Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19222 del 07/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 07/07/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 07/07/2021), n.19222

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1342/2015, proposto da:

B.R.G., rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi

Vincenzo ed Emiliano Rossetto, presso cui elettivamente domicilia in

Roma, alla piazza Risorgimento n. 14;

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3339/21/14 della Commissione tributaria

Regionale del Lazio, pronunciata il 23 marzo 2014, depositata il 19

maggio 2014 e non notificata.

Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 28 aprile

2021, dal consigliere Andreina Giudicepietro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

B.R.G. ricorre con due motivi avverso l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza n. 3339/21/14 della Commissione tributaria Regionale del Lazio, pronunciata il 23 marzo 2014, depositata il 19 maggio 2014 e non notificata, che ha accolto l’appello principale dell’ufficio, rigettando quello incidentale della contribuente, in controversia relativa all’impugnativa dell’avviso di accertamento con cui l’ufficio aveva determinato, ai fini Irpef, un maggior reddito per l’anno di imposta 2006, riscontrando l’impiego di personale (nove dipendenti), assunto “in nero”;

a seguito del ricorso, l’Agenzia delle entrate si è costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 28 aprile 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380-bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, la ricorrente denunzia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

secondo la ricorrente, il numero delle dipendenti irregolari, desumibile dalle dichiarazioni delle dipendenti inquadrate, era inferiore a quello determinato dall’ufficio in nove;

con il secondo motivo, la ricorrente denunzia l’omessa pronuncia sui motivi di appello incidentale relativi alla violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, dell’art. 2729 c.c., e del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

secondo la ricorrente, la sentenza impugnata ha violato le norme di cui agli artt. 112 e 132 c.p.c., avendo completamente omesso di pronunciarsi sui motivi posti a fondamento dell’appello incidentale, risultando motivata solo apparentemente;

sostiene, infatti, la ricorrente che la sola presenza di dipendenti in nero non costituisce indice di maggiori ricavi, in assenza di ulteriori gravi riscontri da cui possa emergere che alle lavoratrici irregolari fosse destinata un’eccedenza di produzione, non oggetto di fatturazione;

i motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono in parte inammissibili ed in parte infondati e vanno rigettati;

in primo luogo, deve rilevarsi che la sig. B. è titolare di una ditta che produce abiti da lavoro, biancheria e finiture varie;

la C.t.r. non ha omesso la motivazione in ordine al numero delle lavoratrici irregolari, ritenendo che dalle scritture extracontabili (il brogliaccio ritrovato in sede di ispezione) emergesse che le dipendenti fossero in tutto dodici, di cui solo tre regolari, riformando sul punto la sentenza di primo grado;

la circostanza che tale numero non emerga esattamente dalle dichiarazioni rese dalle lavoratrici inquadrate non appare decisiva, in quanto il convincimento del giudice, in ordine al numero esatto delle lavoratrici irregolari, deriva dalle risultanze del brogliaccio, di cui si dà conto nell’accertamento;

per quanto riguarda, poi, l’omessa pronuncia sulla prova che alle lavoratrici irregolari fosse destinata un’eccedenza di produzione, il motivo appare inammissibile, sotto il profilo del difetto di specificità, in quanto non riporta i motivi di gravame, sui quali la C.t.r. avrebbe omesso la pronuncia (cfr, ex plurimis, Cass. S.U. sent. n. 15781 del 2005; Cass. n. 13609 del 2015; Cass. n. 2313 del 2010; Cass. n. 11659 del 2012; Cass. n. 15112 del 2013; Cass. n. 28663 del 2013; Cass. n. 21257 del 2014; Cass. n. 23989 del 2014);

la censura è, altresì, infondata, atteso che, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico – giuridica della pronuncia (ex multis, Cass. n. 24155 del 2017);

nel caso di specie, la C.t.r. ha espressamente statuito sul rigetto dell’appello incidentale della contribuente, ritenendo che dall’impiego del surplus di personale derivasse un proporzionale aumento della capacità produttiva dell’azienda;

tale statuizione del giudice di appello consente di ritenere infondata anche la dedotta omissione di motivazione, in violazione dell’art. 132 c.p.c.;

invero, l’amministrazione finanziaria ha proceduto ad accertamento con metodo induttivo, sulla base delle scritture extracontabili rinvenute nella sede dell’azienda;

tale accertamento è consentito ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute, ma inattendibili;

come è stato detto, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. c), consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulti da “presunzioni semplici, desumibili anche da documentazione extracontabile ed in particolare da “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. c.c., tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta” (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20094 del 24/09/2014);

nel caso di specie, dal brogliaccio rinvenuto dai verificatori, nonchè dalle dichiarazioni delle dipendenti regolarmente inquadrate, è risultato che la contribuente si avvaleva di personale dipendente irregolare;

in tema di accertamento induttivo del reddito di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. c), il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale può fondarsi anche su presunzioni semplici (cfr. Cass. n. 656 del 15/01/2014; Cass. n. 30803 del 22/12/2017; Cass. n. 3276 del 12/02/2018);

peraltro, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39″ (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4080 del 27/02/2015);

detenere lavoratori “in nero” in azienda, come ritenuto dal giudice di appello, fa ragionevolmente presumere un volume di affari superiore rispetto a quello dichiarato (cfr. Cass. n. 2593 del 2011; vedi anche Cass. n. 30792 del 2019);

dunque, nel caso in esame, la valutazione effettuata dal Giudice di merito, il quale ha ritenuto idoneo elemento indiziario di un maggior reddito la presenza di lavoratori in nero, desunta dal brogliaccio rinvenuto in azienda, appare sorretta da una motivazione sintetica, ma effettiva, adeguata e logicamente non contraddittoria, onde la sua rilevanza, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità;

a fronte dell’accertamento induttivo dell’ufficio, sarebbe stato onere della contribuente dimostrare che la presenza, alle sue dipendenze, di lavoratrici in nero non comportava un maggior volume di affari rispetto a quello dichiarato;

per quanto fin qui detto, il ricorso va complessivamente rigettato;

nulla deve disporsi in ordine alle spese, non avendo l’Agenzia delle entrate svolto attività difensiva.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del doppio importo D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021

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