Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19244 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 19244 Anno 2018
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: CAVALLARO LUIGI

ORDINANZA
sul ricorso 12736-2017 proposto da:
SQUILLANTE LUIGI MARIA, elettivamente domiciliato in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati MASSIMO
USSEGLIO, DANILO GHIA;

– ricorrente contro
MAP SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA
3, presso lo studio dell’avvocato ANGELO MARTUCCI, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati

VITI ORTO

TORAZZI, GIOVANNI VILLANI;

– controricorrente –

.57g.

Data pubblicazione: 19/07/2018

avverso la sentenza n. 295/2017 della CORTE D’APPELLO di
TORINO, depositata il 13/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 10/05/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI
C_AVALLARO.

che, con sentenza depositata il 13.3.2017, la Corte d’appello di
Torino ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva
rigettato l’impugnativa proposta da Luigi Maria Squillante avverso il
licenziamento intimatogli per motivi disciplinari da MAP s.p.a.;
che avverso tale pronuncia Luigi Maria Squillante ha proposto
ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura;
che MAP s.p.a. ha resistito con controricorso;
che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.,
ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione
dell’adunanza in camera di consiglio;
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con l’unico motivo di censura, il ricorrente lamenta violazione
dell’art. 7 St. lav. e omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio per avere la Corte di merito ritenuto la tempestività del
licenziamento nonostante che i fatti oggetto della contestazione
disciplinare fossero conosciuti e comunque conoscibili da parte
della direzione aziendale e non vi fosse stata da parte di
quest’ultima alcuna iniziativa volta ad identificarne i responsabili;
che è ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di
legittimità il principio secondo cui il vizio di violazione di legge
consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del
provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una

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RILEVATO IN l’ATTO

nonna di legge e implica necessariamente un problema
interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea
ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di
causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla
tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di

ult. Cass. n. 24155 del 2017);
che, nella specie, il motivo di censura incorre precisamente nella
confusione dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo
formulato con riguardo ad una presunta violazione e falsa
applicazione dell’art. 7 St. lav., si duole che la Corte territoriale
abbia deciso la causa sulla scorta di una lettura «incoerente» (così il
ricorso, pag. 16) delle deposizioni testimoniali, non a caso
meticolosamente ripercorse alle pagg. 11-23 del ricorso, che è per
l’appunto questione che esula dall’esatta interpretazione della
disposizione di legge invocate quale parametro di legittimità e
attiene piuttosto alla correttezza o meno dell’accertamento di fatto
che è presupposto per la sua applicazione;
che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con cui si
deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge
mirandosi, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di
merito, atteso che in tal modo si consentirebbe la surrettizia
trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non
consentito, grado di merito (Cass. n. 8758 del 2017);
che non diversamente va osservato con riguardo alla censura di
omesso esame circa fatti decisivi, essendosi chiarito che, specie a
seguito della riformulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. da parte dell’art.
54, d.l. n. 83/2012 (conv. con 1. n. 134/2012), può essere dedotto

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legittimità se non nei ristretti limiti dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr. da

in sede di legittimità soltanto l’omesso esame di un fatto storico,
principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel senso che, se
esaminato, avrebbe detettninato un esito diverso della controversia,

esame di elementi istruttori qualora – come nella specie – il fatto
storico rilevante in causa sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato
conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. n. 8053 del 2014);
che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi
come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che
seguono la soccombenza;
che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del
ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso;
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente
alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in
€ 3.700,00, di cui € 3.500,00 per compensi, oltre spese generali in
misura pari al 15`)/o e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art.
13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 10.5.2018.

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restando viceversa esclusa la possibilità di dolersi dell’omesso

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