Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19238 del 15/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 15/09/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 15/09/2020), n.19238

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21762-2014 proposto da:

C.M., P.M., quali eredi di C.F., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA OTRANTO 36, presso lo studio dell’avvocato

MARIO MASSANO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ENRICO CORNELIO;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati LIDIA

CARCAVALLO, ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 699/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 11/03/2014 R.G.N. 1137/2010.

 

Fatto

RILEVATO

che:

C.M. e P.M. quali eredi di C.F., pensionato (deceduto nel corso di giudizio di primo grado) al quale erano stati riconosciuti, all’esito del giudizio di primo grado, i benefici derivanti dalla esposizione qualificata all’amianto L. n. 257 del 1992, ex art. 13 per il periodo 6 maggio 1977 – 30 settembre 1991, impugnarono la sentenza in quanto il Tribunale aveva omesso di pronunciare in ordine alla domanda di riliquidazione della pensione, posto che il loro dante causa aveva chiesto la condanna dell’INPS al pagamento delle differenze derivanti dal ricalcolo del trattamento pensionistico con decorrenza dalla data di riconoscimento della pensione;

con sentenza n. 699 del 2013, la Corte d’appello di Venezia ha accolto in parte l’impugnazione, condannando l’INPS a ricalcolare trattamento pensionistico con decorrenza dal 14 aprile 2009, data di presentazione della domanda amministrativa di riliquidazione della pensione fruita da C.F.;

la Corte territoriale ha rilevato che il motivo d’appello relativo al capo di domanda teso ad ottenere la condanna al pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi dalla scadenza dei singoli ratei fosse inammissibile in quanto non chiesto in primo grado; in ogni caso, tale ultimo profilo era infondato perchè comunque gli interessi sarebbero decorsi solo dal 121 giorno successivo alla presentazione della domanda di riliquidazione;

inoltre, la Corte territoriale ha accolto in parte l’appello incidentale proposto dall’Inps in ordine alla condanna alle spese, disponendo la compensazione per metà delle spese del giudizio di primo grado;

avverso tale sentenza ricorrono per cassazione C.M. e P.M., n. q. di eredi di C.F., sulla base di sei motivi illustrati da memoria: 1) Violazione e o falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c., posto che la sentenza impugnata avrebbe deciso in materia che non era stata devoluta in appello, giacchè la sentenza di primo grado, come dimostrerebbe la formula contrariis reictis, aveva pure respinto l’eccezione di prescrizione decennale relativamente ai ratei maturati prima del 1999, che l’INPS aveva sollevato senza impugnazione sul punto, con la conseguenza del passaggio in giudicato del capo di sentenza di primo grado che aveva, seppure implicitamente, accolto la domanda con decorrenza dalla data di maturazione del diritto a pensione; 2) vizio di ultrapetizione con violazione degli artt. 416 e 436 c.p.c. perchè la Corte d’appello non avrebbe potuto pronunciare ultra petita oltrepassando i termini della domanda fissati nelle conclusioni delle parti; 3) (indicato come 5) violazione e o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. nella parte in cui era stata dichiarata inammissibile la domanda relativa al pagamento degli interessi sugli arretrati, in quanto non proposta in primo grado, alla luce del testo del ricorso di primo grado; 4 (indicato 6) violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. laddove le spese del giudizio di primo grado, in ragione dell’appello incidentale proposto dall’Inps, erano state compensate integralmente e quelle d’appello nella misura del 50%, secondo una logica argomentativa non ritenuta idonea dalla giurisprudenza di legittimità;

resiste l’INPS con controricorso;

Diritto

CONSIDERATO

che:

i primi due motivi, da trattarsi unitariamente stante la connessione, sono infondati;

va, innanzi tutto, ricordato che gli stessi ricorrenti, riportando testualmente in ricorso il contenuto delle conclusioni rassegnate in primo grado, hanno riferito che il proprio dante causa aveva chiesto “accertarsi e dichiararsi che il signor C.F. è stato esposto ad amianto in misura superiore alle 100 fibre per litro per 8 ore al giorno dal 06.05.77 al 30.09.91, e, per l’effetto condannarsi l’Inps ad effettuare la riliquidazione della sua pensione con il computo dell’anzianità dell’esposizione all’amianto tra il 6.5.77 e il 30.09.91, con interessi sugli arretrati a far data dal 120 giorno dalla domanda amministrativa. Vittoria di spese”;

inoltre, rilevano i ricorrenti, l’Inps nel costituirsi aveva eccepito, in subordine rispetto alla richiesta principale di rigetto della domanda, dichiararsi la prescrizione decennale dei ratei antecedenti la domanda amministrativa di ricostituzione della pensione dell’aprile 2009;

è evidente, dunque, che le conclusioni delle parti – che segnano l’oggetto del giudizio di primo grado – definivano l’ambito del giudizio medesimo con riferimento alla domanda di accertamento del diritto al beneficio contributivo ed alla consequenziale domanda di riliquidazione della pensione, con interessi sugli arretrati decorrenti dal 120 giorno successivo alla presentazione della domanda amministrativa, se non prescritti i ratei precedenti il decennio da tale domanda;

a fronte di tale ambito oggettivo del petitum, la sentenza di primo grado ha omesso, come riconosciuto dagli odierni ricorrenti e come è reso evidente dal dispositivo riportato in ricorso, la pronuncia relativamente alla domanda di riliquidazione della pensione ed al pagamento degli arretrati, anche se, come precisano i ricorrenti, in motivazione, il primo giudice aveva dato atto che la domanda all’Inail era stata presentata in data 28.11.2002 e da qui l’applicabilità della cd. vecchia normativa;

da quanto sin qui rappresentato, emerge con chiarezza che il primo giudice non ha certamente pronunciato in modo esplicito in ordine alla domanda di riliquidazione in sè considerata, ivi compresa la sua eventuale decorrenza; neppure può sostenersi, come richiesto dal ricorrente, che la pronuncia di primo grado avesse implicitamente accertato il diritto alle differenze sul trattamento pensionistico sin dalla data di insorgenza del diritto alla pensione in ragione del fatto che era stata, con formula generica contenente il rigetto di tutte le altre istanze, rigettata anche l’eccezione di prescrizione sollevata dall’INPS;

infatti, (Cass. n. 16824 del 2013; Cass. n. 22416 del 2011; Cass. n. 5581 del 2012) il giudicato implicito richiede, per la sua formazione, che tra la questione decisa in modo espresso e quella che si vuole essere stata risolta implicitamente sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, tale da determinare l’assoluta inutilità di una decisione sulla seconda questione, e che la questione decisa in modo espresso non sia stata impugnata, sicchè tale rapporto non può esservi nel caso di specie ove la sentenza di primo grado si è solo occupata di accertare l’effettiva esposizione ultradecennale qualificata all’amianto senza in alcun modo esaminare i profili relativi alla definizione temporale dell’applicazione di tali benefici alla posizione contributiva e pensionistica del ricorrente;

allo stesso modo, nessuna implicita pronuncia sulla decorrenza del diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico può trarsi dall’affermazione, contenuta nella sentenza di primo grado, che la presentazione della domanda all’Inali in data 28.11.2002 avesse determinato l’applicabilità della cd. vecchia normativa;

nè, infine, conduce all’esito auspicato dai ricorrenti il mero utilizzo in dispositivo di una clausola di stile quale “contrariis reiectis” che è talmente generica da non consentire in alcun modo di dedurne la possibile violazione del principio devolutivo e del divieto di ultra petizione da parte del giudice d’appello;

è, poi, inammissibile il terzo motivo di ricorso che censura il capo della sentenza impugnata relativo all’individuazione del “dies a quo” della decorrenza del diritto alla riliquidazione della pensione;

va, infatti, osservato che tale motivo critica la sentenza laddove la stessa ha dichiarato inammissibile la domanda di interessi sugli arretrati in quanto proposta solo in fase di gravame, ma dimentica che la sentenza ha, a torto o a ragione, non solo dichiarato inammissibile perchè nuova la detta domanda (punto 12 della sentenza impugnata), ma anche rigettato la stessa perchè infondata (punto 13);

in presenza, dunque, di una duplice ratio decidendi i ricorrenti avrebbero dovuto impugnare in cassazione entrambe le autonome ragioni poste a base del diniego espresso dalla Corte territoriale, passando, in difetto, in giudicato la ratio non impugnata (Cass. n. 10815 del 2019; Cass. n. 21490 del 2005);

è, infine, inammissibile il quarto motivo che, lamentando la compensazione totale delle spese di primo grado e la compensazione parziale delle spese del giudizio d’appello, non si confronta con il reale contenuto della sentenza impugnata che ha deciso all’inverso di quanto prospettato dai ricorrenti;

questa Corte di cassazione, infatti, ha avuto modo di precisare che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata. (Cass. n. 15952 del 2007; Cass. n. 2312 del 2003; Cass. n. 3741 del 2004Cass. n. 2270 del 2006; Cass. n. 13259 del 2006);

in definitiva, il ricorso va rigettato;

le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., ove previsto.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2020

 

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