Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19228 del 07/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 07/07/2021, (ud. 14/05/2021, dep. 07/07/2021), n.19228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9378/2015 R.G. proposto da:

G.G., rappresentato e difeso dall’avv. Sergio Russo

(pec: sergio.russo.ordineavvocativicenza.it) elettivamente

domiciliato in Roma, viale Liegi, n. 10, presso lo studio dell’avv.

David Andrea Carlevale (pec: avvdavidandreacarlevale.puntopec.it);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, n. 1533/7/14, pronunciata il 26.9.2014 e depositata

l’8.10.2014;

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 14 maggio 2021

dal consigliere Dott. Saieva Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

che:

G.G. proponeva separati ricorsi alla Commissione tributaria provinciale di Vicenza avverso due avvisi di accertamento per IRPEF, addizionali regionali e comunali e relative sanzioni, riferiti agli anni 2006 e 2007, chiedendo che venissero dichiarate non dovute le imposte richieste dall’Ufficio a seguito di accertamento sintetico basato sulla disponibilità di alcuni beni-indice, in applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38.

La Commissione adita respingeva previa riunione i ricorsi anzidetti.

La Commissione tributaria regionale del Veneto, con sentenza n. 1533/7/14, depositata l’8.10.2014, rigettava l’appello proposto dal contribuente, nella considerazione che lo stesso non avesse in concreto dimostrato che alla disponibilità dei beni elencati negli avvisi di accertamento corrispondesse un’effettiva capacità reddituale.

Avverso tale sentenza il G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Il ricorso è stato fissato nell’adunanza camerale del 14 maggio 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando l’omessa pronuncia su una questione fondamentale della controversia. Lamenta in particolare il G. che, pur avendo dimostrato e documentato che le spese di esercizio erano sostenute dalla Siltech S.r.l., società di cui egli era amministratore, la quale rimborsava i costi da lui sostenuti, la C.T.R. non aveva minimamente preso in considerazione tale aspetto fondamentale della controversia.

Il motivo è inammissibile.

Come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenze n. 8053 e n. 8054, pubblicate in data 07/04/2014, a seguito della riforma dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile, dunque, alla sentenza qui impugnata, depositata il giorno 8.10.2014, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Ai sensi della disposizione anzidetta, infatti, è deducibile esclusivamente l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti”. Al riguardo le Sezioni Unite di questa Corte, con le sopracitate sentenze n. 8053 e n. 8054, relative alla portata operativa del novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, hanno chiarito che il nuovo testo della norma in parola ha introdotto nell’ordinamento un nuovo vizio specifico concernente l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); mentre, l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Correttamente, pertanto, la C.T.R. ha disatteso l’assunto del ricorrente la cui pretesa prescinde dalla omessa indicazione – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – del “fatto storico”, il cui esame sarebbe stato omesso. Nel caso in esame, infatti, il ricorrente non denuncia alcun omesso esame di un fatto storico, ma deduce un vizio motivazionale non più deducibile secondo il “riformato” art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sollecitando questa Corte a sostituirsi al giudice di merito nell’esame delle risultanze probatorie, in tal modo formulando censure di merito non ammesse nel giudizio di legittimità.

Venuta, dunque meno la possibilità di demandare a questa Corte il controllo in ordine alla logicità e sufficienza della motivazione, appare evidente come il vizio prospettato dal contribuente, il quale si limita a contestare l’omessa valutazione dei costi sostenuti dalla Siltech S.r.l., risulti per più aspetti inammissibile e non consente alcun riesame delle risultanze probatorie, non ammesso nel presente giudizio.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censurando la decisione della C.T.R. che aveva ritenuto irrilevante stabilire se il “redditometro” fosse fondato o meno su presunzioni semplici, omettendo quindi di “considerare che egli aveva fornito una serie di giustificazioni e documentazioni atte a dimostrare, da una parte l’insussistenza del maggior reddito e… dall’altro la presenza di disponibilità finanziarie”.

Il motivo è inammissibile, oltre che infondato.

Questa Corte ha già chiarito (Cass. Sez. 5, 26/11/2014, 25104) che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, prevede (al primo periodo) che gli uffici finanziari, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, possano “determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato”. In sostanza, il citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 prevede che il controllo della congruità dei redditi dichiarati venga effettuato partendo da dati certi ed utilizzando gli stessi come indici di capacità di spesa, per dedurne, avvalendosi di specifici e predeterminati parametri di valorizzazione (c.d. redditometro), il reddito presuntivamente necessario a garantirla. Quando il reddito determinato in tal modo si discosta da quello dichiarato per almeno due annualità, l’ufficio può procedere all’accertamento con metodo sintetico, determinando il reddito induttivamente e quindi utilizzando i parametri indicati, a condizione che il reddito così determinato sia superiore di almeno un quarto a quello dichiarato.

A tal fine questa Corte ha chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, in tema di accertamento induttivo del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, affermando (v. Sez. 5, 18/04/2014, n. 8995) che “l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”. La norma richiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte) e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, esige espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità ditali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perchè in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati. Nè la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” del possesso dei redditi in esame; quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente”.

Nel caso in esame i giudici di appello hanno correttamente impostato il giudizio di merito sulla base dei principi di diritto ormai consolidati, con specifico riguardo agli oneri probatori rispettivamente gravanti sulle parti, giungendo a conclusioni sfavorevoli al ricorrente sulla base di considerazioni di merito insindacabili in questa sede.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ritenendo applicabili le tabelle per il calcolo redditometrico del reddito delle persone fisiche modificate con Decreto Ministeriale pubblicato in data 24 dicembre 2014, essendo l’accertamento sintetico annoverabile tra quelli standardizzati.

Anche detto motivo (dedotto solo nel giudizio di appello, secondo il rilievo della C.T.R.) è privo di fondamento non essendo nella specie applicabile ratione temporis la nuova disciplina dell’accertamento sintetico introdotta per i redditi successivi all’anno d’imposta 2009, non suscettibile di applicazione retroattiva, avendo lo stesso legislatore precisato l’ambito temporale di applicazione del “nuovo redditometro”.

Il D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1 (convertito in L. 30 luglio 2010 n. 122), stabilisce, infatti, che le modifiche apportate al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 hanno effetto “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Inoltre, nel sistema attualmente vigente, come delineato dal D.M. 24 dicembre 2012, non si riscontra una disposizione analoga a quella prevista sempre in tema di accertamento sintetico – dal D.M. 10 settembre 1992, art. 5, comma 3, ultimo periodo, il quale – nel far salvi gli accertamenti emanati sulla base del precedente D.M. 21 luglio 1983 aveva previsto che il contribuente potesse chiedere, qualora l’accertamento non fosse divenuto definitivo, la rideterminazione del reddito sulla base dei criteri indicati nell’art. 3 del medesimo decreto. Peraltro anche il D.M. 24 dicembre 2012 – emanato in attuazione delle nuove norme in materia di accertamento sintetico – ha ribadito l’applicabilità delle disposizioni in esso contenute alla determinazione sintetica dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009, talchè sia il limite temporale individuato dal D.L. n. 78 del 2010 che l’assenza di una previsione analoga a quella contenuta nel D.M. del 1992 consentono di escludere un’applicazione retroattiva del “nuovo redditometro”.

Nè l’impossibilità di applicare il “nuovo redditometro” agli accertamenti riferiti a periodi di imposta precedenti il 2009, appare in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che, ai fini della determinazione sintetica del reddito, ha ammesso la retroattività delle disposizioni di cui al citato D.M. 10 settembre 1992 nella parte in cui offrono una “valutazione dei beni posseduti dal contribuente” diversa rispetto a quella del precedente D.M. 21 luglio 1983, atteso che i dd.mm., vigenti prima dell’approvazione del D.M. 24 dicembre 2012, erano strutturati, invero, allo stesso modo, essendo essi costruiti sulla valutazione di determinati beni nella disponibilità del contribuente e non, come è prerogativa del “nuovo redditometro”, sulla ricognizione delle singole manifestazioni di spesa (Cass. Sez. 5, 07/07/2017, n. 16912).

Ne consegue l’impossibilità di richiamare la giurisprudenza che affermava la retroattività di nuove “valutazioni” dello stesso indicatore di capacità contributiva senza modificare la struttura metodologica e la base di riferimento del redditometro, laddove tra “vecchio” e “nuovo” redditometro emerge una sostanziale disomogeneità, sia nell’approccio metodologico alla determinazione del reddito complessivo, sia nella base dati di riferimento, ossia negli indicatori sintetici di reddito, che, conseguentemente, giustifica l’espressa affermazione del legislatore di non poter attribuire valenza retroattiva al “nuovo redditometro”.

Sulla base delle argomentazioni esposte, pertanto, si ritiene che i Giudici di secondo grado abbiano correttamente applicato le disposizioni normative previste in tema di accertamento sintetico.

Il ricorso va quindi rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso del contribuente e lo condanna al rimborso delle spese sostenute dall’Agenzia delle entrate che liquida in 4.100,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021

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