Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19245 del 09/09/2010

Cassazione civile sez. I, 09/09/2010, (ud. 08/07/2010, dep. 09/09/2010), n.19245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.C.M. (C.F. (OMISSIS)), R.J. (C.F.

(OMISSIS)), R.F. (C.F. (OMISSIS)), R.

M.N. (C.F. (OMISSIS)), R.S. (C.F.

(OMISSIS)) – in persona del procuratore generale Avv.

FIORILLO Ernesto, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA AUGUSTO

IMPERATORE 3, presso l’avvocato GIOVANNI TOGNON, rappresentati e

difesi dall’avvocato CUCINOTTA GIUSEPPE CARMELO, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA,

depositato il 13/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/07/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 28.09.2006 R.C.M., R. M.N., R.F., R.S. e R.J., anche quali eredi della madre G.R.M., adivano la Corte di appello di Reggio Calabria chiedendo che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrispondere loro l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.

Con decreto del 12 – 13.11.2007, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, condannava l’Amministrazione a pagare a ciascuno degli istanti la somma di Euro 7.000,00, con interessi legali dal provvedimento, a titolo di equo indennizzo del danno non patrimoniale, nonche’ il 50% delle spese processuali, compensate per la residua parte, stante l’accoglimento solo parziale della domanda.

La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:

– che i ricorrenti avevano chiesto l’equa riparazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti (quantificati per ognuna delle due voci in complessivi Euro 28.000,00) per effetto dell’irragionevole durata del processo civile, avente ad oggetto la convalida di un sequestro giudiziario immobiliare ed il riconoscimento del diritto di proprieta’ sul bene, da loro e dalla defunta madre introdotto dinanzi al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con atto di citazione notificato il 17.11.1992 ed ancora pendente in primo grado, nonostante il decorso di quasi 14 anni;

– che il processo presupposto, considerata la relativa natura e non particolare complessita’, avrebbe dovuto essere definito in un triennio, periodo cui doveva aggiungersi il tempo (pari complessivamente a 4 anni), addebitarle ai ricorrenti (per rinvii o chiesti o non avversati o dovuti a sciopero degli avvocati, ovvero intercorso tra la cancellazione della causa dal ruolo, disposta per la mancata comparizione delle parti, e la successiva riassunzione nonche’ tra l’interruzione del medesimo processo, dipesa dalla morte del convenuto, e la nuova riassunzione), ragione per cui il ritardo irragionevole doveva stimarsi in 7 anni;

– che per il periodo d’irragionevole ritardo di definizione, il chiesto indennizzo doveva essere limitato al danno morale, stante l’assenza di prova di quello patrimoniale, ed equitativamente liquidato in favore di ciascun ricorrente, nella misura attualizzata di Euro 1.000,00 ad anno di ritardo;

– che alcun indennizzo poteva invece essere liquidato in favore degli attori quali eredi della madre, essendo costei deceduta il (OMISSIS), prima che nel processo presupposto fosse maturato un ritardo irragionevole di definizione.

Avverso questo decreto i R. hanno proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi ed illustrato da memoria.

L’Amministrazione intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso i R. denunziano, con formulazione di quesiti di diritto, in ossequio al disposto dell’art. 366 bis c.p.c.:

1) “Violazione e falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c. e dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 – sul quantum del danno non patrimoniale”.

Si dolgono dell’insufficienza dell’indennizzo liquidato per il subito danno morale. Il motivo non e’ fondato, dal momento che la Corte distrettuale ha liquidato in via equitativa l’importo di Euro 1.000,00 ad anno di incongruo ritardo, determinazione che si rivela in linea con i parametri di quantificazione della riparazione del danno non patrimoniale applicati in casi simili dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, oscillanti tra Euro 1.000,00 e 1.500,00, e che l’aderenza al parametro minimo appare congruamente argomentata con riferimento alle peculiarita’ del caso (tra le numerose altre, cfr.

Cass. 200704845; 200921840) e solo genericamente ed apoditticamente avversata con mero richiamo ad un’indubbia grave compromissione del diritto azionato.

2) “Violazione e falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 dell’art. 81 disp. att. c.p.c. e dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 sulla quantificazione del ritardo irragionevole”.

I ricorrenti censurano esclusivamente per violazione e falsa applicazione delle rubricate disposizioni, che nel computo del ritardo irragionevole di definizione sia stato loro addebitato il tempo complessivamente pari a 4 anni, senza considerare che, ai sensi dell’art. 81 disp. att. c.p.c., ogni intervallo tra un’udienza e l’altra non puo’ essere superiore a 15 giorni e sostenendo conseguentemente che non potevano essere defalcati dalla durata incongrua indennizzabile i tempi dei rinvii eccedenti tale termine.

Il motivo non ha pregio.

Se da un canto il quadriennio espunto dai giudici di merito e’ stato solo in parte riferito a rinvii chiesti dalle parti o determinati dall’adesione dei loro procuratori allo sciopero, ragione per cui la censura si rivela non autosufficiente, non essendo stata anche confortata dallo specifico richiamo alle in tesi concesse dilazioni eccedenti il termine ordinatorio di cui all’art. 81 disp. att. cod. proc. civ., dall’altro i rinvii dovuti ad espresse richieste della parte ricorrente o dei suoi difensori costituiscono circostanze di fatto la cui valutazione e’ rimessa al giudice di merito e tale valutazione non si risolve in un mero computo aritmetico, ma implica un giudizio – come tale insindacabile se non per vizi motivazionali nella specie non dedotti – nell’ambito del quale detti rinvii, pur dovendo in linea di massima essere attribuiti esclusivamente a comportamenti delle parti, possono essere imputati in parte anche all’apparato giudiziario (cfr. Cass. 200518589).

3) “Violazione e falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – i danni patrimoniali”.

Si dolgono della mancata liquidazione in via equitativa della riparazione dovuta per il pregiudizio economico subito, consistito, secondo il formulato quesito di diritto, nella mancata percezione del petitum della causa di merito. Il motivo non merita apprezzamento favorevole.

Nel giudizio per equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, il danno patrimoniale indennizzabile s’identifica nel danno arrecato come conseguenza immediata e diretta, e sulla base di una normale sequenza causale, esclusivamente dal prolungarsi della causa oltre il termine ragionevole. Nella specie i giudici di merito hanno escluso che fosse stata fornita dai ricorrenti la prova dell’esistenza di un danno patrimoniale conseguenza immediata e diretta del mancato rispetto del termine ragionevole. Tale valutazione, rimasta non censurata, precludeva pure l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod. civ., il quale presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare; non e’ possibile, invece, in tal modo surrogare il mancato accertamento della prova del danno nella sua esistenza. (in tema cfr, da ultimo Cass. 201010607).

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna in solido dei ricorrenti al pagamento, in favore dell’Amministrazione della Giustizia, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento in favore del Ministero della Giustizia delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in complessivi Euro 600,00.

Cosi’ deciso in Roma, il 8 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2010

 

 

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