Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19219 del 21/09/2011

Cassazione civile sez. II, 21/09/2011, (ud. 23/06/2011, dep. 21/09/2011), n.19219

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24272/2005 proposto da:

G.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZALE CLODIO 56, presso lo studio dell’avvocato BONELLI

Benito, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE LUNA

RAFFAELE;

– ricorrente –

contro

P.O., D.V.R., D.V.E., GEPI DI

PIGNATARO O & C SNC in persona del legale rappresentante pro

tempore;

– intimati –

avverso la sentenza n. 145/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 04/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/06/2011 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito l’Avvocato Fernando BONELLI con delega depositata in udienza

dell’Avvocato Benito BONELLI, difensore del ricorrente che ha chiesto

accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l’accoglimento del secondo

motivo rigetto del resto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 9/10/1989 D.V.E. e D.V. R. convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Paola, P.O. e G.G. nonchè la GEPI s.n.c. di Pignataro Oreste per la declaratoria di annullamento, per dolo determinante, di un contratto di compravendita e di ogni altro contratto tra le medesime parti e per lo stesso oggetto, con il quale la GEPI s.n.c. di Pignataro Oreste aveva venduto ad essi attori un suolo edificatorio che doveva essere in massima parte destinato a zona di espansione e che invece non era edificabile; in via subordinata chiedevano la declaratoria di risoluzione dei suddetti contratti per inadempimento della venditrice GEPI essendo stato trasferito un bene diverso da quello pattuito in quanto privo della qualità edificatoria.

Si costituivano i convenuti e contestavano l’avversaria domanda sostenendo che agli attori erano ben note le caratteristiche urbanistiche del suolo oggetto di compravendita.

Il Tribunale di Paola, con sentenza del 9/10/1999 dichiarava la nullità del contratto e della precedente scrittura privata intercorsa tra gli attori e la GEPI s.n.c. condannando la medesima, G.G. e P.O. alla restituzione del prezzo riscosso, pari a L. 58.000.000.

G.G. e P.O. proponevano appello deducendo che il primo giudice aveva erroneamente interpretato la L. L. n. 47 del 1985, art. 18, equiparando l’imprecisione del certificato urbanistico alla sua mancanza, posto che il certificato di destinazione urbanistica allegato all’atto era semplicemente relativo ad una porzione di territorio più vasta; aggiungevano che, comunque, la citata L. n. 47 del 1985, art. 18, era inapplicabile trattandosi di terreno di pertinenza di edifici censiti al NCEU e che non poteva essere dichiarata anche la nullità del preliminare di vendita in quanto la L. n. 47 del 1985, art. 18, non fa riferimento ai contratti preliminari.

Gli appellati resistevano al gravame e proponevano appello incidentale chiedendo l’annullamento del contratto per dolo determinante o, in subordine, la risoluzione dei contratti per inadempimento. Dopo l’integrazione del contraddittorio con la GEPI s.n.c., in quanto parte del processo di primo grado, la Corte di Appello di Catanzaro con sentenza del 14/2/2005 rigettava sia l’appello principale che l’appello incidentale confermando la sentenza appellata.

La Corte rilevava:

– che il certificato urbanistico da allegare all’atto di vendita doveva contenere le prescrizioni riguardanti l’area interessata sotto comminatoria di nullità insanabile e rilevabile di ufficio L. n. 47 del 1985, ex art. 18, mentre il certificato in concreto allegato all’atto di vendita non le conteneva;

– che il bene trasferito non era pertinenza di altri immobili, ma un bene del tutto autonomo e quindi era infondato anche il secondo motivo di gravame nel suo riferimento alla irrilevanza del certificato di destinazione urbanistica per le pertinenze;

– che, per effetto della L. n. 47 del 1985, art. 18, la mancanza di certificato di destinazione urbanistica impediva di ottenere l’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare e quindi il preliminare non poteva ritenersi efficace;

che l’appello incidentale doveva essere rigettato perchè la declaratoria di nullità del contratto precludeva l’esame della sua annullabilità o risolubilità.

G.G. propone ricorso per Cassazione fondato su due motivi; gli intimati non si sono costituiti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione della L. n. 47 del 1985, art. 18, in relazione ai criteri di interpretazione della legge nonchè in relazione agli artt. 1418 e 1427 c.c., e il vizio di motivazione. Al riguardo rileva che sarebbe stata applicata la sanzione di nullità di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 18, in una fattispecie diversa rispetto a quella considerata in quanto il certificato di destinazione urbanistica non mancava, ma era semplicemente impreciso essendo relativo ad una porzione di terreno più ampia (foglio 1, mappale 497) nella quale ricadeva anche la parte di terreno oggetto del negozio; non potendosi e non dovendosi applicare l’art. 18 avrebbe semmai potuto applicarsi la disposizione dell’art. 1427 c.c., che prevede l’annullabilità del contratto concluso per errore.

Il motivo è fondato nel limiti qui di seguito esposti. Per i disposto della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 18, l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica non costituisce una condizione di efficacia, ma un requisito di validità dei negozi traslativi dei terreni, la cui mancanza determina la nullità dell’atto.

Occorre premettere che non è più in discussione che il certificato di destinazione dovesse essere allegato all’atto di trasferimento;

infatti non ha formato oggetto di impugnazione la statuizione dei giudici del merito per la quale, nella fattispecie, non ricorrono le condizioni per escludere l’obbligo di allegazione del certificato di destinazione urbanistica. La disposizione della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 18, comma 2 (poi recepita nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 2) è diretta a reprimere e a scoraggiare gli abusi edilizi attraverso lo strumento della invalidazione degli atti di trasferimento aventi ad oggetto lotti di terreno per l’edificazione;

per questo motivo la nullità che consegue alla mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica (che, salva la discrezionalità dei singoli Comuni, normalmente deve almeno indicare i dati del terreno, la destinazione urbanistica e i parametri urbanistici come l’indice di fabbricabilità) è rilevabile anche di ufficio (cfr. ex multis, Cass. 4811/2001) ed è irrilevante l’acquiescenza dell’acquirente o il suo stato di buona o mala fede.

Infatti, il suddetto certificato, oltre allo scopo di informare le parti sull’assetto urbanistico dell’area, ha altresì lo scopo di informare il Comune sulle vicende negoziali riguardanti l’area, al fine di porre l’ente locale in condizione di svolgere in via preventiva il suo ruolo di autorità che vigila per impedire eventuali speculazioni lottizzazione. Quest’ultima funzione è soddisfatta per il fatto che, attivatasi la richiesta di certificato di destinazione urbanistica, il Comune è avvertito che un determinato terreno è oggetto di negoziazione; le norme garantiscono in ogni caso detta funzione informativa prevedendo che per la validità della dichiarazione sostitutiva del certificato, è necessaria l’attestazione della presentazione della domanda di rilascio al Comune (v. D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 4).

Pertanto nel caso in cui un certificato di destinazione urbanistica sia stato allegato, per contestare che sia stato adempiuto l’onere di allegazione, occorre valutare l’idoneità o meno del certificato che si allega a realizzare il presupposto di validità richiesto in considerazione della finalità che esso riveste nella L. n. 47 del 1985.

Nella concreta fattispecie il certificato di destinazione urbanistica era stato rilasciato dal Comune ed era stato allegato all’atto, ma il giudice di appello ha rilevato che il certificato urbanistico concerneva altra particella originaria, più vasta, seppur comprendente quella compravenduta (pag. 9 della sentenza) e che il certificato di destinazione urbanistica non può riguardare più vasti comprensori di cui l’area compravenduta faccia parte (pag. 10 della sentenza).

In presenza di un certificato di destinazione urbanistica regolarmente rilasciato dall’ente locale e comprendente l’area oggetto dell’atto di trasferimento, non può ritenersi che la mera circostanza che il documento allegato comprenda un’area più vasta possa integrare la nullità comminata dalla legge; per altro verso e sotto il profilo del vizio di motivazione, occorre considerare che la certificazione riguardante la più vasta area può comprendere anche la destinazione urbanistica del terreno oggetto di vendita e che tale certificazione non esclude che siano stati egualmente raggiunti gli scopi informativi sopra evidenziati e a tutela dei quali la Legge commina la sanzione di nullità, specie considerando che la certificazione proviene dal soggetto pubblico destinatario dell’informazione e non dall’alienante.

La declaratoria di nullità dell’atto per mancanza del certificato prescritto è stata pronunciata senza una sufficiente motivazione in ordine alla idoneità o inidoneità del certificato allegato all’atto medesimo, per come richiesto e per i suoi contenuti, a realizzare la sua funzione informativa sia nei confronti dell’acquirente per quanto attiene al regime di edificabilità o d’inedificabilità e alle prescrizioni urbanistiche nell’area oggetto dell’atto, sia nei confronti del Comune in merito alle vicende negoziali relative a tale specifica area.

Sotto questi profili il motivo di ricorso è fondato e, in questi limiti, deve essere accolto.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 18 e il vizio di motivazione; assume che la Corte di Appello avrebbe ingiustamente respinto il terzo motivo di appello sostenendo che la nullità comminata dal citato art. 18 potesse estendersi anche al preliminare di vendita, mentre può estendersi ai soli contratti a effetti, reali e non a quelli con effetti obbligatori come il preliminare di vendita.

Il motivo è fondato.

Occorre qui richiamare la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non vi sono motivi per discostarsi, secondo la quale la disposizione della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 18, comma 2, che sancisce la nullità degli atti tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni, quando ad essi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata, si riferisce esclusivamente ai contratti che determinano l’effetto reale indicato dalla norma e non anche a quelli con effetti obbligatori, come il contratto preliminare di compravendita, (Cass. 24/11/2007 n. 24460); pertanto il preliminare non poteva essere dichiarato nullo per la semplice circostanza della mancanza del certificato di destinazione urbanistica ferma restando la necessità del certificato di destinazione urbanistica per la conclusione del contratto definitivo o per la sentenza di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, di cui all’art. 2932 cod. proc. civ. (v.

Cass. sez. 3^, 9 luglio 1994, n. 6493; Cass. 17/1/2003 n. 628).

In conclusione, il ricorso deve essere accolto con riferimento ad entrambi i motivi e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, anche per il regolamento delle spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro, tenuta ad uniformarsi a principi e ai criteri sopra enunciati.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro, che provvederà anche al regolamento delle spese del presente grado.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2011

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