Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19254 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/07/2019, (ud. 21/03/2019, dep. 17/07/2019), n.19254

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29594-2018 proposto da:

F.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIPRO, 46,

presso lo studio dell’avvocato NOSCHESE VINCENZO, rappresentato e

difeso da se stesso;

– ricorrente –

contro

D.N.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1003/2018 del TRIBUNALE di SALERNO, depositata

il 28/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CORRENTI

VINCENZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Con atto di citazione per opposizione a precetto del 7.04.2011, l’avv. F.R., quale procuratore e difensore di se stesso, citava davanti al Giudice di Pace di Salerno l’ing. D.N.P., per far dichiarare nullo il precetto di pagamento della somma di 4.845,94 notificatogli in forza dell’ordinanza del Giudice del Tribunale di Salerno – Sezione distaccata di Montecorvino Rovella – che aveva liquidato all’opposto, in qualità di C.T.U., la somma di Euro 2.309,40.

2) Stando alla sentenza oggi impugnata, il Giudice di Pace di Salerno riconosceva fondata la domanda attorea “limitatamente all’importo eccedente Euro 2.309,40 rispetto alla somma precettata” e compensava tra le parti le spese di giudizio.

3) L’avv. F.R. proponeva appello, lamentando la violazione dell’art. 92 c.p.c..

4) Con sentenza n. 1003/2018, pubblicata il 28.3.2018, il Tribunale di Salerno respingeva l’impugnazione.

Osservava che l’appellante aveva adito il Giudice di Pace per la declaratoria di nullità del precetto opposto, ottenendo, in parziale accoglimento della domanda, la riduzione della somma precettata. Riteneva che la soccombenza reciproca accertata dal giudice di primo grado giustifica”, la compensazione delle spese. Il tribunale inoltre condannava l’appellante al pagamento delle spese della fase d’appello in favore dell’appellato.

5) Per la cassazione della sentenza di appello, l’avv. F.R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

La causa è stata avviata a trattazione con rito camerale davanti alla Sesta sezione civile, con proposta di rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.

6) Con il primo motivo, parte ricorrente denuncia la violazione della L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), sulla compensazione delle spese di lite, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Secondo il ricorrente, essendo stata proposta in primo grado un’unica domanda ed essendo egli risultato vittorioso, non sussisteva soccombenza reciproca tale da giustificare la compensazione delle spese.

Il giudice d’appello, inoltre, non avrebbe tenuto presente la vigenza del nuovo regime introdotto della L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), che impone un adeguato supporto motivazionale nel provvedimento di compensazione delle spese, del tutto omesso – a giudizio del ricorrente – nella sentenza del giudice di prime cure invano impugnata.

Il motivo va rigettato.

Parte ricorrente sostiene nel ricorso di essere risultata totalmente vittoriosa in primo grado “perchè l’attore ha all’evidenza chiesto la riduzione ad Euro 2.309,40 della maggior somma, ingiustamente richiesta con l’atto di precetto opposto in Euro 4.845,94, in tale misura assolutamente non dovuta”. Per il riscontro di veridicità, si impone l’esame degli atti di primo grado. Da essi risulta che in sede di opposizione a precetto l’opponente – odierno ricorrente – aveva chiesto di “dichiarare nel merito nullo l’atto di precetto, essendo stata richiesta la somma di Euro 4.845,94 assolutamente non dovuta dal concludente, che è ora costretto a proporre opposizione a precetto con il fine di evitare che si proceda ad esecuzione forzata in suo danno per un credito inesistente”.

La sentenza di primo grado non ha dichiarato sic et simpliciter la nullità dell’atto di precetto, come era stato richiesto, ma ne ha rideterminato l’importo. Dunque, come ha osservato il tribunale, la domanda attorea non era stata accolta in toto dal giudice di pace, ma solo in parte, giustificando questo la compensazione delle spese (Cass. 20888/2018; Cass. 21684/2013).

7) Con il secondo mezzo, che è rivolto contro la liquidazione delle spese in appello (cfr. ricorso, pag. 7, penultima riga), parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 85 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 Si duole del fatto che il giudice avrebbe dovuto considerare che il difensore di parte opposta aveva rinunciato al mandato. Ritiene, pertanto, illegittimo il capo della sentenza contente condanna alle spese nella misura di Euro 2.300,00.

Il ricorrente sostiene che a seguito della rinuncia al mandato rapporto di rappresentanza avrebbe dovuto essere considerato “immediatamente rescisso” con la conseguenza che l’opera del “difensore rinunciatario” non avrebbe dovuto essere remunerata in quanto lo stesso “non ha più svolto attività”.

Anche questo motivo non può essere accolto.

Parte ricorrente ha svolto un mero rinvio a quanto “risulta dagli atti”, senza specificare nè in quale momento del giudizio di secondo grado la rinuncia del difensore sarebbe avvenuta, nè in che misura sia stata posta in essere attività difensiva dal legale di parte appellata, che, stando all’intestazione della sentenza impugnata (pag. 1), si era costituito “giusta procura in atti”.

Ed invero “i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6 devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza” (Cass. n. 29093/2018).

Il ricorrente, inoltre, deve specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione.

In particolare il ricorrente, il quale intenda dolersi dell’erronea valutazione di un atto o documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) – di produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso); la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile (Cass. n. 19048 del 28/09/2016).

Nella specie parte ricorrente, come detto, non ha specificato alcunchè in ordine allo svolgersi dell’attività del difensore di parte appellata; ha omesso di indicare gli atti e i verbali a cui fare riferimento per verificare la tesi sostenuta in ordine alla non spettanza di compensi da parte del difensore che aveva rinunciato al mandato. Peraltro questa tesi avrebbe avuto senso solo con riferimento al momento successivo alla rinuncia suddetta, dovendo essere comunque liquidate almeno le spese processuali fino a quel momento sostenute.

Il motivo pertanto è privo di fondamento.

Si impone quindi il rigetto del ricorso.

Non vi è necessità di provvedere sulle spese, in difetto di difese dell’intimato.

Va dato atto della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Dà atto della sussistenza delle condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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