Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19232 del 02/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 02/08/2017, (ud. 06/07/2017, dep.02/08/2017),  n. 19232

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23825-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.A.L., elettivamente domiciliato in ROMA VIA

CRESCENZIO 69, presso lo studio dell’avvocato EUGENIA MASTROSTEFANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato C.A.L.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 391/2012 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

LATINA, depositata il 19/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/07/2017 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. L’Agenzia delle entrate ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza della CTR del Lazio che, in controversia proposta dal contribuente C.A.L., di professione avvocato, contro l’avviso di accertamento per IRPEF ed altro emesso per l’anno di imposta 2003, a seguito del riscontro della omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, e fondato sulle risultanze delle movimentazioni dei conti correnti bancari D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, ha confermato la prima decisione che, in parziale accoglimento dell’impugnazione del contribuente, aveva rideterminato in misura più bassa i ricavi ai fini IVA ed il reddito ai fini IRPEF, e dichiarato non dovuta l’IRAP.

2. Il contribuente replica con controricorso.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 in relazione alle movimentazioni risultanti dai conti correnti bancari; nonchè degli artt. 2697,2727 e 2728 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3); l’Agenzia si duole che l’intero importo dei prelevamenti sia stato scomputato dall’accertamento, anche in assenza di una analitica prova sufficiente a superare la presunzione legale (fol. 12 del ric.).

1.2. In subordine, con il secondo motivo si denuncia la insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo, se la parte privata avesse o meno fornito in giudizio la prova idonea a superare la presunzione legale di cui al cit. art. 32. ed in relazione alla inapplicabilità dell’IRAP.

1.3. Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per avere la CTR riconosciuto a decremento dei redditi accertati una ulteriore quota di costi forfettari, nonostante la parte non avesse mai chiesto di rivalutare la quota dei costi deducibili in misura diversa da quella del 20%, accertata dall’Ufficio.

2.1. Il primo motivo è infondato a va respinto alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 288 del 2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, limitatamente alle parole “o compensi”, ed ha ridefinito il perimetro applicativo della norma relativa ai prelevamenti, a seconda che riguardi un imprenditore ovvero, come nel presente caso, un professionista autonomo.

2.2. La Corte Costituzionale ha così statuito “E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 402, lett. a), n. 1), limitatamente alle parole “o compensi”. La norma – oltre a disporre che i dati ed elementi trasmessi su richiesta, rilevati direttamente ovvero nei controlli relativi alle imposte sulla produzione o consumo, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dal medesimo D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38,39,40 e 41, salvo che il contribuente dimostri che ne ha tenuto conto nella determinazione dei redditi o che essi non hanno rilevanza a tal fine – prevede che i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito delle predette operazioni sono posti come ricavi o compensi a base delle rettifiche e degli accertamenti (e sono quindi assoggettabili a tassazione), se il contribuente non ne indica i soggetti beneficiari e semprechè non risultino dalle scritture contabili. L’ambito operativo di tale presunzione, originariamente limitato unicamente agli imprenditori, è stato poi esteso ai lavoratori autonomi dalla L. n. 311 del 2004, art. 1 (inserendo anche i “compensi”). Proprio tale ultima estensione è lesiva del principio di ragionevolezza nonchè della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito. Infatti la figura del lavoratore autonomo, pur essendo per molti versi affine a quella dell’imprenditore sia nel diritto interno sia nel diritto comunitario, presenta specificità tali da far ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento. In particolare, l’attività svolta dai lavoratori autonomi si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo, che è quasi del tutto assente nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali. Inoltre, la non ragionevolezza della presunzione è avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti vengono ad inserirsi in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria. Infine, la norma non può trovare giustificazione nell’esigenza di combattere l’evasione fiscale rilevante nel settore in quanto essa trova una risposta nella recente produzione normativa sulla tracciabilità dei movimenti finanziari che oltre ad essere uno strumento di lotta al riciclaggio di capitali di provenienza illecita, persegue il dichiarato fine di contrastare l’evasione o l’elusione fiscale attraverso la limitazione dei pagamenti effettuati in contanti che si possono prestare ad operazioni “in nero”.”.

2.3. Ne consegue che deve darsi applicazione al principio secondo il quale in tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 con riferimento ai soli versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o dal lavoratore autonomo, sicchè questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, mentre è venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale relativamente ai prelevamenti sui conti correnti (Cass. nn. 16697/2016, 19029/2016, 10251/2017).

2.4. Nel caso in esame, come si evince dal ricorso, la CTR espunse integralmente i prelevamenti dalla ricostruzione reddituale, e ciò risulta in linea con i principi prima ricordati.

3.1. L’esame del secondo motivo è assorbito dal rigetto del primo, per quanto attiene alla questione dei prelevamenti.

E’ infondato per quanto riguarda l’IRAP.

3.2. In tema di IRAP l’Amministrazione deve provare l’esistenza di un reddito imponibile e la qualità di debitore del contribuente e quest’ultimo ha l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di eventuali esenzioni d’imposta o di componenti negativi del reddito (Cfr. anche Cass. nn. 16461/2013, n.16115/2007, 4218/2006); al giudice del merito compete di valutare le prove: ciò, nel caso di specie, è correttamente avvenuto.

3.3. Invero la Agenzia sembra sollecitare una decisione a sè favorevole, mentre la denuncia circa la mancata produzione di documenti non sembra sia stata svolta con i motivi di appello avverso la prima sentenza e difetta sul piano dell’autosufficienza.

4.1. Il terzo motivo è inammissibile.

4.2. La ricorrente sostiene che il giudice si sarebbe pronunciato su una questione, la percentuale di costi detraibili in via forfettaria, che non era stata oggetto di domanda da parte del contribuente.

In realtà nella sentenza non si ravvisa alcuna esplicita pronuncia e dalla lettura del ricorso risulta che la questione venne posta con i motivi di appello dall’Agenzia, che contestava la statuizione della CTP (fol. 3 del ricorso); ne consegue che la doglianza avrebbe dovuto essere proposta come omessa pronuncia sui motivi di appello e non già come ultrapetizione.

5.1. In conclusione il ricorso va rigettato, infondati i motivi primo e secondo ed inammissibile il terzo; le spese del giudizio di legittimità si compensano, alla luce della recente pronuncia della Corte Costituzionale, successiva alla proposizione del ricorso per cassazione.

PQM

 

– Rigetta il ricorso, infondati i motivi primo e secondo ed inammissibile il terzo;

– Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2017

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