Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19228 del 09/09/2010

Cassazione civile sez. I, 09/09/2010, (ud. 03/06/2010, dep. 09/09/2010), n.19228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 27779 del Ruolo Generale degli affari

civili dell’anno 2008, proposto da:

D.C.D., elettivamente domiciliato in Roma, Via Bettole n.

17, presso l’avv. Roberto De Nardo, e rappresentato e difeso, per

procura in calce al ricorso, dall’avv. BAVA Andrea di Genova;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del ministro in

carica ex lege domiciliato in Roma, alla Via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato e da questa rappresentato e difeso,

come da irrituale atto di costituzione del 30 gennaio 2009;

– resistente –

avverso il decreto emesso, nel procedimento n. 56/08 del ruolo della

volontaria giurisdizione, dalla Corte di appello di Genova, Sezione

Terza Civile, il 27 marzo – 7 aprile 2008.

Udita, all’udienza del 3 giugno 2010, la relazione del Cons. Dr.

Fabrizio Forte e sentito il P.G. Dr. Libertino Alberto Russo che

conclude per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.C.D. con ricorso del 29 gennaio 2008 ha chiesto alla Corte d’appello di Genova di condannare il Ministero dell’Economa e delle Finanze a corrispondergli Euro 12.394,96, a titolo di equa riparazione per danni non patrimoniali da irragionevole durata del primo grado del processo da lui instaurato con ricorso del 7 luglio 1998 alla Corte dei Conti di Genova per chiedere l’annullamento del D.M. Difesa 14 aprile 1998, n. 69, che gli aveva negato la pensione privilegiata, perchè la sua infermità dipendente da causa di servizio non era stata contratta durante la leva, e concluso da sentenza dell’adito giudice del 17 gennaio 2007, che aveva accolto in parte la domanda, dichiarando il suo diritto a percepire un’indennità una tantum.

Della durata complessiva di 8 anni e mezzo del primo grado di detto processo, la Corte di merito ha ritenuto irragionevole quella di 6 anni e mezzo, liquidando, per il danno non patrimoniale, Euro 3.250,00, e condannando il convenuto a pagare tale somma e le spese;

per i giudici del merito, il ricorrente, non avendo presentato istanze di prelievo e di fissazione di udienza nel giudizio contabile, con tali omissioni aveva evidenziato disinteresse e assenza di ansia per l’esito del processo, per cui il danno non patrimoniale poteva determinarsi nella misura ridotta di Euro 500,00 annui, discostandosi dalla somma minima di Euro 1000,00 in genere ritenuta congrua per tale tipo di riparazioni delle violazioni della Convenzione dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (da ora:

C.E.D.U.). Per la cassazione di tale decreto, il Da Costa propone ricorso di quattro motivi, cui irritualmente resiste il Ministero intimato con un atto che non può costituire controricorso ed è qualificato dal resistente di costituzione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso del Da Costa si articola in quattro motivi: a) violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, in relazione all’art. 6, par. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 2059 c.c., nella quantificazione de danno non patrimoniale, non essendosi tenuto conto della struttura del processo contabile, nel quale al solo P.G. spetta di chiedere la fissazione d’udienza, una volta terminata l’istruttoria, potendo la parte difendersi da sola e senza un difensore tecnico per l’impulso officioso del processo. Fino al 1993, solo il P.G. poteva fare richiesta di fissare l’udienza e nessun onere era a carico del ricorrente;

successivamente, con la L. 14 gennaio 1994, n. 19, art. 6, il potere di fissare l’udienza si è attribuito al Presidente della Corte allorchè nomina il magistrato che deve trattare la causa. La Corte d’appello ha confuso il processo contabile con quello amministrativo, dando rilievo alla c.d. “istanza di prelievo”, che nel primo non è prevista, potendo il presidente, dall’istanza di parte rilevare solo l’urgenza della causa e si pone quindi il seguente quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c.: “Dica la Corte alla luce della giurisprudenza della C.E.D.U. se il giudice nazionale possa, per la L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6 della Convenzione, ridurre la liquidazione del danno non patrimoniale, in base alla disciplina del giudizio amministrativo e non a quella che regola il processo pensionistico contabile”; b) violazione delle norme di cui al primo motivo, per non essersi la Corte di merito conformata ai principi enunciati dalla C.E.D.U. per liquidare il danno non patrimoniale, determinato in genere in una somma da 1000,00 a 1500,00 Euro all’anno e da elevare ad Euro 2000,00 annui se la posta in gioco è rilevante, come quando si tratta della pensione privilegiata per l’intera vita (nei minimi di Euro 850,00 al mese), essendo l’accertamento istruttorio facilmente esperibile in tempi rapidi; c) violazione degli artt. 101, 112 c.p.c., e art. 2697 c.p.c., in relazione all’art. 24 Cost., per avere ridotto la misura del danno non patrimoniale, senza che su di essa fosse stato eccepito o provato un comportamento defatigatorio di parte ricorrente, applicando le norme sulla giurisdizione amministrativa invece che quelle del processo contabile e rilevando di ufficio la questione della mancata istanza di fissazione della udienza, senza imporre sul punto il contraddittorio (Cass. 9 giugno 2008 n. 15194); d) omessa o insufficiente motivazione del decreto impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, con applicazione ci oneri processuali propri di altro tipo di processo, omettendo anche di riconoscere il bonus di duemila Euro da concedere per la natura pensionistica del processo. Dopo sette anni di silenzio della Corte dei conti, la causa si è risolta in un anno e mezzo, con il riconoscimento della pensione, in una materia nella quale si concede sempre il bonus aggiuntivo di Euro 2000,00 dalla C.E.D.U..

2.1. Il ricorso è fondato nei sensi che seguono.

Il decreto motiva il suo discostamento dai principi ermeneutici della C.E.D.U. sulla liquidazione del danno non patrimoniale, ritenendo limitato lo stato d’ansia del D.C. nel processo pensionistico, per non avere tale parte sollecitato la Corte dei conti a decidere, potendosi presumere che, ai sensi del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 75, il ricorrente abbia presentato “domanda di fissazione di udienza” entro l’anno dalla data del ricorso, dovendosi questo ritenersi altrimenti “abbandonato”.

li regolamento per la procedura dinanzi alla Corte dei Conti, di cui al R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, prevede solo il deposito della domanda di fissazione di udienza nella segreteria (art. 17, comma 1), spettando al presidente, dopo tale deposito, fissare il giorno d’udienza; inoltre l’art. 58 del medesimo regolamento sancisce, per i giudizi ad iniziativa di parte, che “Il decreto di fissazione di udienza, emesso su istanza della parte più diligente, deve, a cura di questa, essere notificato a tutte le altre parti in causa” e alla domanda di fissazione dell’udienza, della parte o del P.G., fa riferimento l’art. 77 dello stesso regolamento che precede.

Per le sole pensioni di guerra, la domanda di fissazione di udienza va fatta dal P.G. ai sensi del D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, art. 118, e, comunque, in ogni giudizio contabile, la previsione della perenzione per l’inerzia degli interessati per dieci anni di durata, identica a quella operante nel processo amministrativo (L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 9, comma 3, termine ridotto nel 2008 a cinque anni), sembra comunque dare rilievo significativo all’atteggiamento inerte dell’interessato.

Se è scorretto il richiamo alla istanza il prelievo, di cui al decreto oggetto di ricorso, non vi e stato errore dalla Corte di merito nell’avere rilevato la mancanze, di domande di fissazione d’udienza successive a quella già presumibilmente contenuta nel ricorso, sintomatica di inerzia del D.C., il cui comportamento non ha mostrato un concreto interesse al ricorso, così esprimendo un modesto stato di ansia per la risoluzione della controversia.

Il decreto impugnato è errato nell’avere collegato alla mancata presentazione della istanza di prelievo tale deduzione, anche se sarebbe stata necessaria una nuova istanza di fissazione d’udienza del ricorrente, cui negli atti e nel ricorso non si fa cenno, per cui la ridotta misura della riparazione è giustificata.

Vanno comunque accolti il secondo e terzo motivo di ricorso, per la misura eccessiva del di scostamento dai parametri sovranazionali C.E.D.U. di liquidazione del danno non patrimoniale, in ragione della mancanza di istanze di sollecito non necessarie e sulla base d’una questione, rilevata di ufficio, senza sollecitare su di essa il contraddittorio tra le parti.

In rapporto agli atti di causa può affermarsi che la detta inerzia del D.C. nel processo presupposto ha evidenziato una modesta sofferenza e una ridotta, ansia dello stesso, anche se la liquidazione del danno ai sensi dell’art. 2056 c.c., risulta essere stata troppo bassa, in relazione ai parametri utilizzati dalla C.E.D.U..

Peraltro m ordine al quarto motivo del mancato riconoscimento del bonus da Euro 2000,00 in una causa in materia pensionistica, mancano elementi per poter riconoscere in sede di legittimità tale diritto, non essendo il ricorso sul punto autosufficiente (cfr. sul tema Cass. n. 22869/2009).

Non può ritenersi equa rispetto ai parametri della C.E.D.U. la fissazione della riparazione del danno nella misura di cui al decreto, apparendo eccessivo il discostamento dalle usuali decisioni in sede sovranazionale nelle quali in astratto si afferma che l’equo indennizzo deve calcolarsi in una somma da Euro 1.000,00 ad Euro 1.500,00 all’anno, per l’intera durata del processo (in tal senso, Cass. n. 5591/2009, n. 1048/2009, n. 2950/2008, n. 1605/2007, n. 24356/2006) anche se poi, in concreto, si riconosce come equa, per l’Italia, una riparazione del danno non patrimoniale in somme assai minori corrispondenti alla metà di quelle che precedono (Cass. n. 16086/09).

In particolare, per i processi dinanzi alla Corte dei conti, la C.E.D.U., in più recenti sue pronunce, ha ritenuto sufficiente una liquidazione della stessa misura di cui al processo di merito anche se con riferimento all’intera durata della causa (in tal senso C.E.D.U. 2 giugno 2009, Daddi c. Italia; 16 marzo 2010, Volta et autres c. Italia e 6 aprile 2010, Falco et auires c. Italia).

Pertanto la riparazione determinata nel merito sì discosta dai criteri ermeneutici enunciati la cui violazione non risulta giustificata dalla inerzia del ricorrente in gran parte determinata dalla stessa normativa sopra esaminata del processo contabile.

2. Poichè però il contrasto con i criteri ermeneutici del C.E.D.U. comporta violazione del diritto vivente, che consente, in caso di non necessità di altri accertamenti di fatto, la decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., nella fattispecie questa Corte intende uniformarsi ai più recenti indirizzi della C.E.D.U. sulla liquidazione del danno non patrimoniale e, ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., liquida il danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo contabile subito nella fattispecie in Euro 4.250,00, con gli interessi dalla domanda, tenuto conto della rilevanza della posta in gioco e non potendosi aumentare la somma concessa con il c.d. bonus, mancando in atti elementi che consentano di rilevare l’esistenza del diritto ad esso e di accertare se v’è stata la relativa domanda ai giudici del merito.

2. Il ricorso va accolto per i profili e nei limiti che precedono, con cassazione del decreto impugnato per violazione del diritto vivente, cioè delle norme della convenzione come lette dalla C.E.D.U., loro giudice naturale; ai sensi dell’art. 384 c.p.c., non essendo necessari altri accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito.

Il Ministero controricorrente dovrà pagare al ricorrente la somma liquidata a titolo di equo indennizzo per danni non patrimoniali e i due terzi delle spese dell’intero processo, da compensare nel resto, in ragione dell’accoglimento solo parziale della domanda della parte e liquidandosi dette spese, per tale ridotta misura, come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione e cassa il decreto impugnato.

Decidendo la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna il Ministero dell’economia e della Finanze a pagare al ricorrente Da Costa, a titolo di equo indennizzo per danni non patrimoniali da irragionevole durata di un processo dinanzi alla Corte dei conti, Euro 4250,00 (quattromiladuecentocinquanta/00) con gli interessi dalla domanda, e i due terzi delle spese dell’intero giudizio, che compensa nel resto con la controparte, liquidandole, per tale ridotta misura, per la causa di merito, in Euro 1.000,00 (mille/00) di cui Euro 600,00 (seicento/00) per onorari, Euro 350,00 (trecentocinquanta/00) per diritti ed Euro 50,00 (cinquanta/00) per esborsi e, per il presente giudizio di cassazione, in Euro 800,00 (ottocento/00), di cui Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre alle spese generali e accessori di legge per entrambi i gradi.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 5.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2010

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