Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19255 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 19255 Anno 2018
Presidente: MATERA LINA
Relatore: FEDERICO GUIDO

ORDINANZA
sul ricorso 29700-2014 proposto da:
GREGORI ANNA, BESSI VALERIO, elettivamente domiciliati
in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOL0,17, presso lo studio
dell’avvocato ALESSANDRO RUFINI, che li rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ANTONIO BENVENUTI;
– ricorrenti contro

PETTINI ANDREA, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE
DELLE MILIZIE, 124, presso lo studio dell’avvocato
CARLA CORDESCHI, rappresentato e difeso dall’avvocato
PIETRO RIZZO;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1700/2014 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 14/10/2014;

Data pubblicazione: 19/07/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 08/02/2018 dal Consigliere GUIDO

FEDERICO.

CONSIDERATO IN FATTO
Con atto di citazione notificato il 16.5.2011 Gregori Anna e Bessi
Valerio proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo
n.3644/2011, in precedenza emesso dal Tribunale di Firenze a favore
dell’avv. Pettini Andrea per la somma di C 36.419,50 pretesa quale saldo
per l’assistenza legale dal predetto prestata in favore degli opponenti.

Questi ultimi deducevano di aver incaricato l’avv. Pettini, insieme ad
altro difensore, di assisterli in un giudizio di risarcimento danni da loro
promosso contro FF.SS. a seguito del decesso del loro congiunto Bessi
Sergio, rispettivamente marito della Gregori e padre del Bessi Valerio,
decesso avvenuto per mesotelioma dovuto a contatto con l’amianto.
Deducevano ancora di aver ottenuto dal Tribunale di Firenze una
sentenza a loro favore per una somma di € 700.000, poi ridotta a seguito
di transazione nel minor importo di € 600.000; di aver corrisposto ai due
avvocati da loro incaricati la somma di C 12.500 per ciascuno;
contestavano nel quantum il compenso preteso dall’avv. Pettini,
osservando che la sentenza del Tribunale di Firenze per loro favorevole
aveva liquidato soltanto C 15.000 per spese legali; che nulla sarebbe stato
dovuto per la relativa esecuzione, subito abbandonata in funzione della
conciliazione della lite; che per la detta conciliazione sarebbe stato
dovuto un compenso di € 6.696, da dimidiare trattandosi di controversia
in materia di lavoro e da ulteriormente dimidiare a fronte della difesa
congiunta, per un importo finale di € 1.674. Invocavano quindi la revoca
del decreto opposto e la restituzione degli importi versati all’avv. Pettini
in eccesso rispetto a quanto dovuto.
Con sentenza n.1307/13 il Tribunale di Firenze respingeva l’opposizione
condannando gli opponenti alle spese del grado, ritenendo provato che
l’avv. Pettini avesse svolto il mandato difensivo insieme ad altro
professionista, seguendo tutte le fasi del contenzioso e maturando, a
1

termini dell’art.7 del DM n.127/2004, il diritto al compenso per l’attività
effettivamente prestata in favore del cliente.
Interponevano appello la Gregori e il Bessi censurando con il primo
motivo la prima decisione nella parte in cui il Tribunale aveva ritenuto la
particolare complessità della causa nella quale l’avv. Pettini aveva svolto
la sua opera in favore degli appellanti, riproponendo negli altri motivi le

stesse doglianze già mosse in prime cure ed insistendo per l’ammissione
di alcune istanze istruttorie. Con la sentenza impugnata, n.1700/2014, la
Corte di Appello di Firenze rigettava l’appello condannando gli
appellanti alle spese. La Corte territoriale riteneva condivisibile la
valutazione sulla complessità del contesto operata dal primo giudice,

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osservando che la decisione di coinvolgere nella difesa altro
professionista (l’avv. Fusi) era stata motivata proprio dalla complessità
della controversia; riteneva che il compendio istruttorio acquisito agli atti
avesse dimostrato adeguatamente la partecipazione dell’avv. Pettini alle
varie fasi del contenzioso, con conseguente maturazione del relativo
diritto al compenso; respingeva le doglianze relative al quantum
considerandole infondate.
Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione la Gregori e il
Bessi affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso l’avv.
Pettini.
In prossimità del’odierna adunanza, entrambe le parti hanno depositato
memorie illustrative.
RITENUTO IN DIRITTO
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt.7 DM
147/04 e 360 n.3 c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe omesso di
considerare che, in presenza di mandato congiunto affidato a due
difensori, il compenso unico previsto dalla tariffa avrebbe dovuto essere
dimidiato ed attribuito ai predetti in ragione della metà per ciascuno.
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Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art.360
n.5 c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo, perché il giudice di
secondo grado non avrebbe esaminato le doglianze relative alla
quantificazione del compenso professionale.
Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione della tabella D

n.1 e 2 lettera O del terzo capitolo del DM 147/04 e dell’art.360 n.3 c.p.c.
perché la Corte territoriale avrebbe dovuto liquidare, rispettivamente, le
somme di € 15.000 per la causa di merito, di € 2.266 per il pignoramento
presso terzi, di € 3.913 per la conciliazione, per totali € 21.179; importo
da dimezzare per l’attività di codifesa, con conseguente riconoscimento
all’avv. Pettini della minor somma di e 10.589,50 oltre accessori.
Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art.360 n.5
c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo, perché il giudice di appello
non avrebbe motivato circa la mancata ammissione di una prova
testimoniale.
Va preliminarmente esaminata l’eccezione relativa al difetto di ius
postulandi mossa dal controricorrente. Con essa si assume la nullità della
procura, e per conseguenza dell’intero ricorso cui essa accede, perché il
mandato sarebbe stato conferito dalle ricorrenti all’avv. Antonio
Benvenuti e all’avv. Alessandro Rufini mentre la procura è firmata dal
solo avv. Benvenuti, e non anche dall’avv. Rufini.
La censura è manifestamente infondata.
Ed invero, come questa Corte ha già affermato qualora il mandato alle liti
venga conferito a più difensori ciascuno di essi, in difetto di un’espressa
ed inequivoca volontà della parte circa il carattere congiuntivo, e non
disgiuntivo, del mandato medesimo, ha pieni poteri di rappresentanza
processuale, con la conseguenza che, in caso di procura speciale per
ricorrere per cassazione, il ricorso è validamente proposto anche se
sottoscritto da uno solo di essi ed anche se l’altro avvocato non sia
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iscritto nell’albo speciale, in ossequio al principio di conservazione
dell’atto per raggiungimento dello scopo nonché alle regole sul mandato
con rappresentanza, mentre, per quanto attiene all’autenticazione della
sottoscrizione, essa deve ritenersi possibile anche se effettuata soltanto da
uno dei difensori designati, poiché l’art. 1712, comma 1, c.c., esige
l’accettazione di tutti i mandanti soltanto nel caso di mandato

congiuntivo.(Cass.15174/2017)
Ciò posto, il primo motivo di ricorso è infondato.
L’art. 7 del dm n. 147/1994, stabilisce infatti che nel caso in cui più
avvocati siano incaricati della difesa in un procedimento civile, ciascuno
di essi ha diritto all’onorario nei confronti del cliente in base all’opera
effettivamente prestata, in virtù del principio di cui all’art. 6 della legge
13 giugno 1942, n. 794 (oggi trasfuso nell’art. 7 d.m. 5 ottobre 1994, n.
585; Sez. 2, Sentenza n. 22463 del 04/11/2010).
Ne consegue che tale diritto (all’intero onorario) rimane escluso se,
essendo stato richiesto il pagamento di una sola parcella, e non essendo
state in essa indicate separatamente le prestazioni di ciascuno degli
avvocati, risulta implicitamente ed inequivocabilmente una reciproca
sostituzione nelle singole prestazioni poi sommate nella specifica (Sez. 2,
Sentenza n. 9242 del 12/07/2000).
Nel caso di specie, al contrario, la sentenza d’appello ha ritenuto, con
adeguato apprezzamento di merito, che, anche sulla base delle
dichiarazioni del teste avv. Fusi , “l’avv. Pettini avesse provato di avere
svolto tutte le prestazioni per le quali ha richiesto il compenso, nessuna
esclusa, senza che ciò comporti dunque alcuna decurtazione del suo
compenso.
L’avv. Fusi ha infatti riferito che tutti gli atti erano stati esaminati ed
approvati da ambedue i professionisti (pag. 5), confermando dunque che

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tutte le prestazioni indicate dall’avv. Pettini, erano state da questi
effettivamente eseguite.
Inammissibili il secondo e terzo motivo, che in quanto strettamente
connessi vanno unitariamente esaminati, con i quali si censura, di fatto, la
valutazione delle risultanze istruttorie operata dal giudice del merito e
l’accertamento dell’effettivo svolgimento dell’attività difensiva da parte

I motivi si risolvono invero in una richiesta di rivalutazione del fatto e
delle prove, inammissibile in questa sede.

I

del controricorrente.

In continuità con il precetto contenuto nella sentenza delle S.U. di questa
Corte n.24148 del 25/10/2013 (Rv. 627790), si deve dunque riaffermare
che il motivo di ricorso non può mai risolversi “in un’inammissibile
istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo
tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea
alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione”.
Del pari inammissibile il quarto motivo di ricorso.
L’integrazione ex officio della prova testimoniale, ai sensi dell’art. 257,
comma primo, cod. proc. civ. – norma applicabile anche nel rito del
lavoro – costituisce infatti una facoltà discrezionale, che il giudice può
esercitare quando ritenga che dall’escussione di altre persone, non
indicate dalle parti ma presumibilmente a conoscenza dei fatti, possa
trarre elementi per la formazione del proprio convincimento.
Ne consegue che la chiamata dei testimoni (o il rigetto della relativa
istanza di parte) nel caso che ad essi altri testi si siano riferiti per la
conoscenza dei fatti, costituendo esercizio di una facoltà siffatta (che
presuppone un apprezzamento di merito delle risultanze istruttorie), è
incensurabile in sede di legittimità, anche sotto il profilo del vizio di
motivazione (Sez. L, Sentenza n. 10077 del 01/08/2000; conf. Sez. L,
Sentenza n. 10239 del 04/05/2009).

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In ogni caso, anche detta doglianza ricade nell’ambito del vizio di
omessa o carente motivazione, non più censurabile alla luce della nuova
formulazione dell’art. 360 primo comma n.5 c.p.c., nel testo applicabile
ratione temporis, a seguito della novella di cui all”art.54 del D.L.
n.83/2012.

soccombenza, si liquidano come da dispositivo..
Sussistono i presupposti, ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del Testo
Unico di cui al D.P.R. n.115 del 2002, della sussistenza dell’obbligo di
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido
al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 3.700,00,
di cui € 200,00 per rimborso spese vive, oltre rimborso spese generali,
nella misura del 15%, ed accessori di legge.
Sussistono i presupposti, ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del Testo
Unico di cui al D.P.R. n.115 del 2002, della sussistenza dell’obbligo di
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

Così deciso in Roma, in data 8 febbraio 2018.
Il Presidente

dizistio

Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese, regolate secondo

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