Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19225 del 07/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 07/07/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 07/07/2021), n.19225

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 891/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempre, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

M.B.;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, n. 5690/32/2014, depositata il 6 giugno 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 aprile

2021 dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.La Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto da M.B. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Caserta (n. 14/9/13), che aveva accolto solo parzialmente il ricorso presentato dalla contribuente avverso l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate per l’anno 2005, a titolo di Irpef. In particolare, l’Agenzia delle entrate aveva accertato nei confronti della M. una plusvalenza di Euro 37.911,00, poi ridotta con la sentenza di primo grado ad Euro 33.416,00, ravvisandosi un errore nella determinazione del quantum, individuato dal raffronto tra il valore di acquisto del suolo edificabile ed il corrispettivo ricevuto all’atto della alienazione del terreno in favore della figlia e del di lei marito. La contribuente aveva dedotto con il ricorso introduttivo la natura simulata del contratto di compravendita, stipulato tra soggetti con stretti rapporti parentali (genitore-figlia), solo al fine di poter beneficiare di un successivo contratto di mutuo ipotecario. Trattavasi, invece, di donazione, tanto che nessuna somma era stata versata dalla figlia per l’acquisto del fondo, come emergeva anche dal contratto di mutuo ipotecario successivamente stipulato, dalle dichiarazioni delle parti e da contestuali atti di liberalità effettuati in favore degli altri figli della contribuente, oltre che dagli estratti conto bancari in cui non erano transitate somme corrispondenti al prezzo indicato nel contratto. Il giudice d’appello rilevava che l’effettiva volontà delle parti era desumibile da indici sintomatici della dedotta simulazione, costituiti dall’atto di alienazione dell’immobile del 5 luglio 2005, redatto alla presenza di testimoni, sicchè era evidente la volontà di stipulare una donazione, dai rapporti di parentela tra alienante che l’acquirente, con contestuali altre liberalità effettuata in favore degli altri figli, dal prezzo di Euro 40.000,00 che l’acquirente aveva dichiarato di aver versato, ma di cui non vi era traccia nei conti correnti dell’alienante. Il presupposto della plusvalenza era la percezione di un corrispettivo, effettivamente corrisposto, ma non vi era prova in atti della sussistenza dello stesso, se non nella generica dichiarazione resa dalla parte acquirente dinanzi al notaio che aveva rogato l’atto.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

3. Resta intimata la contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto il giudice d’appello ha fondato la sua decisione su elementi puramente indiziari, ma carenti dei caratteri di gravità, precisione e concordanza. In realtà, in caso di simulazione negoziale, specie con riguardo al pagamento del prezzo, la prova negativa costituita dalla documentazione bancaria è di per se stessa inidonea a dimostrare la diversa causa negoziale sottostante al tipo formalizzato, in quanto le risultanze degli estratti conto non hanno alcuna attinenza certa e causalmente efficiente rispetto all’adempimento dell’obbligazione del prezzo, nel negozio, simulato come oneroso che si assume celarne uno gratuito, in quanto la provvista necessaria all’adempimento del prezzo può provenire dalle tante altre fonti, può avere come sua destinazione tanti altri canali, non esauribili in quelli bancari.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1415 c.c., in ordine ai soggetti legittimati a proporre la domanda di simulazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” in quanto, ai sensi dell’art. 1415 c.c., la simulazione non può essere opposta dalle parti contraenti, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione, ai terzi in buona fede. Si intende, dunque, proteggere la libera circolazione dei beni e la certezza e la tutela di diritti, con particolare riguardo all’affidamento dei terzi.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1417 c.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, in relazione all’art. 2697 c.c., sulla prova della simulazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, in quanto le parti contraenti possono avvalersi della prova testimoniale della simulazione solo qualora la domanda sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato. L’art. 2724 c.c., poi, prevede, quale eccezione al divieto di prova testimoniale, al numero 3, che la prova per testimoni è ammessa in ogni caso quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova. Inoltre, nel processo tributario vige lo specifico divieto di prova testimoniale nel giudizio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7. Parte contraente avrebbe potuto fornire la prova della simulazione unicamente attraverso il deposito dell’atto dissimulato, qualora avesse avuto, tra l’altro, i requisiti di forma e di sostanza prescritti dalla legge, per la donazione. L’impossibilità di fornire la prova attraverso la testimonianza, ai sensi dell’art. 1417 c.c., con riferimento alle parti contraenti, non consentiva neppure l’utilizzo del procedimento indiziario, precluso sia dalla normativa civilistica sia da quella speciale del processo tributario.

3.1. Il primo motivo è fondato, con assorbimento dei restanti.

3.2.Invero, dagli atti processuali emerge pacificamente che la contribuente M.B. ha venduto ai coniugi P.L. e D.R., figlia della contribuente, un terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria, per il prezzo dichiarato nel rogito notarile di Euro 40.000. La stessa ha omesso di indicare nella dichiarazione dei redditi la plusvalenza realizzata, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. b, calcolata nella differenza tra il valore del terreno al momento dell’acquisto ed il valore dichiarato nell’atto di compravendita.

La contribuente ha sostenuto che il contratto di compravendita del terreno era, in realtà, una donazione, trattandosi di un atto a titolo gratuito, non avendo ricevuto alcuna somma come corrispettivo della cessione del terreno, sicchè non si era verificata alcuna plusvalenza. In realtà, la simulazione del contratto di compravendita era necessaria per ottenere un mutuo ipotecario dalla banca per la costruzione di un’abitazione, da realizzarsi proprio sul terreno donato, su cui l’istituto mutuante avrebbe potuto iscrivere la relativa ipoteca. A dimostrazione dell’esistenza di una donazione, la M. ha depositato documentazione bancaria da cui sarebbe stato possibile evincere la mancata percezione del corrispettivo, le dichiarazioni rilasciate dai contraenti e dai familiari, che attestavano la natura di donazione, la copia di altri atti di donazione disposti dalla ricorrente in favore degli altri figli.

3.3. L’art. 1417 c.c. (prova della simulazione), prevede che “la prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza limiti, se la domanda è proposta da creditori o da terzi e, qualora sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato, anche se proposta dalle parti”.

Pertanto, la domanda di simulazione, qualora sia proposta da una delle parti e tenda all’accertamento di un negozio dissimulato non illecito, incontra dei limiti in relazione alla prova testimoniale, per cui se il contratto simulato è stato redatto per iscritto, la prova per testi non è ammessa contro il contenuto del documento (Cass., sez. 2, 14 novembre 2002, n. 16021). In caso di simulazione relativa di un contratto, viene comunque in rilievo l’esistenza e la validità del negozio dissimulato; in tal caso la dimostrazione della simulazione incontra quindi non solo le normali limitazioni legali alla ammissibilità della prova testimoniale e di quella per presunzioni, ma anche quella più rigorosa stabilita dall’art. 2725 c.c., secondo il quale la prova testimoniale di un negozio per il quale è richiesta la forma scritta a pena di nullità è consentita solo nell’ipotesi di smarrimento incolpevole del documento, contemplata nell’art. 2724 c.c., n. 3 e non anche nelle altre ipotesi di cui dello stesso art. 2724 c.c., n. 1 e 2 (Cass., sez.2, 27 febbraio 2001, n. 2906; Cass., sez. 2, 24 giugno 1983, n. 4339; Cass., sez.2, 4 maggio 2007, n. 10240; Cass., sez. 2, 10 marzo 2017, n. 6262).

3.4. Tuttavia, tali principi civilistici devono essere armonizzati con la disciplina tributaria, che presenta specifiche caratteristiche, in quanto finalizzata a coniugare capacità contributiva e imposizione fiscale, in uno con i limiti di prova ammessi nel processo tributario (si pensi all’inammissibilità della prova testimoniale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, comma 4).

In particolare, deve farsi applicazione della giurisprudenza di legittimità formatasi in tema di accertamento “sintetico” da incrementi patrimoniali, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 5, in cui la manifestazione di ricchezza, indice di capacità contributiva, si incentra nelle operazioni economiche compiute dal contribuente.

Invero, deve muoversi dal principio giurisprudenziale per cui, in materia di accertamento delle imposte sui redditi, la simulazione relativa, inerente al prezzo di vendita di un bene, di cui l’Amministrazione Finanziaria si avvale, ha natura meramente “incidentale” al fine di accertare gli introiti finanziari che per quel mezzo il contribuente avrebbe realizzato; non si richiede, quindi, nè il preventivo contraddittorio con le altre parti di quel contratto, che non vengono coinvolte nell’accertamento, nè un preventivo giudizio di simulazione, essendo il controllo giudiziario, come in tutte le situazioni di accertamento tributario, demandato alla fase di impugnazione dell’accertamento (Cass., sez. 1, 27 luglio 1993, n. 8392; Cass., sez. 5, 17 marzo 2006, n. 5991).

3.5. Inoltre, costituisce principio giurisprudenziale consolidato di questa Corte, cui si intende dare seguito, quello per cui, in tema di accertamento cd. sintetico D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, comma 5, il contribuente, il quale deduca che l’acquisto di un immobile non costituisce manifestazione di una reale capacità reddituale in ragione della simulazione dell’atto di compravendita e del conseguente mancato pagamento del relativo prezzo, nell’assolvimento dell’onere di fornire la prova contraria, su di esso gravante, può ricorrere anche alle dichiarazioni rese da terzi al di fuori del giudizio, aventi rilevanza meramente indiziaria, atteso che l’azione proposta davanti alla Commissione tributaria è volta a dimostrare l’infondatezza della pretesa fiscale e non ad ottenere la declaratoria di nullità del contratto simulato (Cass., sez. 5, 11 novembre 2020, n. 25414); con la precisazione che è sempre consentita, anche se a carico del contribuente, la prova contraria in ordine al fatto che manca del tutto una disponibilità patrimoniale, essendo questa meramente apparente, per avere, l’atto stipulato, in ragione della sua natura simulata, una causa gratuita anzichè quella onerosa apparente (Cass., sez. 5, 17 giugno 2002, n. 8665; Cass., 17 marzo 2006, n. 5991; Cass., 17 giugno 2002, n. 8665; Cass., sez. 5, 16 settembre 2010, n. 19637; Cass., 10 ottobre 2014, n. 21442; Cass., 26 maggio 2017, n. 13339; Cass., sez.5, 16 gennaio 2019, n. 872;Cass., sez. 5, 17 luglio 2019, n. 19193).

3.6. Il medesimo principio di diritto può trovare applicazione anche in tema di plusvalenza da cessione di terreno, in quanto, anche in questo specifico settore, il giudice tributario (ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 3) è chiamato a svolgere un accertamento solo incidentale, e non diretto, in ordine alla inefficacia o nullità del negozio asseritamente simulato, al fine di accertare se il contribuente abbia o meno ricevuto il pagamento del prezzo della compravendita, indice di capacità contributiva.

3.7.Invero, la contribuente ha ceduto alla figlia ed al genero un terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria, per il prezzo dichiarato nel rogito notarile di Euro 40.000. La stessa ha omesso di indicare nella dichiarazione dei redditi la plusvalenza realizzata, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. b.

La citata norma di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67 e il successivo D.P.R. n. 917 del 1986, art. 68 fanno riferimento a plusvalenza “realizzata”, costituita dalla differenza tra i “corrispettivi percepiti” nel periodo di imposta e il “prezzo di acquisto” del bene ceduto, in ossequio al principio (ex art. 53 Cost., comma 1) secondo cui la imposizione diretta deve colpire la effettiva capacità contributiva conseguita con la vendita del bene. E’ in linea con tale corretta impostazione che è intervenuta nel 2015 la norma di interpretazione autentica di cui al D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, art. 5, comma 3, sì che – come già affermato da questa Corte – va escluso che “l’Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini di altra imposta commisurata al valore del bene (id est, imposta di registro, n.d.r.), posto che la base imponibile ai fini IRPEF è data non già dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo. Il riferimento contenuto nella detta norma all’imposta di registro ed alle imposte ipotecarie e catastali svolge una funzione esemplificativa, volta esclusivamente a rimarcare la ratio della norma incentrata sulla non assimilabilità della differente base impositiva (valore) rispetto a quella prevista per l’IRPEF (corrispettivo)” -cfr. Cass. Sez. 5, 02/08/2017, n. 19227; Cass. Sez. 5, 30/10/2018, 27614 -.

Va ricordato, per mera completezza espositiva, che disposizioni particolari regolano, ai fini della determinazione del “prezzo di acquisto”, le ipotesi in cui il bene ceduto sia stato “acquisito” o “acquistato” per effetto di successione o donazione o “gratuitamente” (cfr. D.P.R. n. 917 del 1986, art. 68, comma 2), fuori quindi dal caso di specie in cui si discute (non dell’acquisto del bene, ma) della “cessione” che sarebbe avvenuta a titolo gratuito o per donazione

3.8. Orbene, deve evidenziarsi che l’Agenzia delle entrare ha fornito un indizio “serio” e preciso” della sussistenza di un negozio a titolo oneroso costituito, oltre che dalla stipulazione “formale” di una compravendita, anche dalla dichiarazione della contribuente, resa dinanzi al Notaio rogante, al momento della stipulazione del contratto di compravendita, di avere incassato il prezzo della “compravendita” (Cass., sez. 5, 16 settembre 2010, n. 19637, cit.). Per questa Corte, infatti, l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonchè delle dichiarazioni delle parti o degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza, ma non prova la veridicità e l’esattezza delle dichiarazioni rese dalle parti, le quali possono essere contrastate ed accertate con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge, senza ricorrere alla querela di falso (Cass., sez. 2, 29 settembre 2017, n. 22903). Resta il fatto, però, che la dichiarazione da parte della contribuente di aver ricevuto il pagamento del corrispettivo della “formale” compravendita, resa dinanzi al Notaio, ha in sè un rilevante spessore probatorio che depone per la esistenza del contratto di compravendita stipulato tra le parti, pur essendo ammissibile il superamento di tale indizio “forte” e “preciso” con altri elementi presuntivi di segno contrario, i quali, però, devono essere caratterizzati dalla medesima forza probatoria, e quindi dai requisiti di gravità, precisione e concordanza.

4. Proprio questo aspetto è stato sottolineato nel primo motivo di ricorso per cassazione articolato dalla Agenzia delle entrate, ex art. 2729 c.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che si è soffermata, in particolare, a criticare la decisione del giudice di appello, per avere utilizzato, per superare sia la dichiarazione di ricezione del prezzo della compravendita da parte della contribuente, sia la “formale” stipulazione di un contratto a prestazione corrispettive, alcuni elementi indiziari, privi però delle caratteristiche indefettibili della gravità e della precisione. In particolare, si è rilevato che la documentazione bancaria è di per sè inidonea a dimostrare la diversa causa negoziale sottostante al rapporto formalizzato.

4.1. Invero, per questa Corte, a sezioni unite, la denuncia di violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. può essere prospettata sotto più profili (Cass., sez.un., 24 gennaio 2018, n. 1785). Il giudice di merito può affermare che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni che non siano gravi, precisi e concordanti, incorrendo in un errore di diretta violazione della norma. Il Giudice di merito può, poi, fondare la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto alla conseguenza ignota, sì che la censura ricade ancora nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il terzo caso è quello in cui la critica al ragionamento presuntivo del giudice di merito si concreta in una attività diretta solo ad evidenziare che le circostanze di fatto avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo, allegando una inferenza probabilistica diversa da quella applicata dal giudice, ma in tal caso la censura impinge in un apprezzamento di merito, che riguarda la quaestio facti e si pone nel solco del vizio della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., sez.un., 8053 e 8054 del 2014).

Nella fattispecie in esame, la censura della ricorrente resta nell’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la critica della Agenzia si incentra, fondatamente, proprio sulla assenza dei requisiti di gravità e precisione negli elementi di fatto valorizzati dal giudice di appello.

5.In particolare, il giudice di merito, in contrasto con i richiamati principi giurisprudenziali e con la natura dell’imposizione di cui trattasi, ha del tutto svalutato, non già un mero elemento indiziario offerto dall’Ufficio sull’effettivo prezzo di cessione (diverso da quello dichiarato), ma lo stesso prezzo di cessione di Euro 40.000,00 dichiarato come versato (dall’acquirente) nel rogito notarile (a tal fine non potendosi ritenere dirimente, a contrario, che non vi fosse traccia della percezione della somma “nei conti correnti” dell’alienante).

Infatti, per questa Corte, in materia di simulazione negoziale, specie con riguardo al pagamento del prezzo, la prova negativa costituita dalla documentazione bancaria è di per se stessa inidonea a dimostrare la diversa causa negoziale sottostante al tipo formalizzato, atteso che le risultanze degli estratti conto non hanno alcuna attinenza certa e causalmente efficiente rispetto all’adempimento dell’obbligazione del prezzo, nel negozio, simulato come oneroso che si assume celarne uno gratuito, atteso che la provvista necessaria all’adempimento del prezzo può provenire da tante altre fonti, e può avere come sua destinazione tanti altri canali, non esauribili, nè quelle nè questi, in quelli bancari (Cass., 17 giugno 2002, n. 8665, in motivazione).

Inoltre, pur non essendo precluso in generale alla ricorrente, ai fini della prova liberatoria, anche il ricorso alle dichiarazioni rese da terzi al di fuori del giudizio, la circostanza della presenza di due testimoni al momento della stipulazione del contratto di compravendita non può certo essere considerata un indizio “grave” e “preciso” della stipulazione del contratto dissimulato di donazione, in quanto il Notaio rogante, quale pubblico ufficiale, ha qualificato il negozio quale compravendita.

La dichiarazione resa dalla contribuente dinanzi al Notaio, di avvenuta ricezione del prezzo di compravendita, non può essere definita “generica”, proprio perchè riferita ad un contratto stipulato dinanzi al Notaio.

6. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il secondo ed il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021

 

 

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