Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19242 del 09/09/2010

Cassazione civile sez. I, 09/09/2010, (ud. 08/07/2010, dep. 09/09/2010), n.19242

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PARRINO MARIA

TERESA, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositato il

31/05/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/07/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 24.05.2006 C.G. adiva la Corte di appello di Palermo chiedendo che la Presidenza del Consiglio dei Ministri fosse condannata a corrispondergli l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.

L’Amministrazione non si opponeva all’accoglimento del ricorso, salvo che la domanda azionata nel processo presupposto non fosse risultata temeraria.

Con decreto depositato il 31.05.2008, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, respingeva la domanda del C., che condannava al pagamento delle spese processuali. La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:

– che il C. aveva chiesto l’equa riparazione del danno subito (quantificato in Euro 30.000,00, oltre accessori) per effetto dell’irragionevole durata del processo da lui introdotto, dinanzi alla Corte dei Conti, con ricorso del 10.05.1978, con cui aveva impugnato il decreto ministeriale di diniego del trattamento pensionistico privilegiato da infermita’ (“gastroduodenite, colite spastica e reumatismi alla gamba sinistra ed alla schiena”) dipendente da causa di servizio;

– che il suddetto processo era stato definito con sentenza del 5.05 – 16.09.2005, di rigetto del ricorso per intempestivita’ della domanda di pensione, proposta solo in data 24 maggio 1977, a distanza di oltre cinque anni dalla fine del servizio di leva, cessato il 31.12.1969, e, dunque, dopo la scadenza del prescritto termine decadenziale, senza che in precedenza fosse stato chiesto l’accertamento della causa di servizio o questa fosse stata verificata;

– che la presentazione del ricorso amministrativo non era stata preceduta nel previsto quinquennio da alcuna constatazione delle infermita’ da parte dell’autorita’ militare ed era avvenuta a ben otto anni di distanza dalla cessazione del servizio militare, sicche’ non poteva ingenerare alcuna ragionevole e plausibile aspettativa di accoglimento gia’ in quella sede;

– che la ragionevole e plausibile aspettativa di accoglimento della domanda aveva ancora minore ragione di ingenerarsi in sede giurisdizionale, a seguito del rigetto della domanda amministrativa proprio per intempestivita’, posto anche che il C. non solo nel ricorso non aveva allegato la minima circostanza almeno in punto di fatto se non di diritto, che potesse contrastare la conclusione del Ministero, ma successivamente i suoi difensori avevano prospettato la sospensione del termine decadenziale per incapacita’ naturale del loro assistito, impedimento prima mai prospettato e comunque categoricamente escluso dalla Corte dei Conti in base anche alle indagini istruttorie successivamente esperite;

– che, pertanto, era evidente che il giudizio in argomento era stato proposto temerariamente, cioe’ con l’oggettiva prevedibilita’ di rigetto del ricorso per infondatezza, incompatibile con l’ansia connessa all’incertezza sull’esito del processo.

Avverso questo decreto il C. ha proposto ricorso per Cassazione, notificato il 9.06.2008, affidato a due motivi. La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha resistito con controricorso notificato a mezzo posta, con invio del 22.07.2008.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente in rito va rilevata l’inammissibilita’ del controricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri, notificato al ricorrente dopo la scadenza del termine prescritto dall’art. 370 c.p.c., comma 1.

A sostegno del ricorso il C. denunzia:

1. “Violazione e falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, commi 1 e 2, art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento alla consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sull’art. 6 , par. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”.

Si duole che la domanda di riparazione sia stata disattesa nonostante che la Presidenza del Consiglio dei Ministri nulla avesse eccepito ne’ provato circa la relativa temerarieta’.

1. “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Il ricorrente sostiene conclusivamente che e’ mancata la valutazione della sua incompetenza processuale e sostanziale e della sua evidente buona fede, e che la decisione si fonda esclusivamente su presunzioni semplici non fondate su alcuna prova.

I due motivi di ricorso, che essendo strettamente connessi consentono esame unitario, non sono fondati.

I giudici di merito hanno ineccepibilmente applicato il principio secondo cui in tema di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2000, n. 89, l’ansia e la sofferenza – e quindi il danno non patrimoniale – per l’eccessivo prolungarsi della causa costituiscono i riflessi psicologici che la persona normalmente subisce per il perdurare dell’incertezza sull’assetto delle posizioni coinvolte dal dibattito processuale e, pertanto, se prescindono dall’esito della lite (in quanto anche la parte poi soccombente puo’ ricevere afflizione per l’esorbitante attesa della decisione), restano in radice escluse in presenza di un’originaria consapevolezza della inconsistenza delle tesi sollevate in causa, dato che, in questo caso, difettando una condizione soggettiva di incertezza, viene meno il presupposto del determinarsi di uno stato di disagio.

D’altra parte, poiche’ dall’impugnato decreto (pag. 3) emerge che l’Amministrazione non si era opposta all’accoglimento del ricorso, salvo che la domanda azionata nel processo presupposto non fosse risultata temeraria, priva di pregio si rivela la censura con cui il C. genericamente deduce la mancanza di eccezione sul punto.

Inoltre l’inesistenza del danno non patrimoniale dovuta a detta consapevolezza deve essere eccepita e provata dall’Amministrazione ai sensi dell’art. 2697 c.c. (tra le altre, cfr. cass. 201009938;

200607139; 20052108; 200313741), ma il principio relativo all’onere della prova, di cui all’art. 2697 cod. civ., non implica affatto che la dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto preteso debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che e’ gravato del relativo onere, senza poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti al processo, poiche’ nel vigente ordinamento processuale vale il principio di acquisizione, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro (tra le altre e da ultimo, cfr. Cass. 201000739).

Ben potevano, quindi, i giudici di merito porre a fondamento del loro convincimento gli elementi probatori acquisiti al giudizio, ivi compresi i dati esposti nella sentenza conclusiva del processo svoltosi dinanzi alla Corte dei Conti, quand’anche non offerti dall’Amministrazione gravata dell’onere probatorio. Inoltre, l’avversata valutazione si rivela pure congruamente e logicamente argomentata, considerato anche il richiamo all’assoluto difetto di prova circa l’asserito stato d’incapacita’ naturale del C. e che dai prospettati rilievi di errori valutativi in ordine agli elementi (per quanto detto legittimamente) assunti non e’ dato desumere illogicita’ o carenze motivazionali decisive.

Non deve provvedersi sulle spese del giudizio di legittimita’ stante la rilevata inammissibilita’ per tardivita’ del controricorso dell’Amministrazione intimata, che non ha partecipato alla discussione orale.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, il 8 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2010

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