Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19255 del 16/09/2020

Cassazione civile sez. II, 16/09/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 16/09/2020), n.19255

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20266-2019 proposto da:

F.G., rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONELLA

NATALE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE ANCONA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2948/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 12/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/01/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

 

Fatto

PREMESSO

che:

1. F.G., cittadino del (OMISSIS), proponeva appello avverso l’ordinanza del 30 novembre 2017 con la quale il Tribunale di Ancona aveva respinto il ricorso presentato avverso il provvedimento della locale Commissione territoriale dell’1 febbraio 2017, che aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale e di quella umanitaria. Innanzi alla Commissione il richiedente aveva dichiarato di essere scappato dal villaggio nativo perchè, a seguito della sua conversione al cristianesimo metodista, il capo della comunità religiosa del villaggio che adorava (OMISSIS) e alcuni abitanti avevano picchiato lui e i suoi familiari.

2. Con sentenza n. 2948 del 12 dicembre 2018 la Corte d’appello rigettava l’impugnazione.

3. Avverso la sentenza di rigetto F.G. propone ricorso per cassazione.

Gli intimati Ministero dell’interno e Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona non hanno proposto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

a) Il primo motivo contesta “nullità della sentenza per error in procedendo, ai sensi degli artt. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, carenza di motivazione, violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e), art. 3, comma 5, lett. c), artt. 5 e 6, art. 14, lett. a) e b)”: la Corte d’appello di Ancona ha erroneamente fondato il rigetto della domanda di protezione internazionale esclusivamente sulla valutazione negativa della credibilità e attendibilità del richiedente, senza attivare i poteri di indagine officiosi, al fine di accertare i fatti rilevanti in relazione alla richiesta presentata e rendendo argomentazioni “che evidenziano la radicale carenza del costrutto motivazionale” e non rendono “percepibili le ragioni della decisione”.

Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello di Ancona con argomentazione analitica e puntuale (v. le pp. 3-6 del provvedimento impugnato) ha confermato il giudizio di inattendibilità del racconto del ricorrente, poco plausibile e connotato da un elevato grado di genericità “soprattutto per quel che concerne il fumus persecutionis ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato e del pericolo di danno grave alla persona cui il richiedente andrebbe incontro se dovesse fare ritorno nel Paese d’origine”. D’altro canto, secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di riconoscimento della protezione internazionale l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, attiene al giudizio di fatto, censurabile in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (v., ex multis, Cass. 3340/2019). Va poi precisato che quando le dichiarazioni dello straniero sono inattendibili non è necessario – per l’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – un approfondimento istruttorio officioso (v., ex multis, Cass. 15794/2019).

b) Il secondo motivo fa valere “violazione e falsa applicazione di norme di diritto – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – in riferimento al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3”. Lamenta il ricorrente che il giudice di secondo grado non avrebbe condotto alcuna attività d’indagine come disposto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, limitandosi a confermare il giudizio di inattendibilità pronunciato dalla Commissione e dal Tribunale di Ancona e senza condurre alcuna indagine sulla situazione del Paese di provenienza; non risulta infatti alcuna indicazione relativa a fonti internazionali, ma solo a quelle reperite dal sito del Ministero degli affari esteri, che devono essere integrate con la consultazione dei “reports delle fonti internazionali”.

Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello, dopo aver precisato di avere il dovere di cooperare, ha valutato la generale situazione del Ghana, richiamando quale fonte delle informazioni il sito del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. D’altro canto il Ghana è stato inserito nell’ambito dell’elenco dei cosiddetti “Paesi sicuri” di cui del D.M. affari esteri e della cooperazione internazionale del 4 ottobre 2019, art. 1. E’ vero che, in disparte ogni considerazione circa l’applicabilità di detta normativa sopravvenuta ai giudizi in corso e alle domande già presentate, va considerato che l’inserimento del Paese nel predetto elenco non preclude la possibilità per il ricorrente di dedurre la propria provenienza da una specifica area del Paese stesso interessata a fenomeni di violenza e insicurezza generalizzata che, ancorchè territorialmente circoscritti, possono essere rilevanti ai fini della concessione della protezione internazionale o umanitaria, nè esclude il dovere del giudice, in presenza di detta allegazione, di procedere all’accertamento in concreto sulla pericolosità di detta zona e sulla rilevanza dei predetti fenomeni (v. Cass. 29914/2919), ma nel caso in esame tale allegazione non vi è stata, essendosi il ricorrente limitato a lamentare la mancata acquisizione informazioni attendibili sul Ghana.

c) Il terzo motivo contesta “violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza dei requisiti per l’autorizzazione al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”: il giudice di seconde cure non ha considerato che la condizione di vulnerabilità del ricorrente, vittima di atti persecutori per motivi religiosi nel Paese di origine, è stata ulteriormente aggravata dai fatti occorsi in Libia, ove ha soggiornato dall’1 febbraio 2016 al 29 luglio 2016, lavorando come imbianchino; nel caso in esame “occorre tenere conto delle drammatiche vicende vissute in Libia dal ricorrente il quale ivi aveva reperito un’opportunità lavorativa che gli consentiva di vivere dignitosamente, lavorando come muratore, fino a quando è stato costretto a fuggire, dopo che un collega di lavoro è stato raggiunto e ferito da un proiettile”; a tutto va aggiunto “un buon percorso di integrazione nel tessuto sociale e culturale italiano, ben avviato, anche attraverso l’inserimento lavorativo”.

Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello ha affermato che il ricorrente non ha allegato specifiche situazioni soggettive tali da giustificare la concessione della protezione umanitaria. Al riguardo il ricorrente lamenta la mancata considerazione dei fatti occorsi in Libia. E’ vero che nel valutare caso per caso la condizione di vulnerabilità, vanno considerate le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente, ma deve trattarsi di “eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, così da incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona” (Cass. 13096/2019). Nel caso in esame, invece, il ricorso sì delinea un generale quadro di violenze nel Paese di transito, la Libia, ma quanto alla soggettiva esperienza del ricorrente afferma soltanto che aveva “reperito un’opportunità lavorativa che gli consentiva di vivere dignitosamente” e cita quale episodio di violenza specifica un evento che non aveva colpito il ricorrente. Generico è poi il riferimento al percorso di integrazione in Italia.

2. Il ricorso va quindi rigettato.

Nessuna statuizione deve essere adottata sulle spese, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva in questa sede.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2020

 

 

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