Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19237 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. II, 17/07/2019, (ud. 06/02/2019, dep. 17/07/2019), n.19237

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12453-2015 proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5,

presso lo studio dell’avvocato LAURA TRICERRI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GABRIO ABEATICI;

– ricorrente –

contro

K.Z.I., K.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 4, presso lo studio dell’avvocato

FABRIZIO IMBARDELLI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CARLO PRIMOSIG;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 81/2015 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 11/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/02/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Paolo MILICCIO, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato Laura TRICERRI, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato IMBARDELLI Fabrizio, difensore dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.V. chiamava in giudizio davanti al Tribunale di Gorizia K.D., al fine di fare dichiarare l’inesistenza del diritto di proprietà su un immobile in (OMISSIS), già di proprietà di N.R., che la convenuta aveva rivendicato in base a testamento olografo della proprietaria dell’1 luglio 2003.

L’attore si affermava proprietario dell’immobile in forza di testamento posteriore della stessa de cuius del 10 marzo 2004.

La convenuta, costituendosi, negava la autenticità di tale testamento posteriore, deducendone inoltre l’annullabilità per incapacità della testatrice.

Il tribunale disponeva l’annullamento del testamento, fatto valere dall’attore, del 10 marzo 2004, tuttavia accogliendo ugualmente la domanda del medesimo, sulla base di altro testamento olografo dell’1 gennaio 2004, prodotto nel corso della istruzione.

Contro la sentenza K.D. proponeva appello, che era poi proseguito dagli eredi di lei K.Z.I. e K.G..

La Corte d’appello di Trieste accoglieva il gravame, rilevando che il testamento dell’1 gennaio 2004 era stato prodotto tardivamente, solo all’udienza del 21 giugno 2010, sebbene il termine per le deduzioni istruttorie, stabilito al 30 novembre 2006, fosse ampiamente decorso.

La corte rilevava che, ai fini della tempestività della produzione, non contava la circostanza che il testamento fu prodotto nella prima udienza successiva alla sua pubblicazione, avvenuta il 23 marzo 2010. Infatti, aggiungeva la corte, la scheda fu presentata al notaio dal M., il che comprovava che il medesimo ne aveva il possesso in epoca precedente: conseguentemente egli avrebbe dovuto, tramite istanza di rimessione in termini, chiedere di essere ammesso alla produzione, allegando e rendendo verosimile, con adeguata attività assertiva, di esserne venuto in possesso dopo l’udienza immediatamente precedente a quella della produzione.

Su tale istanza di rimessione in termini il giudice avrebbe dovuto provvedere ai sensi dell’art. 294 c.p.c., commi 2 e 3.

Non essendo ciò avvenuto il tribunale non avrebbe potuto tenere conto della produzione.

Per la cassazione della sentenza M.V. ha proposto ricorso, affidato a sei motivi.

K.Z.I. e K.G. hanno resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 348 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Il ricorrente censura la sentenza per omissione di pronuncia sulla richiesta, formulata all’atto della costituzione nel giudizio d’appello, di dichiararsi l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c (mancanza di una ragionevole probabilità di accoglimento) e, in ogni caso, perchè l’impugnazione era priva dei requisiti prescritti dall’art. 342 c.p.c.

Il motivo è infondato.

L’atto di appello è stato notificato il 10 settembre 2012. La norma dell’art. 348-bis, entrata in vigore il giorno successivo, non è quindi applicabile ratione temporis (in disparte il rilievo che la censura non è compatibile in relazione a un appello accolto).

Occorre poi considerare che il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale (quale sicuramente l’eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi) non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, “il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte” (Cass. n. 321/2016; conf. n. 22860/2004).

Nei limiti in cui si possa ritenere dedotta anche una censura sulla decisione implicita, il motivo non soddisfa il requisito di specificità imposto a colui che intenda proporre in cassazione una simile censura.

Costituisce principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso (Cass. n. 19410/2015).

In base a tale principio il ricorrente avrebbe avuto l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea la statuizione implicita del giudice d’appello sull’ammissibilità dell’atto di impugnazione, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la denunciata carenza di specificità (cfr. Cass. n. 22880/2017; n. 20405/2006).

Al contrario il ricorso propone la censura in astratto, senza curarsi di operare la necessaria correlazione con il contenuto dell’atto di impugnazione avversario che si pretende inammissibile.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 345,183 e 189 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La appellante solo in sede di impugnazione aveva eccepito l’inammissibilità della produzione del testamento del 1 gennaio 2004, in quanto tardivamente operata in assenza di istanza di rimessione in termini.

Secondo il ricorrente la produzione del testamento è stata accompagnata da istanza ex art. 184-bis c.p.c., implicitamente formulata contestualmente alla produzione documentale.

Egli ammette che, rispetto a tale produzione, c’era stata opposizione di controparte, tuttavia sottolinea che la opposizione non è stata reiterata in sede di precisazione delle conclusioni, nonostante il giudice di primo grado avesse ritenuto, in modo altrettanto implicito, ammissibile la produzione, come risultava dal fatto che non fu ordinato l’espunzione del documento dal fascicolo.

Conseguentemente l’eccezione di tardività non era più proponibile in grado d’appello dalla parte che vi aveva rinunciato, nè l’inammissibilità della produzione era rilevabile d’ufficio.

2.1. Il motivo è infondato.

Il comma 2 della norma richiama espressamente l’art. 294 c.p.c., commi 2 e 3, in tema di rimessione in termini a favore del contumace.

In particolare, i commi richiamati riguardano i presupposti della rimessione (verosimiglianza dei fatti allegati) ed il provvedimento di rimessione, da adottarsi con ordinanza.

Chi intende ottenere il beneficio della rimessione in termini deve proporre una specifica richiesta in tal senso. Si osserva che, sebbene la forma del ricorso sembrerebbe essere la più logica, in assenza d’ una disposizione legislativa in tal senso non può escludersi che le parti, in applicazione dell’art. 121 c.p.c., possano proporre l’atto nella forma più idonea al raggiungimento del suo scopo.

Seppure non possa a priori negarsi la possibilità che l’istanza di rimessione in termini possa essere proposta implicitamente, tramite la produzione del documento (cfr. Cass. n. 25631/2018), deve invece certamente escludersi che, laddove il giudice non abbia assunto alcuna determinazione sulla produzione, sia configurabile una decisione positiva in considerazione del fatto che egli non abbia ordinato la espunzione del documento, una volta constatane la produzione.

La decisione positiva implicita sarebbe ravvisabile solo in presenza di una statuizione positiva da cui risulti che il giudice che tenuto conto del documento.

Nel caso di in esame ciò è avvenuto solo con la sentenza che ha definito il giudizio in primo grado, il che rende tempestiva la eccezione di inammissibilità fatta valere con apposito motivo di impugnazione.

Conclusivamente, in assenza di qualsiasi statuizione, esplicita o implicita sulla ammissibilità della produzione, non era configurabile un onere della parte di riproporre la questione ai sensi dell’art. 178 c.c., comma 1, tramite apposita istanza di revoca dell’ordinanza, in assenza, appunto, di un provvedimento da revocare. Nè può sostenersi che la parte aveva comunque l’onere di reiterare la contestazione sull’ammissibilità della produzione in sede di precisazione delle conclusioni. Tale onere infatti è sostenibile in relazione alle istanze istruttorie non ammesse o non considerate (Cass. n. 27415/2018) o comunque in tema di nullità relative (Cass. n. 21670/2913), mentre la materia delle preclusioni è sottratta alla disponibilità delle parti.

Ragionare diversamente significherebbe riconoscere in materia di preclusioni istruttorie, la rilevanza del principio di non contestazione, il che è contrario all’orientamento di questa Suprema Corte: “Nei procedimenti instaurati dopo il 30 aprile 1995, regolati dalle nuove disposizioni introdotte dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, non trova più applicazione il principio secondo cui l’inosservanza delle disposizioni che delimitano il momento in cui è possibile produrre in giudizio documenti deve ritenersi sanata qualora la controparte non abbia sollevato la relativa eccezione in sede di discussione della causa dinanzi al collegio. Difatti il novellato art. 184 c.p.c. non solo prevede l’eventuale assegnazione alle parti di un termine entro cui dedurre prove e produrre documenti, ma espressamente stabilisce il carattere perentorio di detto termine, il che vale a sottrarre siffatto termine alla disponibilità delle parti (stante il disposto dell’art. 153 c.p.c.), come del resto implicitamente confermato anche dal successivo art. 184-bis, che contempla la possibilità di rimessione in termini, ma solo ad istanza della parte interessata ed a condizione che questa dimostri di essere incorsa nella decadenza per una causa ad essa non imputabile” (Cass., S.U., n. 5539/2004; conf. n. 24422/2009).

3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 184-bis c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Rinvenuto il secondo testamento, il ricorrente lo ha affidato al notaio per la pubblicazione, rispetto alla quale la produzione è stata operata tempestivamente.

Il giudice di primo grado, alla luce della istanza di rimessione in termini debitamente formulata, ha ritenuto ammissibile la produzione, tenuto conto altresì che, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, le prime specifiche contestazioni di parte sono state operate non tempestivamente, ma nella udienza successiva alla produzione. Si ribadisce ancora una volta che le contestazioni non furono reiterate in sede di precisazioni delle conclusioni.

Secondo il ricorrente l’istituto della rimessione in termini va considerato alla luce dei principi costituzionali di effettività del contraddittorio e del principio generale di economia processuale.

3.1. Il motivo, che in parte ripropone tesi già esaminate e disattese nell’esame del motivo precedente, è infondato.

La rimessione in termini, tanto nella versione prevista dall’art. 184-bis c.p.c. che in quella di più ampia portata contenuta nell’art. 153 c.p.c., comma 2, come novellato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perchè cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà (Cass. n. 21794/2015; Cass. n. 19836/2011).

Costituisce infatti principio acquisito nella giurisprudenza di questa Suprema Corte quello secondo cui “la rimessione in termini prevista dall’art. 153 c.p.c., comma 2, (ovvero, in precedenza, dall’art. 184 bis cit. codice) deve essere domandata dalla parte interessata senza ritardo e non appena essa abbia acquisito la consapevolezza di avere violato il termine stabilito dalla legge o dal giudice per il compimento dell’atto” (Cass. n. 4841/2012; conf. Cass. n. 23561/2011)”.

Il ricorrente deduce che la produzione fu tempestiva in rapporto alla pubblicazione del testamento, ma in questo senso la censura non coglie la ratio decidendi.

La corte, in base al rilievo che il testamento fu presentato per la pubblicazione dall’interessato, ha affermato che da ciò si evinceva che egli ne aveva già il possesso. Di qui l’esigenza, secondo la corte, di una argomentata istanza di rimessione in termini giustificata con il rilievo che il possesso del documento era stato acquisito nell’intervallo fra l’udienza in cui è avvenuta la produzione e quella immediatamente precedente.

Tale ratio decidendi, conseguente a un apprezzamento in fatto del giudice di merito, in quanto corretto sotto il profilo giuridico, non è censurabile in questa sede e, a un attento esame, non è stata neanche censurata.

In quanto alla mancata reiterazione delle contestazioni sull’ammissibilità della produzione, trattasi di rilievo già esaminato e disattesa nell’esame del motivo precedente.

4. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 215 e 216 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La contestazione della autenticità del documento non è stata operata tempestivamente, nella stessa udienza del 21 giugno 2010 in cui è avvenuta la produzione, ma solo nella udienza successiva del 26 ottobre 2010.

In ogni caso il ricorrente aveva avanzato tempestiva istanza di verificazione.

Il motivo è assorbito in considerazione del rigetto del secondo e del terzo motivo.

La corte d’appello ha ritenuto inammissibile la produzione, mentre è ovvio che un problema di tempestività della contestazione sulla autenticità della scheda si sarebbe posta solo qualora la produzione fosse stata ammessa.

5. Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La corte d’appello, in assenza di domanda, aveva fatto derivare dalla inammissibilità della produzione documentale conseguenze di carattere sostanziale, operate tramite il riconoscimento che l’appellante era divenuta proprietaria esclusiva dell’immobile in forza del testamento olografo dell’1 luglio 2003.

Il motivo è infondato.

La appellante, in aggiunta alla richiesta volta a fare accertare la tardività della produzione documentale del testamento posteriore, aveva chiesto accertarsi che ella era proprietaria dell’immobile in contesa in forza del testamento olografo dell’1 luglio 2003, previa conferma del capo di sentenza di primo grado che aveva disposto l’annullamento del testamento del 10 marzo 2004.

In questi termini l’appellante aveva chiaramente individuato, sotto forma di petitum processuale, le conseguenze che derivavano sul piano successorio dalla irrilevanza della produzione documentale.

Essa aveva accampato diritti ereditari in forza del testamento dell’1 luglio 2003, rispetto al quale la controparte aveva fatto valere due testamenti posteriori incompatibili, rimanendo soccombente su uno dei due e vittorioso sull’altro.

L’appellante, ferma la soccombenza di controparte sul testamento del 10 marzo 2004, ha fatto valere in appello la irrilevanza dell’altro testamento.

La corte d’appello, accolta l’impugnazione su questo punto, ha accolto la domanda volta a fare accertare la perdurante efficacia del testamento anteriore, il cui accoglimento costituiva il fine per il quale era stata interposto appello contro la sentenza del primo giudice.

6. Il sesto motivo denuncia omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si rimprovera alla corte di merito la omessa valutazione degli aspetti sostanziali della vicenda, che deponevano nel senso non solo dell’autenticità del testamento posteriore del 10 marzo 2004, ma anche della sua validità sotto il profilo della capacità della testatrice al tempo della sua redazione.

Con il testamento posteriore la defunta aveva inteso ribadire la volontà già espressa con il testamento dell’1 gennaio 2004, sulla cui validità nulla era stato eccepito e provato.

Il motivo è inammissibile.

Il tribunale aveva disposto l’annullamento del testamento del 10 marzo 2004, originariamente fatto valere dal convenuto in opposizione al testamento anteriore, accogliendo ugualmente la domanda del medesimo convenuto in forza dell’ulteriore testamento, pur sempre posteriore a quello in favore della K., dell’1 gennaio 2004.

Il convenuto, pur vittorioso in forza del testamento dell’1 gennaio 2004, avrebbe quindi dovuto proporre appello incidentale sulla pronuncia di annullamento del testamento del 10 marzo 2004, originariamente prodotto, che lo poneva in una posizione di oggettiva soccombenza.

“In tema di impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345 c.p.c., comma 2, (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2), nè sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l’eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest’ultimo l’esercizio ex art. 345 c.p.c., comma 2” (Cass., S.U., n. 11799/2017).

In quanto alle considerazioni, proposte con il motivo in esame, circa validità e autenticità dell’ulteriore testamento dell’1 gennaio 2004, esse sono superata dalla ritenuta inammissibilità della produzione.

7. In conclusione il ricorso va rigettato.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettaria nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge;

dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile, il 6 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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