Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1923 del 29/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 1923 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: CURZIO PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 13775-2011 proposto da:
DI VAIO PASQUALE C.F. DVIPQL52H20F839G, elettivamente
domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18,
presso lo studio dell’avvocato GIANMARCO GREZ,
rappresentato e difeso dall’avvocato DI LEVA ANTONIO
MARIA, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
contro

3137

AZIENDA OSPEDALIERA DI RILIEVO NAZIONALE E DI ALTA
SPECIALITA’ 00.RR. SAN GIOVANNI DI DIO E RUGGI
D’ARAGONA;

Data pubblicazione: 29/01/2014

- intimata –

avverso la sentenza n. 1173/2010 della CORTE
D’APPELLO di SALERNO, depositata il 17/11/2010 R.G.N.
963/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

CURZIO;
udito l’Avvocato DI LEVA ANTONIO MARIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udienza del 06/11/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO

Ragioni della decisione
Pasquale Di Vaio chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di
Salerno, pubblicata il 17 novembre 2010, che ha rigettato il suo appello contro la

licenziamento.
Il Di Vaio, dipendente dell’azienda ospedaliera universitaria OORR San Giovanni di
Dio e Ruggi D’Aragona, con le mansioni di operatore tecnico cucina e dispensa, il 18
giugno 2004 venne tratto in arresto per vari episodi di usura ed estorsione aggravata
in continuazione tra loro.
L’azienda lo sospese dal servizio, ma attese la conclusione del processo penale per
iniziare l’azione disciplinare.
Il Di Vaio venne riconosciuto colpevole dei reati ascrittigli e condannato in primo
grado alla pena di anni quattro e giorni venti di reclusione oltre la multa. Patteggiò in
appello la pena di anni tre e giorni dieci di reclusione oltre 1.600,00 euro di multa. La
sentenza fu pubblicata il 28 luglio 2006. In seguito su richiesta del difensore del Di
Vaio il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Salerno, revocò l’ordine di
esecuzione della pena residua di mesi undici e giorni uno di reclusione, applicando
l’ indulto.
Il Di Vaio presentò richiesta di riassunzione in servizio, allegando copia di tale
ultimo provvedimento.
L’azienda iniziò il procedimento disciplinare convocando il Di Vaio. All’esito della
audizione l’azienda invitò il Di Vaio a depositare copia della sentenza di appello,
aggiornando il procedimento all’atto della acquisizione di tale documento. Il Di Vaio
non ottemperò.

Ricorso n. 13775.10
Udienza 6 novembre 2013

decisione del Tribunale di Salerno che aveva respinto la sua impugnativa di

In data 18 maggio 2007 l’azienda intimò il licenziamento con preavviso di quattro
mesi.
Il Di Vaio impugnò il licenziamento, prima in via d’urgenza, poi con ricorso
ordinario. Entrambi i ricorsi vennero rigettati dal Tribunale di Salerno. Il Di Vaio

Contro tale sentenza il Di Vaio ricorre per cassazione, per un unico motivo.
L’azienda ospedaliera non ha svolto attività difensiva.
Con l’unico motivo di ricorso si denunziano, congiuntamente, violazione e falsa
applicazione di norme di diritto e motivazione ‘insufficiente e contraddittoria’.
Richiamata la giurisprudenza di legittimità per la quale il termine per l’avvio del
procedimento disciplinare a carico di dipendenti pubblici decorre dalla sentenza solo
qualora i fatti siano stati conosciuti dall’amministrazione a seguito della
comunicazione di tale sentenza e non anche ove anteriormente a tale data
l’amministrazione ne avesse già avuto conoscenza, il ricorrente assume che “nel caso
in esame in modo del tutto immotivato risulta disattesa la decisiva circostanza circa
l’avvenuta conoscenza dei fatti al mese di giugno 2004” e risulta “priva di
motivazione plausibile” la mancata ammissione dei triuzi istruttori finalizzati a
provare la piena conoscenza dei fatti da parte dell’azienda sin dal momento
dell’arresto, nonché la mancata valutazione dei documenti allegati costituiti dagli
articoli comparsi su tre quotidiani locali.
A conclusione di questa parte del motivo di ricorso il ricorrente chiede quello che egli
stesso definisce “il riesame in merito” alla mancata ammissione e considerazione di
tali mezzi istruttori.
Il motivo è inammissibile, perché chiede al giudice di legittimità un riesame del
merito di un giudizio in fatto.

Ricorso n. 13775.10
Udienza 6 novembre 2013
Pietro Curzio, este
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re

propose quindi appello, che fu anch’esso rigettato dalla Corte d’appello di Salerno.

Stabilire quando è avvenuta la conoscenza del fatto reato da parte della
amministrazione pubblica è un tipico giudizio di fatto, di competenza del giudice di
merito.
Né può ritenersi che la sentenza sul punto sia, come sostiene il ricorrente, priva di

La motivazione sussiste ed è compiuta e coerente. La si rinviene a pagina 11-13 della
sentenza. La Corte basa la sua motivazione sulla distinzione tra conoscenza del fatto
della sottoposizione del dipendente a custodia cautelare, cui è connessa la
sospensione cautelare dal servizio, dalla conoscenza del fatto idoneo a giustificare la
sanzione disciplinare massima del licenziamento.
La Corte ha ricordato che, in base all’art. 5 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Nonne
sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del
giudicato nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche”) la pubblica
amministrazione datrice di lavoro può estinguere il rapporto di lavoro qualora sia
pronunciata sentenza penale irrevocabile di condanna. L’azienda, in base alla
normativa di riferimento, può iniziare il procedimento disciplinare per poi
sospenderlo in attesa della sentenza che chiude il processo penale, oppure può, dopo
aver sospeso cautelarmente il ricorrente in relazione al provvedimento di custodia
cautelare, aspettare l’esito del giudizio penale e quindi una sentenza che accerti il
fatto con la forza del giudicato, per iniziare il procedimento disciplinare. È questa una
scelta a maggiore garanzia del dipendente, che non può risolversi in una
penalizzazione del comportamento prudente dell’azienda e, più a monte,
dell’interesse generale che la pubblica amministrazione deve considerare e tutelare.
L’attesa di una sentenza irrevocabile permette di basare l’avvio del procedimento
disciplinare su di una conoscenza del fatto in tutte le sue componenti, materiali e
giuridiche, in quanto il “fatto” da considerare per valutarne le conseguenze sul piano
disciplinare, è il fatto-reato, comprensivo di tutte le sue componenti, incluse quelle
Ricorso n. 13775.10
Udienza 6 novembre 2013

Pietro Curzio, e
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motivazione.

attinenti all’elemento psicologico. E tale fatto viene compiutamente accertato non con
il provvedimento di custodia cautelare, ma con la sentenza che conclude il processo.
Peraltro, anche con riferimento alla custodia cautelare non è stata data la prova che
copia di tale provvedimento sia stato fornito all’azienda, né certo la conoscenza del
vorrebbe il ricorrente.
Questa impostazione rende superflua ogni valutazione in ordine alla natura,
perentoria od ordinatoria, del termine previsto dall’art. 29 del ceni del comparto
sanità, dopo la modifica apportata dal ceni del 2004.
Il ricorrente si duole poi della “mancata considerazione del motivo subordinato di
appello”, con il quale aveva dedotto che il procedimento era stato avviato comunque
oltre il termine di venti giorni dalla acquisizione “della sentenza penale di condanna”.
Questa censura è inammissibile perché avrebbe dovuto essere operata mediante
denunzia di violazione dell’art. 112 c.p.c., il che non è stato fatto. Comunque il
motivo di appello era pregiudicato da una evidente inesattezza perché, quella
acquisita al protocollo n. 3699, come si desume dallo stesso ricorso per cassazione
(cfr. pag. 4), non era la sentenza penale di condanna passata in giudicato, ma una
ordinanza applicativa dell’indulto. La sentenza del giudice di appello venne richiesta
al ricorrente dall’azienda nel corso del procedimento disciplinare, dopo l’audizione,
con atto del 28 marzo 2007, ma egli non adempì all’onere di produrla, sicchè un mese
e venti giorni dopo, il 18 maggio 2007, l’azienda comminò la sanzione.
Il ricorrente fonda su questo suo comportamento omissivo un’ulteriore denunzia del
comportamento dell’azienda, assumendo che fino a quando egli non avesse prodotto
tale documento l’azienda non avrebbe potuto concludere il procedimento. È evidente
l’irrazionalità, prima ancora dell’infondatezza giuridica, di questa tesi ed è evidente
che l’azienda dopo aver atteso un tempo congruo (circa un mese e venti giorni) aveva
non solo il potere, ma il dovere di concludere il procedimento.
Ricorso n. 13775.10
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fatto può essere identificata con la pubblicazione di articoli giornalistici, come

Parimenti infondata è la prospettazione per la quale la Corte non avrebbe considerato
che con nota del 2 aprile 2007 l’azienda aveva comunicato al Di Vaio che era in
corso un procedimento diretto a verificare la possibilità di riammissione in servizio,
se si fosse reso disponibile ad essere trasferito all’ospedale Cardarelli. Tale missiva è

la sanzione. Ma la missiva, in disparte l’analisi sui poteri di chi l’ha firmata, si limita
a verificare una disponibilità al trasferimento e correttamente i giudici di merito
hanno escluso che potesse implicare una rinuncia all’azione disciplinare, peraltro
doverosa per gli esponenti della amministrazione pubblica.
Il ricorso pertanto deve essere rigettato. Nulla sulle spese perché l’azienda intimata
non ha svolto attività difensiva.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 novembre 2013.

ritenuta dal ricorrente incompatibile con la volontà della amministrazione di applicare

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