Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19235 del 02/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 02/08/2017, (ud. 10/07/2017, dep.02/08/2017),  n. 19235

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1594/2011 R.G. proposto da:

P.B.M., rappresentata e difesa dall’Avv. Nazzareno

Ciarrocchi, con domicilio eletto presso l’Avv. Alberto Marsili

Feliciangeli, in Roma, via Boezio n. 14, giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle

Marche n. 174/4/09, depositata il 18.11.2009;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 luglio

2017 dal Consigliere Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– La parte ricorrente propone ricorso per cassazione, affidando la sua impugnativa a tre motivi di doglianza. La contribuente aveva acquistato un appartamento con rogito notarile del 16.9.2003, invocando i benefici fiscali previsti per l’acquisto della prima casa di cui alla tabella A, parte 2, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972 e dichiarando all’uopo di volere stabilire la propria residenza nel (OMISSIS) entro 18 mesi a decorrere dal 16.9.2003 e comunque di esercitare la propria attività lavorativa nel medesimo comune. L’Agenzia delle entrate di San Benedetto – ritenendo, in seguito ad indagini, che la contribuente non avesse spostato la residenza nel predetto comune nè che avesse lì intrapreso la propria attività lavorativa – aveva notificato avviso di liquidazione con cui si provvedeva a liquidare l’Iva per il predetto acquisto al 10%, recuperando pertanto la differenza di imposta.

La contribuente impugnava l’atto di liquidazione presso la C.T.P. di Ascoli Piceno e quest’ultima accordava ragione alla ricorrente rilevando che in merito all’altra condizione prevista dal D.P.R. n. 131 del 1986, e cioè di esercitare la propria attività lavorativa nel comune di nuova residenza, l’Ufficio finanziario non aveva rilevato nulla nell’avviso di liquidazione. Avverso la predetta decisione interponeva appello l’Agenzia delle entrate e la C.T.R. accoglieva il ricorso presentato dall’appellante.

– con il primo motivo la contribuente deduce violazione e falsa applicazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 2, del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2 bis, e della L. n. 241 del 1990, art. 3 e della L. n. 212 del 2000, art. 7. Deduce la ricorrente che in realtà l’Ufficio finanziario aveva motivato il suo provvedimento di liquidazione dell’Iva solo sulla base dell’accertamento del mancato trasferimento di residenza, di talchè l’altro requisito, e cioè il mancato trasferimento della sede lavorativa, doveva essere considerato come estraneo al thema decidendum del giudizio.

– con il secondo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. in riferimento al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52,comma 2 bis, alla L. n. 241 del 1990, art. 3 e alla L. n. 212 del 2000, art. 7. Evidenzia come erronea giuridicamente l’affermazione secondo cui era onere del contribuente provare la fondatezza della richiesta del beneficio fiscale, dovendo al contrario l’amministrazione finanziaria assolvere all’onere di provare la maggiore e diversa pretesa fiscale ove il contribuente contesti l’accertamento che è posto alla base della nuova richiesta tributaria.

– con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della legge, in relazione al D.L. n. 12 del 1985, art. 2, agli artt. 2727,2728 e 2729 c.c. ovvero omessa ed insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Si osserva la erronea applicazione del principio fissato dall’art. 2727 c.c. in tema di presunzioni semplici, giacchè la C.T.R. impugnata aveva fatto discendere da una presunzione altro elemento di valutazione anch’esso presuntivo, con violazione dunque del divieto “presumputum de praesumpto”. In realtà, osserva sempre la difesa dal mancato accoglimento del ricorso avverso l’accertamento amministrativo del trasferimento della residenza e dalla circostanza della mancata ulteriore attività impugnativa, il giudice ricorso aveva dedotto la prova – invece non raggiunta – del definitivo rifiuto del trasferimento. Si osserva ancora la erroneità della motivazione anche nella parte in cui si fa discendere la mancata prova del trasferimento dell’attività lavorativa del contribuente da una circostanza meramente quantitativa, e cioè dal numero limitato delle fatture emesse dal contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– Il ricorso è infondato.

– Già il primo motivo di doglianza è infondato.

Ed invero – anche al di là del pur assorbente profilo secondo cui la doglianza in esame, essendo stata articolata come un allargamento del thema decidendum (come tale inammissibile), avrebbe dovuto essere declinata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e non già ai sensi del n. 3 medesimo articolo – è tuttavia dirimente la circostanza che in realtà il petitum originario riguardava l’agevolazione fiscale nel suo complesso e dunque alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c.sarebbe comunque rintracciabile nel caso di specie;

– Il terzo motivo di doglianza è anch’esso infondato.

Peraltro, lo stesso è assorbente, in parte, della doglianza sollevata con il secondo motivo di censura, e ciò in relazione al denunziato vizio argomentativo;

– il motivo di censura relativo alla mancata dimostrazione del trasferimento della residenza entro i 18 mesi dall’acquisto è in realtà infondato: deve invero precisarsi che era onere del contribuente dimostrare l’intervenuto trasferimento della residenza (essendo insufficiente la dimostrazione della presentazione della domanda di trasferimento che la stessa parte ricorrente ammette essere stata respinta dal Comune con provvedimento impugnato innanzi al prefetto). Orbene, l’eventuale diniego del reclamo prefettizio doveva essere impugnato anche con la procedura del silenzio-rifiuto nei termini di legge e la parte ricorrente nulla ha provato in proposito e dunque la sentenza deve ritenersi condivisibile sul punto qui da ultimo in esame e comunque scevra dai lamentati vizi argomentativi;

– peraltro, l’ulteriore doglianza in ordine alla mancata valutazione dello svolgimento del lavoro nel comune di dichiarata residenza è invero allegata in modo contraddittorio e perplesso rispetto alle stesse allegazioni di parte ricorrente, atteso che quest’ultima ritiene che l’argomento (su cui vi è, peraltro, condivisibile motivazione) non sia rientrante comunque nel thema decidendum che sarebbe stato dunque indebitamente allargato dal giudice del gravame;

– come sopra accennato, il rigetto del terzo motivo assorbe l’esame del vizio argomentativo articolato nel secondo motivo di censura e comunque anche la denunziata violazione del principio della ripartizione dell’onere della prova (denunzia contenuta sempre nel secondo motivo) è giuridicamente infondata, atteso che era onere del contribuente dimostrare la sussistenza dei presupposti applicativi della reclamata agevolazione fiscale;

– le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.300, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 10 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2017

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