Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19243 del 20/08/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 19243 Anno 2013
Presidente: BURSESE GAETANO ANTONIO
Relatore: PARZIALE IPPOLISTO

SENTENZA
sul ricorso 19297-2007 proposto da:
DE GENNARO GIOVANNI, DGN

GNN 29H29 F284X,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA GALERIA 17, presso
lo studio dell’avvocato CARABELLESE MATTEO, rappresentato e
difeso dall’avvocato DE PINTO VINCENZO, come da procura
speciale in calce al ricorso ;

– ricorrente Contro
COMUNE di BITONTO;

– intimato avverso la sentenza n. 8/2007 della CORTE D’APPELLO di BARI,
depositata il 16/01/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
30/05/2013 dal Consigliere Dott. IPPOLISTO PARZIALE;

45-s’-it

Data pubblicazione: 20/08/2013

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
COSTANTINO FUGGI, che conclude per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ricorso depositato il 25.02.95, il signor De Gennaro chiedeva al
Pretore di Bitonto di essere reintegrato nel possesso del proprio

conseguenza dei lavori di rifacimento del marciapiede antistante la
porta d’ingresso, eseguiti dal Comune di Bitonto. Tali lavori avevano
comportato l’innalzamento del livello del marciapiede bloccando
l’apertura della porta d’ingresso della palazzina del ricorrente.
2. Il Comune di Bitonto negava la propria legittimazione passiva e la
sussistenza del denunciato spoglio, ma provvedeva a far sbloccare il
portoncino d’ingresso dell’immobile del ricorrente, senza però
completare i lavori necessari per la rimessione in pristino (realizzazione
di nuova soglia d’ingresso per prevenire l’accesso delle acque).
Il giudizio proseguiva con CTU, che verificava la fondatezza delle
lamentele della parte ricorrente. Il G.I. concedeva, a richiesta del
ricorrente, il provvedimento interinale, con intimazione al convenuto
di provvedere al ripristino integrale dello stato dei luoghi. Il Comune
dava esecuzione al provvedimento del giudice.
3. Il giudice di prime cure si pronunciava poi sulla domanda del signor
De Gennaro, dichiarando inammissibile l’azione di reintegrazione nel
possesso, difettando in capo al Comune l’animus .spoliandi, affermando
che l’evento si era realizzato in maniera del tutto involontaria e che
inoltre difettava un concreto spoglio, in ragione del fatto che l’accesso
all’immobile era stato semplicemente ostacolato ma non impedito. Il
giudice compensava le spese del giudizio.
4. Avverso tale decisione proponeva appello il De Gennaro, il quale
chiedeva che fosse riconosciuta l’intervenuta cessazione della materia
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immobile, del quale asseriva di essere stato violentemente spogliato in

del contendere, a seguito dei lavori di ripristino dello stato dei luoghi
fatti effettuare dal Comune di Bitonto, con condanna dell’appellato al
pagamento delle spese del doppio grado.
5. Si costituiva il Comune di Bitonto, che negava la sussistenza dei
presupposti dello spoglio e comunque la propria legittimazione passiva

sulla disposta compensazione delle spese.
6. La Corte d’appello di Bari, con senten7a depositata in cancelleria il
16 gennaio 2007, rigettava entrambi gli appelli. Escludeva la Corte di
merito che nell’attività materiale di cui si era doluto il De Gennaro
fosse configurabile uno spoglio, essendosi invece trattato di una errata
esecuzione di lavori di manutenzione stradale, che avevano
determinato la sola difficoltà di accesso all’immobile del Di Gennaro,
ma non già il lamentato spossessamento; comunque i lavori erano
riconducibili alla attività posta in essere dalla ditta appaltatrice con
conseguente esclusione di ogni animus spoliandi in capo al Comune. Il
giudice d’appello, considerando che, in ogni caso, l’impedimento
procurato al De Gennaro era effettivo e che il Comune aveva tardato a
porvi rimedio, riteneva integrati i presupposti per la disposta
compensazione delle spese del giudizio di primo grado. Quanto agli
oneri processuali dell’appello, la Corte riteneva di porli completamente
a carico del De Gennaro, avendo questi proposto il gravame per
l’integrale riforma della decisione, nonostante la “completa motivnione del
Tribunale sulPinfondatea dei suoi argomenti”.
7. Avverso la sentenza d’appello, ha proposto ricorso in cassazione il
signor De Gennaro, con tre motivi. Nessuna attività in questa ha
svolto l’Amministrazione intimata.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I motivi del ricorso
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ed eccepiva la tardività della domanda. Proponeva appello incidentale

1.1 Col primo motivo di ricorso si deduce: «Violazione e falsa applicazione
degli articoli 100 loc e 1168 c.c. in riferimento all’art. 360 nn. 3 e 5 cp.c.: omessa
insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il
giudizio».
Il ricorrente contesta la sentenza della Corte d’appello di Bari nella

parte in cui ha ritenuto che l’attività materiale di cui egli si doleva fosse
riconducibile all’impresa appaltatrice dei lavori e non anche al Comune,
che doveva essere comunque individuato come autore morale dello
spoglio. Tale doveva essere considerato il Comune, essendo sufficiente
al riguardo anche la mera approvazione successiva dell’attività o
l’averne tratto profitto. Sussisteva, quindi, la legittimazione passiva sia
dell’autore materiale che dell’autore morale dello spoglio, potendo la
pretesa essere coltivata anche dei confronti di uno solo dei
responsabili.
Il ricorrente censura la motivazione del giudice di appello, in quanto
insufficiente, con riferimento all’omessa considerazione delle seguenti
circostanze: A) “che il Comune di Bitonto a seguito della notifica del ricorso
introduttivo aveva provveduto senza riserve né contestazioni a reintegrare il
possessore-ricorrente nel pristino possesso del bene, aderendo alla domanda di
reintegrazione del possesso e riconoscendo così sia l’esistenza della turbativa che
costituiva oggetto della lamentela principale sia, attraverso l’esecuzione dell’opera la
propria responsabilità”; B) ” che il giudizio era proseguito solo perché i lavori di
ripristino, per le modalità oggettive di esecuzione (..), erano stati eseguiti (dal
Comune di Bitonto e non da altri visto che il ricorso introduttivo era stato notificato
solo all’ente comunale), solo parzialmente e non completati, e quindi per ottenere un
provvedimento di condanna dell’amministrazione a completare le opere ( ..), nonché
per la regolamentazione delle spese di lite”.
L’oggetto del giudizio non riguardava, quindi, lo spoglio del possesso,
ma la difettosa e/o incompleta esecuzione delle opere conseguenti

td
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all’attività di ripristino del possesso e la conseguente regolazione delle
spese.
Con riferimento all’articolo 366 bis cod. proc. civ., il ricorrente formula
il seguente quesito di diritto:
“Dica l’Ecc.ma Corte se un privato cittadino, che a seguito di opere pubbliche

privato della possibilità di accedere al proprio immobile (dunque privato de/possesso
dell’immobile), possa proporre l’azione di reintegrazione nel possesso non solo contro
l’autore materiale ma anche contro l’autore morale dello spoglio, intendendosi per
tale anche il mandante, cioè colui che abbia dato incarico ad altri di porre in essere
gli alti integranti gli estremi dello spoglio o li abbia comunque autorizzati, sia colui
che li abbia successivamente approvati, traendone profitto con il far propri gli effetti
della lesione possessoria nella consapevolezza dell’illiceità del fatto e se tale
comportamento possa essere identificato in quello di un ente comunale che una volta
realizzato l’innalzamento del livello del marciapiede bloccando vistosamente la
porta di accesso di un immobile posto al piano stradale, e dunque impedendo al
legittimo proprietario di poter accedere nell’immobile stesso, abbia mantenuto la
disponibilità del marciapiede nella nuova consistenza, conservando l’innalzamento
realizzato (pmir potendo adeguare le nuove opere allo stato dei luoghi evitando di
causare situazioni pregiudizievoli per i cittadini), pur nella consapevolezza
dell’illiceità di tale comportamento e delle conseguenze dannose che tali opere
avrebbero arrecato.”
1.2 Col secondo motivo di ricorso si deduce: «Violazione e falsa
appkcazione dell’articolo 1168 c.c. in rzferimento all’articolo 360 nn 3 e 5 c.p.c.:
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo
per il giudizio». Il ricorrente censura la sentenza di appello nella parte in
cui il giudice del gravame ha ritenuto che nella fattispecie in esame non
sussistesse l’ animus spoliandi, escludendo che il Comune di Bitonto
avesse finalizzato il proprio intervento allo scopo di aggredire il
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(nella specie rifacimento del marciapiede pubblico) eseguite dal Comune venga

possesso dell’appellante. L’animus 3pokandi, secondo il De Gennaro, è
insito nella volontarietà delle limitazioni arrecate al possesso altrui, cioè
nell’alterazione dello stato preesistente, senza necessità di intenzioni
specifiche, tenendo conto che le azioni possessorie tutelano sic et
simpliciter lo ius possessionis in contrasto con un preteso ius possidendi.

violenza che la clandestinità dello spoglio, in quanto la prima si
identifica con la mancanza di consenso dello spogliato (anche sotto
forma di dissenso esplicito o presunto), dovendosi la clandestinità
ritenere integrata dalla privazione del godimento della res avvenuta
all’insaputa del possessore, venutone a conoscenza solo in un
momento successivo.
Il ricorrente indica i fatti controversi, rilevando che l’accertamento
dell’ animus sooliandi non era più necessario, in conseguenza
dell’adempimento spontaneo dell’Amministrazione, senza riserve né
condi7ioni. Con riferimento all’articolo 366 bis cod. proc. civ. viene
formulato il seguente quesito di diritto:
“Dica l’Ecc.ma Corte se l’innalzamento della quota di un marciapiede di oltre 10
cm che di fatto e vistosamente impedisca l’apertura del portone d’ingresso di un
immobile possa ritenersi atto integrante (in re ipsa) di estremi dello spoglio, con
riguardo all’animus Jpoliandi, in considerazione del fatto che il committente (nella
fattispecie il Comune di Bitonto) nell’approvare e rendere esecutivo il progetto di
rifacimento della pavimentazione del marciapiede si rendeva certamente conto, o
avrebbe dovuto rendersi conto, che tale opera avrebbe di fatto impedito l’apertura del
portone di accesso all’immobile in oggetto posto al piano terraneo, ma nonostante
ciò, pur vedendo le conseguenze dannose ed illecite del proprio operato, autolizzava
comunque l’esecuzione delle opere, accettandone le conseguenze.”

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Inoltre, secondo il ricorrente, sussistono nel caso di specie sia la

1.3 — Col terzo motivo di ricorso si deduce: «Violazione e falsa
applicnione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in rifèrimento all’art. 360 nn. 3 e 5 cp.c.:
omessa, insufficiente e contraddittoria motivnione su un fatto controverso e decisivo
per il giudkio».
Il sig. De Gennaro impugna la condanna pronunciata dalla Corte

d’appello di Bari al pagamento delle spese processuali del secondo
grado di giudizio. Secondo il ricorrente, l’organo giudicante avrebbe
dovuto compensare integralmente, o almeno parzialmente, le spese, in
considerazione del fatto che entrambe le impugnazioni (principale ed
incidentale) erano state rigettate.
La motivazione circa la statuizione sulle spese, risultava
contraddittoria, perché era stato riconosciuto che l’impedimento,
procuratogli dai lavori appaltati dall’amministrazione comunale, era
effettivo.
Inoltre, il giudice d’appello non aveva tenuto in considerazione le
doglianze del ricorrente circa il mancato riconoscimento da parte del
giudice di primo grado delle spese anticipate per la CTU, resasi
necessaria proprio a seguito della condotta dell’amministrazione
comunale che aveva provveduto in maniera del tutto incompleta a
ripristinare lo status quo ante.
Con riferimento all’articolo 366 bis c.p.c. il ricorrente formula il
seguente quesito di diritto: ‘Dica l’Ecc.ma Corte se nell’ipotesi di reciproca
soccombenza dell’appellante principale e di quello incidentale, il fatto di aver avviato
(per primo) il gravame, attraverso il ricorso principale, possa ritenersi motivnione
sufficiente e conforme a diritto per condannare alla refusione delle .pese processuali il
ricorrente principale”.
2. Il ricorso è infondato e va respinto.
2.1 n primo motivo è infondato.

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i\A

Quanto alla violazione di legge (legittimato passivo dell’azione di
spoglio), il giudice d’appello si è limitato ad affermare che l’azione
doveva essere (eventualmente) proposta nei confronti di chi aveva
posto in essere l’attività materiale non per negare l’eventuale
legittimazione anche del Comune, ove autore morale, posto che invece

violazione di legge sotto il denunciato profilo.
Sono poi infondati i due profili dedotti come vizio motivazionale. Per
entrambi i profili il ricorrente non formula in sostanza una censura
correttamente riconducibile al vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc.
civ., avanzando invece una personale valutazione della vicenda
processuale, essendo evidente, quanto al punto A, che il Comune è
intervenuto per evitare qualsiasi profilo di sua responsabilità, senza che
da ciò si possa dedurre un comportamento di tipo confessorio,
essendosi invece il Comune difeso nel giudizio; quanto al punto B, che
la prosecuzione del giudizio è avvenuta ad iniziativa del solo odierno
ricorrente per un profilo diverso da quello iniziale (possessorio),
discutendosi dei lavori da eseguire per la rimessione in pristino. Anche
sotto tale profilo, il comportamento del Comune è lineare, essendo
intervenuto per evitare qualsiasi responsabilità sotto altro profilo,
restando invece aperta la questione dell’errata iniziale esecuzione dei
lavori, estranea alla vicenda possessoria, per effetto della ricostruzione
complessiva della vicenda in fatto, non censurabile in questa sede,
perché adeguatamente motivata.
2.2 — È pure infondato il secondo motivo.
Non sussiste la dedotta violazione di legge, posto che correttamente i
giudici di merito hanno valutato i presupposti dell’azione di spoglio ed
in particolare Panimus spoliandi, proprio in relazione alla peculiarità della
vicenda. Infatti, l’odierno ricorrente intende far risalire la responsabilità
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aveva escluso tale qualità in capo a tale Ente. Sicché non sussiste la

del preteso spoglio all’attività volontaria del Comune, indicato come
autore morale (e, quindi, mandante) del preteso spoglio, conseguente
invece all’errata esecuzione dei lavori di asfalto. Sul punto, il ricorrente
sostiene che è sufficiente ad integrare l’animus spoliandi il solo aver
ordinato i lavori di manutenzione, che avrebbero comportato, in tesi,

l’attività materiale di spoglio. Anche in questo caso il ricorrente erra,
poiché confonde l’eventuale attività colposa del Comune (che
potrebbe sussistere, ma comunque richiederebbe un accertamento in
fatto sul punto) con il necessario elemento volontario richiesto dalla
norma, integrato dalla specifica intenzione di mettere in atto un’azione
di spoglio, che, proprio per la peculiarità della vicenda, va escluso, così
come concordemente ritenuto dai giudici del merito. Restavano
evidentemente a disposizione dell’odierno ricorrente altre e diverse
forme di tutela. Di conseguenza, la Corte territoriale ha fatto corretta
applicazione dell’art. 1168 cod. civ. invocato, restando poi questione di
merito la corretta valutazione dell’esclusione dell’animus spoliandi. Al
riguardo occorre osservare che il pur dedotto vizio di motivazione non
è fondato, posto che anche in questo ciò che il ricorrente censura non
è la motivazione addotta, ma il suo risultato.
La Corte territoriale, infatti, ha chiaramente indicato le ragioni
dell’esclusione dell’animus ,spoliandi, già su richiamate, non potendosi
ragionevolmente ritenere che il Comune avesse inteso, attraverso
lavori di manutenzione delle strade (e, quindi, riguardanti diversi
abitanti della zona e non certo il solo odierno ricorrente), mettere in
atto uno spoglio, privo di qualsiasi concreta motivazione. Si tratta di
valutazione di merito del giudice d’appello, incensurabile in questa
sede, perché coerente e logica rispetto alle emergenze processuali ed
alla specificità della vicenda.
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l’innalzamento di 10 centimetri del piano stradale, così determinando

Né, infine, assume rilievo l’affermazione del ricorrente secondo la
quale la causa sarebbe proseguita per verificare il corretto
adempimento dell’amministrazione, posto che le conclusioni assunte
riguardavano lo spoglio pretesamente subito, rispetto al quale era
necessario l’accertamento dell’animus spokandi.

territoriale ha posto a carico dell’odierno ricorrente interamente le
spese del giudizio d’appello, valutando l’incidenza della reciproca
soccombenza rispetto alle domande proposte, essendo limitate quelle
del Comune alla sola questione delle spese. Ciò è sufficiente ai fini
della pronuncia, in relazione alla quale la Corte territoriale ha voluto
ulteriormente evidenziare anche la chiara infondatezza della domanda
dell’appellante principale, rispetto alla quale vi era stata una esaustiva
motivazione del giudice di primo grado, proprio sulla questione

dell’ani/1ms possidendi.
La questione delle spese della CTU in primo grado resta estranea alla
censura così come articolata.
3. Nulla per le spese.
P.T.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, Camera di Consiglio del 30 maggio 2013
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IL P 2E:
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2.3. Infine, anche il terzo motivo è infondato, perché la Corte

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