Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19257 del 07/07/2021

Cassazione civile sez. II, 07/07/2021, (ud. 04/02/2021, dep. 07/07/2021), n.19257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARRATO Aldo – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3731/2016 proposto da:

C.G.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

RUBICONE 27, presso lo studio dell’avvocato MARIA TESSITORE,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE TEDESCHI, ALFONSO

TEDESCHI;

– ricorrente –

contro

C.E., (DECEDUTA), e per essa gli eredi D.A.,

An., M., V., elettivamente domiciliati in BATTIPAGLIA,

P.ZZA DELLA REPUBBLICA TRAV. D’ANZILIO 1, presso lo studio

dell’avvocato GIOVANNI GRATTACASO, che li rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

C.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4377/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/02/2021 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2003 C.G.C. convenne in giudizio i germani E. e G. affinchè fosse accertata la sua titolarità esclusiva sul fabbricato sito nel Comune di (OMISSIS), per intervenuta usucapione, assumendo di avere esercitato il possesso pacificamente ed ininterrottamente dalla metà degli anni ‘70 su parte dell’immobile, e dal 1981 sull’intero immobile, e di essersi occupato della manutenzione ordinaria e straordinaria.

1.1. La convenuta C.E. si oppose deducendo che l’immobile, dopo il decesso del padre avvenuto nel 1980, era rimasto nella disponibilità della madre P.A., a sua volta deceduta nel 1996, e formulò domanda riconvenzionale di scioglimento della comunione ereditaria.

1.2. Il convenuto C.G. non si oppose, auspicando una soluzione bonaria della causa.

1.3. Il Tribunale di Torre Annunziata, con la sentenza n. 688 del 2009, rigettò la domanda riconvenzionale in quanto proposta da soggetto non legittimato a chiedere la divisione ereditaria, e accolse la domanda principale, ritenendo provati i requisiti del possesso ad usucapionem.

2. La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza non definitiva n. 3397/2014, pubblicata il 25 luglio 2014, ha accolto il gravame proposto da C.E..

2.1. In via preliminare la Corte territoriale ha rilevato che l’eccezione formulata dall’attore ai sensi dell’art. 480 c.c., era di prescrizione e non di decadenza, come invece affermato dal Tribunale, e non era fondata.

Nel merito, la stessa Corte ha ritenuto non dimostrato il possesso ad usucapionem sul bene ereditario, ha dichiarato che l’immobile era caduto nella successione legittima di C.F., padre dei germani, ed ha disposto la rimessione della causa in istruttoria per procedere alla divisione della comunione ereditaria.

2.3. Con la sentenza definitiva n. 4377/2015, pubblicata in data 11 novembre 2015, la Corte d’appello ha assegnato la piena proprietà del fabbricato all’originario attore, dietro pagamento in favore della sorella E., a titolo di eccedenza, della somma di Euro 108.352,36, oltre agli interessi legali fino al soddisfo (il fratello G. non ha preso parte alla divisione in virtù di un accordo transattivo).

3. C.G.C. ricorre per la cassazione di entrambe le sentenze, sulla base di quattro motivi ai quali ha resistito C.E. con controricorso. Hanno depositato atto di costituzione D.A., Da.An., D.M. e D.V., in qualità di eredi di C.E., deceduta il (OMISSIS). In prossimità della Camera di consiglio le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, che denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 480 c.c., anche in relazione all’art. 2697 c.c., il ricorrente lamenta che la Corte d’appello, nella sentenza non definitiva, avrebbe travisato la qualificazione che il Tribunale aveva dato del termine di cui all’art. 480 cit. e comunque avrebbe errato nel ritenere che la domanda di usucapione sarebbe incompatibile con l’estensione dei diritti successori per effetto della prescrizione del diritto di accettare l’eredità in capo ai coeredi.

2. Con il secondo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione di norme di diritto nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, che risultava dall’atto di citazione. Assume il ricorrente che se la Corte d’appello avesse esaminato l’atto di citazione, si sarebbe resa conto che in esso non vi era alcun riconoscimento di eredità o di diritto all’eredità in favore dei convenuti, ma esclusivamente una richiesta di accertamento dell’usucapione.

3. Con il terzo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 1158 c.c., nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, e si contesta il rigetto della domanda di usucapione. Secondo il ricorrente, il possesso da lui esercitato su una parte del fabbricato, come riconosciuto anche nella sentenza impugnata, avrebbe comportato l’acquisto per usucapione di tutte le altre quote. In ogni caso, la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della documentazione prodotta, dalla quale emergeva che P.A., madre di germani C., aveva acquistato un immobile nel 1973 che poi aveva venduto al figlio G. nel 1980, riservandosene l’usufrutto. Da tali documenti si evincerebbe che la P. non aveva più abitato nell’immobile oggetto di causa dal 1973, e che la testimonianza di segno contrario resa da Ca.El. era inattendibile.

4. Con il quarto motivo è denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 1113 c.c., comma 3, art. 2685 c.c. e art. 784 c.p.c., perchè la Corte avrebbe dovuto dichiarare inammissibile o i comunque, improcedibile la domanda di divisione proposta da C.E. in mancanza di produzione, da parte della richiedente, della documentazione ipocatastale e della trascrizione, oneri posti a tutela del contraddittorio e non sanabili dalla CTU.

5. I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per l’evidente connessione, sono privi di fondamento.

5.1. La Corte d’appello ha rigettato l’eccezione di prescrizione ex art. 480 c.c., sollevata dall’odierno ricorrente facendo corretta applicazione del principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, che individua la rinuncia a far valere la prescrizione, ai sensi dell’art. 2937 c.c., comma 3, in ogni comportamento e quindi anche in una scelta difensiva che risulti “incompatibile” con la volontà di opporre la causa estintiva dell’altrui diritto (ex plurimis, Cass. 12/03/2012, n. 3883; Cass. 02/08/2000, n. 10129).

Con specifico riferimento alla prescrizione del diritto di accettare l’eredità, si è affermato ripetutamente che la domanda di usucapione proposta dal coerede comporta rinuncia implicita a far valere detta eccezione (ex plurimis, Cass. 12/04/2002, n. 5226; Cass. 17/03/1999, n. 2411; Cass. 15/01/1996, n. 263).

E’ vero, infatti, che la scelta del coerede di proporre domanda di usucapione, e cioè di chiedere al giudice di accertare che si è realizzato in proprio favore l’acquisto a titolo originario del bene comune sulla base di un “fatto” – il possesso ad excludendum di durata ventennale -, implica il riconoscimento nella controparte di una posizione paritaria, ed è perciò incompatibile con l’eccezione di prescrizione, perchè non si può affermare e negare allo stesso tempo la qualità di coerede in capo alla controparte.

Diversamente, ove la parte intenda avvantaggiarsi della prescrizione dell’altrui diritto di accettare l’eredità, essa deve proporre una domanda che muova da tale presupposto, vale a dire una domanda di accertamento dell’estensione dei diritti successori per effetto della prescrizione del diritto altrui.

6. Il terzo motivo è inammissibile poichè attinge il merito della causa, contestando l’apprezzamento delle prove e l’esito che da esso è derivato.

La Corte d’appello ha esposto dettagliatamente i fatti esaminati ed ha poi argomentato congruamente le ragioni per cui ha ritenuto non raggiunta la prova dell’usucapione, anche con riferimento specifico all’ipotesi che la madre dei germani C. fosse andata ad abitare nell’appartamento di (OMISSIS) sin dalla data di acquisto (tesi che il ricorrente assume non considerata).

Non v’è dunque spazio per il sindacato di legittimità.

7. Anche il quarto motivo di ricorso è inammissibile.

7.1. La Corte d’appello, nella sentenza definitiva, ha chiarito che nella fattispecie concreta la mancata produzione della documentazione ipocatastale non fosse di ostacolo alla prosecuzione del giudizio di divisione, tenuto conto che la funzione della predetta documentazione è quella consentire la verifica della integrità del contraddittorio e che nella divisione in oggetto non si poneva una questione di integrità del contraddittorio.

Il ricorrente contesta la decisione senza però precisare quale vulnus sia derivato in concreto al diritto di difesa e alla integrità del contraddittorio, sicchè la censura si rivela astratta e perciò inidonea a sottoporre la decisione al sindacato di legittimità.

7.2. Per completezza, va segnalato che questa Corte ha di recente affermato il principio secondo cui nei giudizi di scioglimento della comunione, la produzione dei certificati relativi alle trascrizioni e iscrizioni sull’immobile da dividere, imposta dall’art. 567 c.p.c., per la vendita del bene pignorato, non costituisce un adempimento previsto a pena di inammissibilità o improcedibilità della domanda, tenuto conto che, in tali giudizi, l’intervento dei creditori e degli aventi causa dei condividenti è consentito ai soli fini dell’opponibilità delle statuizioni adottate. Ciò vale anche nel caso in cui si debba procedere alla vendita dell’immobile comune, sebbene le informazioni richieste dal predetto articolo si debbano necessariamente acquisire a tutela del terzo acquirente, ma a tale esigenza sovraintende d’ufficio il giudice della divisione, il quale, nello svolgimento del potere di direzione delle operazioni, può ordinare alle parti la produzione della documentazione occorrente o avvalersi del professionista delegato alla vendita (Cass. 28/05/2020, n. 10067).

8. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021

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