Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19233 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. II, 17/07/2019, (ud. 14/01/2019, dep. 17/07/2019), n.19233

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13949-2015 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DI VILLA

PAMPHILI 33, presso lo studio dell’avvocato LUIGI DE SANTIS,

rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO CORVINO;

– ricorrente –

contro

CO.SI., rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLA BELSITO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 66/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 20/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/01/2019 dal Consigliere GIUSEPPE TEDESCO.

Fatto

RITENUTO

che:

– Co.Si. chiamava in giudizio davanti al Tribunale di Salerno il coniuge separato C.C., al fine di fare accertare i diritti patrimoniali maturati durante il periodo di comunione legale fra coniugi dal 1980 al 1992;

– in particolare il 50% delle quote della Maxi sconto s.r.l. appartenenti al marito; il pagamento degli utili aziendali maturati sulle medesime quote; il 50% delle 600 azioni della C.G. S.p.A., appartenenti a C.C., e il contestuale riconoscimento degli utili sulle medesime; il 50% dei proventi e degli utili conseguiti dal coniuge quale frutto della sua attività imprenditoriale e non consumati in costanza di matrimonio a titolo di comunione de residuo;

– il tribunale accoglieva in parte la domanda, riconoscendo la Co. contitolare per la metà delle quote della società Maxi Sconto s.r.l.;

-condannava, pertanto, C.C. al pagamento della somma di Euro 58.320,10, pari alla metà degli utili conseguiti dalla Maxi sconto fino al 15 gennaio 1992;

-dichiarava inoltre il diritto di Co.Si. di conseguire gli ulteriori utili conseguiti dal 15 gennaio 1992 fino ad oggi come risultanti dai bilanci della società;

– rigettava la domanda in ordine alla contitolarità delle azioni della S.p.A. C.G. & C.;

– dichiarava, infine, il diritto di Co.Si., in base alla comunione de residuo, su tutti i proventi dell’attività imprenditoriale del coniuge, con esclusione di quelli conseguiti dalla Maxi Sconto s.r.l., in quanto su questi, a seguito del riconoscimento della contitolarità, l’attrice vantava un diritto di comunione diretta;

– per l’effetto condannava C.C. al pagamento della somma di Euro 921.232,58 pari alla metà di quanto risultante oggetto di comunione de residuo su quanto sopra indicato;

– la Corte d’appello di Salerno confermava la sentenza;

– quanto alle quote della Maxi Sconto, acquistate da uno dei coniugi in costanza del regime legale, la corte negava che fosse stata data la prova che i mezzi per l’acquisto di quelle stesse quote furono forniti dal padre del coniuge acquirente, facendo conseguire da tale rilievo l’infondatezza della pretesa di costui di considerare le stesse quote bene personale acquistato per effetto di donazione;

-tali quote, pertanto, dovevano ritenersi oggetto di comunione immediata fra i coniugi;

– la corte rigettava poi il motivo d’appello con il quale il C. aveva sostenuto che il tribunale, nel riconoscere il diritto agli utili sulle quote della Maxi Sconto per il periodo successivo al 15 gennaio 1992, avesse statuito ultra petita;

– essa osservava in proposito che la domanda dell’attrice, valutata complessivamente in tutte le sue articolazioni, era diretta a conseguire gli utili connessi a tutte le attività del C., inclusi gli utili relativi alle predette quote, oggetto di titolarità comune;

– aggiungeva ancora che correttamente il tribunale aveva compreso nel conteggio di quanto dovuto dal C. a titolo di comunione de residuo alcuni rapporti bancari intestati solo all’attrice;

– secondo la corte, infatti, tali rapporti, di là dalla intestazione, facevano capo al C., che ne aveva avuto la gestione;

-la corte confermava inoltre la decisione del tribunale anche nella parte in cui questo aveva compreso nell’attivo oggetto di comunione de residuo tre assegni del complessivo importo di lire 2.750.000.000, emessi dal C. nell’imminenza dello scioglimento della comunione;

– aggiungeva che la produzione effettuata in proposito dall’appellante (sentenza penale di condanna da cui si desumeva che il C., in relazione a tali titoli, era stato vittima di truffa) non era ammissibile, in quanto relativa a vicenda estranea al giudizio di primo grado e introdotta solo in grado d’appello;

– aggiungeva ancora, sempre in relazione a tali assegni, che non vi era comunque prova che le somme furono consumate per acquisti ricadenti in comunione o comunque per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia;

– esse pertanto rimanevano comunque comprese nella comunione de residuo ex art. 177 c.c., lett. c);

– per la cassazione della sentenza C.C. ha proposto ricorso affidato a due motivi, cui la Co. ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

-il primo motivo di ricorso propone, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 due censure:

– a) le quote della Maxi Sconto s.r.l. non dovevano essere comprese nella comunione immediata, in quanto oggetto di donazione indiretta fatta dal padre dell’acquirente, che aveva fornito al figlio i mezzi per l’acquisto;

– a).1-in considerazione del collegamento esistente fra elargizione e acquisto, la corte avrebbe dovuto applicare i principi di giurisprudenza sulle donazioni indirette e conseguentemente riconoscere le quote come bene personale, in quanto provenienti da donazione;

b) la corte di merito, nel riconoscere gli utili sulle stesse quote per il periodo successivo allo scioglimento della comunione legale, ha pronunciato ultra petita, posto che l’attrice aveva limitato la pretesa agli utili maturati fino al momento di scioglimento della comunione;

-il secondo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio;

– a) in primo luogo la sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la corte ha riconosciuto che i rapporti bancari intestati a Co.Si. coniuge fossero in effetti di pertinenza del ricorrente, che ne aveva avuto la gestione;

– al contrario le somme erano di effettiva titolarità del coniuge intestatario: quindi dovevano dedursi da quanto preteso dalla Co. a titolo di comunione de residuo;

– ciò risultava dal fatto che il C., già durante il rapporto di coniugio, versava al coniuge l’importo di lire 9.000.000 al mese;

– posto che una parte di tale importo mensile era destinata a esigenze personali della moglie, era verosimile che la Co., nonostante la mancata percezione di redditi (si precisa nella sentenza che, dopo il matrimonio, la Co. aveva lasciato il lavoro di insegnante per dedicarsi alla famiglia), potesse disporre ugualmente di cospicue somme;

-b) in secondo luogo la sentenza è censurata là dove la corte ha negato l’ammissibilità della produzione, operata in grado d’appello, della sentenza penale da cui risultava che il C., in relazione ai tre assegni emessi nell’imminenza dello scioglimento della comunione, fu vittima di reato di truffa e che, conseguentemente, i relativi importi non rientrarono nella disponibilità del ricorrente, dovendo quindi essere esclusi dalla comunione de residuo;

– la sentenza penale era stata emessa successivamente alla definizione del giudizio di primo grado e non era neanche vero che la relativa circostanza fu introdotta solo in appello;

– essa era stata menzionata a verbale in udienza e si doveva poi considerare che la sentenza penale era stata pronunciata dal medesimo giudice dinanzi al quale pendeva la causa civile intrapresa dalla Co.;

– il primo motivo è infondato;

– il ricorrente richiama i principi giurisprudenziali sulle liberalità realizzate mediante intestazioni di beni in nome altrui, assumendo che nella specie ricorrevano i presupposti che giustificavano l’applicazione di tali principi;

– la censura non coglie la ratio decidendi;

– la decisione non si pone minimamente in contrasto con il principio secondo cui i beni oggetto di donazione indiretta in favore di uno dei coniugi non sono compresi nella comunione legale (Cass. n. 14197/2013: n. 15778/2000: n. 4680/1998; n. 11327/1997);

– la corte ha ritenuto che, nel caso di specie, il coniuge. interessato a far valere l’esclusione, non avesse assolto il proprio onere di fornire la prova che i mezzi per l’acquisto furono messi a disposizioni dal genitore;

– in altre parole la corte non ha messo in discussione il principio, ma ha negato che ci fossero i presupposti di fatto che avrebbero potuto giustificarne l’applicazione nel caso concreto;

– questa Suprema Corte ha chiarito che l’applicazione di una norma a una fattispecie concreta ricostruita dal provvedimento impugnato in modo erroneo o carente non ridonda necessariamente in violazione di quella stessa norma, ma può anche costituire espressione di un giudizio di merito la cui censura, in sede di legittimità, è possibile, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi (violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnata in modo evidente dal fatto che solo quest’ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24155/2017; n. 8315/203: n. 15499/2004);

– a sua volta la valutazione delle risultanze di causa è censurabile in cassazione nei limiti attualmente stabiliti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti (Cass., S.U., n. 8053/2014);

– al contrario il ricorrente non denuncia un omesso esame di uno o più fatti, dirigendosi la censura, in termini generici e globali, contro la valutazione delle risultanze istruttorie, dei quali si propone una lettura alternativa rispetto a quella data dal giudice di merito: ciò in cassazione non è consentito, “atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 9086/2017; n. 29404/2917);

– la seconda censura dedotta con il motivo in esame è infondata;

– risulta dalla piana lettura della citazione per il giudizio di primo grado (il cui esame è consentito alla Corte in considerazione della natura, di error in procedendo, della denunciata violazione), che la Co., con riguardo alle quote della Maxi Sconto, aveva argomentato nel modo seguente: la Co. “rivendica e chiede la proprietà e il possesso della quota pari al 50% delle quote societarie della Maxi Sconto S.r.l. e delle azioni della C.G. S.p.A. innanzi descritte, nominalmente intestate a C.C. ed attualmente in suo possesso. Chiede il pagamento degli utili aziendali (nella percentuale di sua proprietà) distribuiti annualmente dalle due società e che le competono per gli anni dal 1992 (anno in cui si è optato per la separazione dei beni) in poi: utili incassati dal solo C.C. e mai corrisposti al comproprietario delle quote e delle azioni”;

– nel petitum della citazione, la Co., dopo l’istanza volta a fare accertare la ricaduta in comunione delle quote della Maxi Sconto, aveva chiesto che, “in riferimento a tale quota sociale”, C.C. fosse condannato al pagamento degli utili aziendali (…) così come distribuiti (e dallo stesso C.C. incassati) dal 1992 in poi (…)”;

– insomma l’interpretazione della domanda operata dalla corte di merito, nella parte in cui ha riconosciuto che essa aveva lo scopo di conseguire anche gli utili riferibili alle quote della Maxi Sconto, è coerente con il contenuto delle richieste;

-il ricorrente ritiene di poter trovare conferma dell’ultra petizione nel fatto che la domanda volta al conseguimento degli utili riferiti alla supposta contitolarità delle azioni della S.p.A. C.G. & C. era stata rigettata dal tribunale;

– il rilievo costituisce evidente petizione di principio;

– l’attrice aveva chiesto gli utili dal 1992 in poi riferiti ad ambedue le società;

-il fatto che per una di tali società la richiesta sia stata rigettata lasciava naturalmente impregiudicato il più ampio contenuto della domanda e la possibilità della diversa decisione rispetto all’altra società;

– la prima delle due censure mosse con il secondo motivo è inammissibile;

– con essa, infatti, con riferimento ai conti correnti intestati alla sola Co., si propone inammissibilmente una lettura alternativa degli elementi considerati dal giudice di merito;

– è stato già anticipato che “con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità” (Cass. n. 29404/2017);

– è ugualmente inammissibile la ulteriore censura di cui al motivo in esame (mancata ammissione del nuovo documento in grado d’appello);

-infatti la corte di merito, dopo avere ritenuto inammissibile la produzione, ha aggiunto un ulteriore e decisivo rilievo e cioè che, ad ogni modo, il coniuge non aveva dato prova che le somme oggetto degli assegni denaro erano state utilizzate per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia;

-in tale affermazione è inevitabile cogliere il riflesso della tesi secondo la quale entrerebbero nel residuo da dividere anche i redditi consumati per fini estranei alla famiglia, con la conseguenza che il coniuge dovrebbe dare la prova di avere consumato il reddito per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia o per investimenti già caduti in comunione (Cass. n. 9355/1997; n. 8865/1996; contra Cass. n. 5652/2017; n. 2597/2006);

-in base a tale posizione di principio, la prova che le somme portate dagli assegni non rientrarono nella disponibilità del coniuge che li aveva emessi (a ciò mirava la produzione del documento in grado d’appello) non sottraeva, di per sè, le stesse somme dalla comunione de residuo;

– l’affermazione della corte quindi fa emergere una ulteriore ratio decidendi, sufficiente da sola a giustificare la decisione negativa pper il ricorrente relativamente alle somme portate dai titoli;

-tale ratto non è stata impugnata dal ricorrente, conseguendone da ciò l’inammissibilità del motivo;

– il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione” (Cass., S.U., n. 7931/2013; n. 4293/2016: n. 18641/2017;

– il ricorso, pertanto, è rigettato, con addebito di spese.

– ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge;

dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 14 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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