluso al giudice l’esame del giudizio (ed al V. la possibilità di difendersi, tanto che questi aveva eccepito a sua volta la nullità della domanda, in quella sede) e che non risultavano colmabili attraverso la produzione documentale, in assenza di compiuta allegazione;

che tale nullità riverberava i propri effetti anche relativamente alla domanda di risarcimento del danno all’immagine, a sua volta genericamente formulata, senza l’indicazione dei soggetti che avrebbero presentato denunce all’autorità giudiziaria in seguito alle condotte del V.;

che la corte ha, in ogni caso, rilevato il difetto di interesse della Banca alla impugnazione, essendole certamente più favorevole una pronuncia di inammissibilità, poichè la stessa non risultava preclusiva della riproposizione del ricorso;

che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la Banca popolare, affidato a tre motivi, cui V.G. ha resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste scritte;

che entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura:

1.- con il primo motivo, la violazione dell’art. 164 c.p.c., comma 4, art. 414 c.p.c. in cui sarebbe incorsa la corte di appello, nel concordare nel giudizio circa la nullità del ricorso senza valutare la documentazione (in particolare le relazioni ispettive) prodotta dalla banca, alla luce della quale sarebbe emersa la sufficiente esposizione elementi di fatto e di diritto a fondamento della domanda stessa (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

2.- con il secondo motivo, l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1, n. 5, in cui sarebbe incorsa la corte di appello non esaminando il secondo motivo di appello con il quale, la Banca, chiedendo alla corte di riformare la decisione di inammissibilità, aveva indicato una serie di fatti e di passaggi del ricorso introduttivo da cui emergeva la compiuta descrizione delle condotte addebitate al V.;

3.- con il terzo motivo, la violazione dell’art. 164 c.p.c., comma 5, art. 414 c.p.c., in cui sarebbe incorsa la corte di appello, nel condividere il giudizio di inammissibilità, in contrasto con il principio giurisprudenziale che impone al giudice, in caso di nullità del ricorso, l’assegnazione di un termine per la rinnovazione o integrazione della domanda che il ricorso è inammissibile;

che, infatti, le censure svolte con i motivi in disamina non esauriscono la totalità delle rationes decidendi che sorreggono la decisione impugnata, avendo la corte stigmatizzato la carenza di interesse in capo alla banca alla impugnazione della pronuncia di inammissibilità, non preclusiva della riproposizione della domanda i chiarendo che l’esito sarebbe stato certamente meno favorevole ove il giudice, come richiesto dalla Banca ricorrente, avesse ordinato l’integrazione del ricorso, in ragione delle preclusioni istruttorie che avrebbero operato, conformemente proprio alla giurisprudenza di legittimità invocata dall’Istituto, di cui alla sentenza n. 11353/2004 (cfr. pag. 8, ultimo capoverso e pag. 9);

che trova quindi applicazione il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (cfr, ex plurimis, Cass., n. 24540/2009; 3386/2011, Cass. 3.11.11, n. 22753; Cass. 14.2.12, n. 210; Cass. 29.3.13, n. 79318; Cass. 19.2.16, n. 3307Cass. 27/07/2017 n. 18641);

che alla inammissibilità segue la condanna della ricorrente, secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità;

che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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