Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19222 del 08/09/2010

Cassazione civile sez. I, 08/09/2010, (ud. 11/05/2010, dep. 08/09/2010), n.19222

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.A., rappresentata e difesa dall’Avv. MARRA Alfonso

Luigi, come da procura a margine del ricorso, domiciliato per legge

presso la cancelleria della Corte di cassazione in Roma;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Roma

depositato il giorno 8 febbraio 2007;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 11 maggio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.A. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’Appello che, liquidando Euro 500,00 per circa un anno di ritardo, ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al Tribunale di Napoli dal novembre 2000 al febbraio 2004.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della L. n. 89 della 2001 è inammissibile per inidoneità del quesito. Posto invero che “il quesito di diritto costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata e quindi non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità: ne deriva che la parte deve evidenziare sia il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia, per ciascun motivo di ricorso il principio, diverso da quello posto alla base del provvedimento impugnato, la cui auspicata applicazione potrebbe condurre ad una decisione di segno diverso” (Cassazione civile, sez. 3^, 09 maggio 2008, n. 11535) al richiamato canone non risponde il quesito proposto che si limita ad enunciare un principio generale relativo ai rapporti tra normativa nazionale e Convenzione senza che risulti l’attinenza con la concreta fattispecie.

Il secondo motivo con cui si censura l’individuazione del termine di ragionevole durata del processo operata dal giudice del merito è manifestamente infondato. Premesso che “Ai fini della determinazione della durata ragionevole del processo previdenziale e assistenziale L. n. 89 del 2001, ex art. 2 in conformità alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che interpreta l’art. 6 convenzione europea dei diritti dell’uomo, è ragionevole il termine di tre anni per la durata del giudizio di primo grado e quello di due anni per la durata del giudizio di secondo grado” (Cassazione civile, sez. 1^, 3 gennaio 2008, n. 14) tale principio non è stato certamente violato, dal momento che la Corte d’appello ha ritenuto giustificata, nella fattispecie, una durata di anni due e mesi sei.

Il terzo motivo con il quale si denuncia violazione di legge e difetto di motivazione in quanto la Corte d’Appello non avrebbe correttamente determinato la durata del processo sulla quale parametrare il danno avendo ritenuto di dover considerare solo il tempo eccedente la ragionevole durata mentre, una volta constato che quest’ultima era stata superata, avrebbe dovuto rapportare l’indennizzo all’intera durata del processo in ossequio alla giurisprudenza della Corte europea è manifestamente infondato alla luce del diverso principio enunciato dalla Corte secondo cui “In tema di diritto ad un’equa riparazione in caso di violazione dei termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’indennizzo non deve essere correlato alla durata dell’intero processo, bensì solo al segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole, in base a quanto stabilito dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, di detta legge, conformemente al principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza. Questo parametro di calcolo, che non tiene conto dei periodo di durata “ordinario” e “ragionevole”, non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, e non si pone, quindi, in contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convezione europea dei diritti dell’uomo” (Sez. 1^, Ordinanza n. 3716 del 14/02/2008).

I motivi dal quarto all’ottavo con i quali si deduce violazione della L. n. 89 del 2001 e della Convenzione nonchè difetto di motivazione in relazione alla quantificazione del danno non patrimoniale che il giudice del merito ha determinato in Euro 500,00 per ogni anno eccedente il periodo ritenuto ragionevole, e che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono manifestamente infondati in quanto l’importo in concreto liquidato non si discosta in modo oggettivamente apprezzabile, e quindi rientra nell’ambito della discrezionalità del giudice del merito, da quello (Euro 750,00) che risulterebbe applicando i parametri ritenuti congrui da questa Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840: Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di ritardo, Euro 1.000,00 per ogni anno eccedente).

Con il nono, il decimo e l’undicesimo, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, si deduce violazione della Convenzione e della L. n. 89 del 2001 e difetto di motivazione, in relazione al mancato riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 per la particolare natura della controversia (lavoro e previdenza).

I motivi sono manifestamente infondati, essendosi già affermato dalla Corte che “In tema di equa riparazione per eccessiva durata del processo, le considerazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in merito alla centralità dell’occupazione e sulla relativa opportunità di riconoscere un bonus, svincolato da qualsiasi parametro e dovuto in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia, non determinano alcun automatismo nell’indennizzo: tocca al giudice nazionale valutare caso per caso l’importanza della controversia senza alcun obbligo di motivazione laddove venga esclusa la liquidazione di una somma ulteriore rispetto agli standard fissati dalla Cedu e dalla L. n. 89 del 2001″(Cassazione civile, sez. 1^, 12 gennaio 2009, n. 402).

Gli ulteriori motivi, con cui si denuncia l’insufficiente liquidazione delle spese processuali, sia sotto il profilo del mancato adeguamento agli onorari liquidati dalla Corte europea e comunque alla normativa interna sui limiti tabellari, sia sotto il profilo dalla mancata motivazione in ordine allo scostamento con la nota spese depositata, sono in parte manifestamente infondati e in parte inammissibili; sono infondati sotto il primo profilo in quanto e stato già affermato che “Nei giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la liquidazione delle spese processuali della fase davanti alla corte di appello deve essere effettuata in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano, e non deve tener conto degli onorari liquidati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, i quali attendono al regime del procedimento davanti alla Corte di Strasburgo, posto che la liquidazione dell’attività professionale svoltasi davanti ai giudici dello Stato deve avvenire esclusivamente in base alle tariffe professionali che disciplinano la professione legale davanti ai tribunali ed alle corti di quello Stato” (Cassazione civile, sez. 1^, 11 settembre 2008, n. 23397) e la liquidazione non è stata inferiore ai minimi tabellari;

sono inammissibili sotto il secondo profilo perchè non è stata riprodotta la nota spese sottoposta al giudice a quo, in violazione del principio secondo cui “In tema di controllo della legittimità della pronuncia di condanna alle spese del giudizio, è inammissibile il ricorso per cassazione che si limiti alla generica denuncia dell’avvenuta violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale o del mancato riconoscimento di spese che si asserisce essere state documentate, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, devono essere specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci di tabella degli onorari, dei diritti di procuratore che si ritengono violate, nonchè le singole spese asseritamente non riconosciute” (Sez. 3, Sentenza n. 14744 del 26/06/2007).

Il ricorso deve dunque essere rigettato con le conseguenze di rito in ordine alle spese.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in Euro 600,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2010

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