Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19252 del 16/09/2020

Cassazione civile sez. II, 16/09/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 16/09/2020), n.19252

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20528/2019 proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI

NATALE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto n. cron. 5016/2019 del TRIBUNALE di NAPOLI,

depositato il 12/06/2019;

194 udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

del 21/01/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

 

Fatto

PREMESSO

che:

1. Con ricorso al Tribunale di Napoli, M.A., cittadino del (OMISSIS), impugnava il diniego del riconoscimento della protezione internazionale e di quella umanitaria reso dalla competente Commissione territoriale di Salerno con provvedimento del 24 ottobre 2017. Innanzi alla Commissione il richiedente aveva dichiarato di aver lasciato il Paese d’origine perchè aveva subito pressioni, percosse e minacce da parte di alcuni uomini del capo del villaggio, il quale voleva impadronirsi di un terreno di sua proprietà, pretendendo che firmasse un atto di cessione; dopo avere inutilmente richiesto l’intervento della polizia, aveva deciso di espatriare poichè temeva, in caso di rientro, di essere ucciso.

Con decreto 12 giugno 2019, n. 5016, il Tribunale di Napoli rigettava il ricorso.

3. Avverso il decreto M.A. propone ricorso per cassazione.

L’intimato Ministero dell’interno non ha proposto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

a) Il primo motivo contesta “motivazione apparente e perplessa (art. 360 c.p.c., n. 5)”: il Tribunale ha rigettato il ricorso sulla base di un giudizio di scarsa attendibilità delle dichiarazioni del ricorrente quando invece i fatti narrati dal ricorrente si possono ritenere veritieri, coerenti, plausibili e attendibili, “senza dare conto in maniera esauriente, e con logica e congrua motivazione, delle ragioni del proprio convincimento”.

Il motivo non può essere accolto. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di riconoscimento della protezione internazionale, l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, attiene al giudizio di fatto, censurabile in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (v., ex multis, Cass. 3340/2019). Nel caso in esame, il Tribunale ha argomentato in modo puntuale il giudizio di inattendibilità del racconto del ricorrente (v. le pp. 5-6 del provvedimento impugnato), con motivazione che pertanto risponde al canone di cui all’art. 111 Cost. e non presenta il vizio denunciato.

b) Il secondo motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e art. 14 e del art D.Lgs. n. 25 del 2008, . 8, comma 3 (art. 360 c.p.c., n. 3)”: il Tribunale ha errato nel ritenere insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, in quanto non ha acquisito le necessarie informazioni sulla situazione socio politica del Paese di origine e della regione di provenienza del ricorrente, omettendo una seria e approfondita istruttoria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, lett. a) e art. 14; dai principali siti di informazione emergerebbe infatti una situazione, pure nella zona di provenienza del ricorrente, di violenza indiscriminata e di pericolo diffuso non controllato o controllabile.

Il motivo non può essere accolto. Il Tribunale ha escluso – citando quali fonti i rapporti sui Paesi di origine dei richiedenti asilo (COI) della Commissione nazionale per il diritto d’asilo e i rapporti del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti – che il Ghana si trovi in una situazione di violenza indiscriminata; d’altro canto il Ghana è stato inserito nell’ambito dell’elenco dei cosiddetti “Paesi sicuri” di cui del D.M. affari esteri e della cooperazione internazionale del 4 ottobre 2019, art. 1. E’ vero che, in disparte ogni considerazione circa l’applicabilità di detta normativa sopravvenuta ai giudizi in corso e alle domande già presentate, va considerato che l’inserimento del Paese nel predetto elenco non preclude la possibilità per il ricorrente di dedurre la propria provenienza da una specifica area del Paese stesso interessata a fenomeni di violenza e insicurezza generalizzata che, ancorchè territorialmente circoscritti, possono essere rilevanti ai fini della concessione della protezione internazionale o umanitaria, nè esclude il dovere del giudice, in presenza di detta allegazione, di procedere all’accertamento in concreto sulla pericolosità di detta zona e sulla rilevanza dei predetti fenomeni (v. Cass. 29914/2919), ma nel caso in esame tale allegazione non vi è stata, essendosi il ricorrente limitato a genericamente parlare di “violenza indiscriminata in diverse aree e regioni del Ghana”, “pure nella zona di provenienza del ricorrente”.

c) Il terzo motivo fa valere “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 (art. 360 c.p.c., n. 3), motivazione apparente e perplessa (art. 360 c.p.c., n. 5)”: il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria senza indicare “in maniera esaustiva” le ragioni del rigetto, con motivazione quindi “meramente apparente e apodittica”, quando invece ricorrono nel caso in esame i presupposti per la concessione della protezione umanitaria; in particolare, l’attuale condizione socio-politica del Ghana “sconsiglia allo stato il rimpatrio del ricorrente e lo pone in una condizione di vulnerabilità”.

Il motivo non può essere accolto. Il Tribunale ha indicato le ragioni del rigetto della protezione umanitaria (il ricorrente, sulla base delle sue allegazioni, non rientra in una delle categorie deboli, quali quelle enucleate dal rapporto del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, nè altri profili di vulnerabilità, come quello attinente alla salute, sono stati dedotti dal medesimo), così che la motivazione sul punto non è apparente e perplessa. D’altro canto, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, il giudice è chiamato a verificare l’esistenza di seri motivi che impongano di offrire tutela a situazioni di vulnerabilità individuale, anche esercitando i poteri istruttori ufficiosi a lui conferiti, ma è necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca specifici elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (al riguardo v., ex multis, Cass. 21123/2019). Al contrario, il ricorrente si limita a fare un elenco delle sue “condizioni di particolare vulnerabilità”, condizioni che o non determinano di per sè una condizione di vulnerabilità (la giovane età, l’essere orfano di padre) o non vengono nel motivo specificate (la buona integrazione sociale in Italia, l’impossibilità di un reinserimento nel tessuto sociale del Paese d’origine), trovando specifico sviluppo unicamente la situazione socio-politico del Ghana “che sconsiglia allo stato il rimpatrio del ricorrente”, situazione su cui supra sub b) e che è presupposto non per la protezione umanitaria, ma per quella internazionale, come il “pericolo di essere sottoposto a trattamenti inumani e/o degradanti oltre che a una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante dalla violenza indiscriminata in caso di rimpatrio”.

2. Il ricorso va quindi rigettato.

Nessuna statuizione deve essere adottata sulle spese, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva in questa sede.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Seconda Sezione Civile, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2020

 

 

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