Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19219 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 19219 Anno 2018
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: IANNELLO EMILIO

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5963/2017 R.G. proposto da
Firinu Giuseppina e Firinu Francesco, rappresentati e difesi dall’Avv.
Giuseppe Fassi, con domicilio eletto in Roma, via Leone IV, n. 38,
presso lo studio dell’Avv. Giovanni Lanave;
– ricorrenti contro
Dolia Enrico, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Antonello Angioni e
Giovanna F. Dessì, con domicilio eletto in Roma, via Sandro Botticelli,
n. 2, presso la dott.ssa Stefania Schinardi;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 19/07/2018

avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari, n. 45/2016,
depositata il 26 gennaio 2016;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 luglio
2018 dal Consigliere Emilio Iannello.
Rilevato in fatto

confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato la
domanda di risarcimento danni, per responsabilità professionale,
proposta dai germani Giuseppina e Francesco Firinu nei confronti del
notaio Enrico Dolia per avere questi omesso di redigere l’inventario
dei beni relitti dalla madre Maria Turco di cui essi avevano accettato
l’eredità con beneficio d’inventario con atto redatto per suo ministero
in data 21/1/2004: del che essi si erano resi conto circa un anno e
mezzo dopo, ricevendo la notifica di atto di precetto con il quale una
banca intimò loro, quali eredi puri e semplici della predetta, il
pagamento in solido di C 478.273,91.
A fondamento della decisione i giudici d’appello hanno posto, in
sintesi, le seguenti considerazioni:
a) la redazione dell’inventario è attività autonoma e distinta dalla
dichiarazione di accettazione beneficiata dell’eredità e non può
ritenersi compresa nell’incarico di ricevere tale dichiarazione (ciò in
particolare potendosi desumere dall’art. 769 cod. proc. civ. che, nel
testo all’epoca vigente, nemmeno prevedeva che all’inventario
potesse procedere un notaio scelto dalla stessa parte);
b) ai sensi dell’art. 1 della legge notarile al notaio è data facoltà di
presentare ricorso per la formazione dell’inventario, quale atto di
volontaria giurisdizione, ciò però sulla base di specifico incarico da
menzionare nel ricorso medesimo, distinto e non riconducibile a
quello di ricevere la dichiarazione di accettazione di eredità con
beneficio d’inventario: distinto incarico nella specie non dimostrato e
neppure dedotto ad oggetto delle prove orali articolate;
2

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Cagliari ha

c) le uniche prove articolate dagli attori, dirette a provare di aver
incaricato il convenuto di eseguire l’inventario, sono da considerarsi
pertanto irrilevanti ai fini di causa «in quanto se tale incarico fosse
stato eseguito, avrebbe comportato la nullità dell’inventario» e
l’accettazione pura e semplice dell’eredità;

deposizioni testimoniali di Giuseppe Firinu (coniuge della defunta
Maria Turco) e di Guido Perrotti (coniuge dell’attrice Giuseppina
Firinu) non pienamente concludenti e attendibili ai fini del giudizio:
ciò in quanto il primo è «direttamente interessato all’esito della
vicenda» ed è comunque generica e contraddittoria la deduzione
istruttoria volta a provare gli avvenuti solleciti per la redazione
dell’inventario, il secondo riferisce

de relato quanto appreso dal

predetto ovvero dalla moglie;
e) con riguardo infine all’incontro col notaio di cui al capo 11
dell’articolato probatorio, non è possibile attribuire alle dichiarazioni
rese in quell’occasione dal Dolia valore confessorio circa la
preesistenza di un vincolo obbligatorio;
f) correttamente infine è stata ritenuta tardiva dal tribunale, in
quanto proposta per la prima volta con la comparsa conclusionale, la
prospettazione dell’inadempimento, da parte del notaio, dell’obbligo
di informare i clienti della procedura per addivenire alla formazione
dell’inventario, costituendo questo un titolo di responsabilità diverso
«rispetto all’inadempimento dell’incarico di redazione dell’inventario
nell’ambito della più ampia fattispecie di accettazione beneficiata
dell’eredità».
2. Avverso tale decisione i germani Firinu propongono ricorso per
cassazione sulla base di cinque motivi, cui resiste l’intimata,
depositando controricorso.
Considerato in diritto
1. I primi tre motivi, tutti ricondotti in rubrica alla previsione di

3

d) condivisibilmente, comunque, il primo giudice ha ritenuto le

cui all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., investono le
valutazioni [sopra sintetizzate alle lettere d) ed e) del § 1 della parte
narrativa della presente sentenza] di inattendibilità o inefficacia
probatoria delle deposizioni rese dai testi Giuseppe Firinu e Guido
Perrotti.
I primi due motivi, in particolare, attengono alla esclusa natura

Perrotti confermando quanto esposto nel capitolo 11 di prova. I
ricorrenti al riguardo si dolgono, con il primo motivo, dell’omessa
spiegazione delle ragioni che impediscono di riconoscere in esse una
confessione stragiudiziale e, con il secondo, di una lettura parziale del
capitolato di prova testimoniale.
Il terzo motivo è diretto poi a censurare la valutazione di
inattendibilità della deposizione resa dal teste Firinu, in quanto, in
tesi, erroneamente fondata solo sul rapporto di parentela con le parti
e sul supposto interesse nei fatti di causa.
2. Il quarto motivo investe la prima delle argomentazioni spese in
sentenza [sopra sintetizzata alla lett. a) del § 1 della parte narrativa],
ossia l’affermata non riconducibilità dell’incarico di redazione
dell’inventario a quello di ricevere l’atto di accettazione di eredità
beneficiata, denunciandosi al riguardo, ai sensi dell’art. 360, comma
primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli
artt. 1176 e 1374 cod. civ..
Sostengono in sintesi i ricorrenti che la diligenza richiesta
nell’esecuzione dell’incarico imponeva al notaio di provvedere a
quanto necessario affinché si producessero gli effetti perseguiti dalle
parti, non potendo addossarsi a queste l’onere di conoscere e
predisporre gli adempimenti relativi all’istanza presentata ai sensi
dell’art. 769 cod. proc. civ..
3. Il quinto motivo investe infine la seconda argomentazione
esposta in sentenza [sopra sintetizzata alla lett. b) del § 1 della parte

4

confessoria delle dichiarazioni rese dal notaio di cui ha riferito il teste

narrativa].
Con esso infatti i ricorrenti contestano, in quanto frutto di omesso
esame di fatto discusso e decisivo ex art. 360, comma primo, num. 5,
cod. proc. civ., l’affermazione secondo cui gli attori non avrebbero
neppure chiesto di provare lo specifico incarico di presentare l’istanza
per la redazione dell’inventario ex art. 769 cod. proc. civ..

di prova articolati nella memoria del 22/1/2007, ai numeri 1, 2, 4 e 5.
4. Il ricorso si espone ad un preliminare rilievo di inammissibilità
perché carente del requisito di contenuto-forma prescritto dall’art.
366, comma primo, num. 3, cod. proc. civ..
Non contiene infatti l’esposizione sommaria dei fatti, ivi richiesta a
pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, allo scopo di
garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa
cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del
fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo
possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. Sez. U.
18/05/2006, n. 11653).
La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero
formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e
completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta
di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al
provvedimento impugnato (Cass. Sez. U. 20/02/2003, n. 2602).
Stante tale funzione, per soddisfare detto requisito è necessario
che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico
o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese
delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le
hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di
ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi
della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle
argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la
5

Rilevano infatti che a tal fine erano da considerarsi diretti i capitoli

sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed
infine del tenore della sentenza impugnata.
Nel caso di specie il ricorso, nell’esposizione del fatto, non rispetta
tali contenuti.
Questa infatti si risolve:
a)

nella esposizione sintetica dei fatti che hanno preceduto

b) nella indicazione sintetica delle domande svolte con l’atto
introduttivo del giudizio (pag. 2, in fine);
c) nella indicazione del decisum del primo giudice (rigetto della
domanda)(pag. 3, righi 5-6);
d) nella menzione delle richieste formulate con l’atto d’appello
(pag. 3, righi 7-9);
d) nella altrettanto sintetica indicazione del decisum della Corte
d’appello (rigetto del gravame)(pag. 3 righi 10-12);
In tal modo risulta non solo omessa l’indicazione dei fatti di
causa, delle difese ed eccezioni opposte dal convenuto, delle ragioni
in fatto e diritto poste a fondamento delle une e delle altre, ma viene
anche impedita la ricostruzione delle ragioni della decisione di primo
grado e non vengono nemmeno in alcun modo riferiti il contenuto dei
motivi di appello, le difese svolte dall’appellato, le motivazioni della
sentenza d’appello.
Né tale vistosa lacuna può essere superata procedendosi alla
lettura dei motivi di ricorso e valutando se da essi sia possibile
percepire il fatto sostanziale e processuale.
Come è stato al riguardo condivisibilmente già rimarcato, «non è
sostenibile l’idea che la Corte di cassazione, di fronte ad un ricorso
caratterizzato da una parte dedicata all’esposizione del fatto nei
termini inutilmente riproduttivi di atti del giudizio di merito, non
dovrebbe rilevare che non si è assolto al requisito dell’art. 366 num. 3
cod. proc. civ. ma dovrebbe, nonostante una simile fattura del
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l’azione giudiziale (pagg. 1-2);

ricorso, passare alla lettura del o dei motivi, per valutare se la
relativa illustrazione soddisfi quel requisito.
«Tale prospettazione, se fosse congrua, segnerebbe la negazione
stessa della rilevanza del principio di diritto sopra enunciato, perché si
risolverebbe semplicemente nella conclusione dell’irrilevanza della
adozione da parte del ricorrente di una tecnica di assolvimento del

riproduzione di atti del merito.
«Ne deriverebbe che il principio di diritto affermato dalle Sezioni
Unite non sarebbe mai applicabile. Né potrebbe predicarsene
un’applicazione condizionata all’esito della lettura dell’illustrazione dei
motivi, perché ciò equivarrebbe a ritenere che è la mancanza
dell’esposizione del fatto in detta illustrazione ad assumere rilievo
decisivo e non l’assemblaggio o l’indiscriminata riproduzione degli atti
del giudizio di merito a costituire inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n.
3» (Cass. 22/02/2016, n. 3385).
5. Indipendentemente da tale preliminare e assorbente
considerazione può comunque altresì rilevarsi l’inammissibilità e/o
l’infondatezza dei motivi tutti di ricorso, sotto diversi profili.
5.1. I motivi primo, secondo, terzo e quinto prospettano vizi
motivazionali non più deducibili alla stregua del nuovo testo dell’art.
360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., quale risultante dalla
modifica introdotta dall’art. 54, comma 1, lett.

b), d.l. 22 giugno

2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012,
n. 134 (applicabile ai ricorsi proposti avverso sentenze depositate
dall’Il settembre 2012).
Circa la portata innovativa di tale riforma le Sezioni Unite di
questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 19881 del 2014, seguite
da numerose conformi delle sezioni semplici, hanno come noto
enunciato i seguenti princìpi:
a) la riformulazione dell’art. 360, comma primo n. 5, deve essere
7

requisito del n. 3 mediante individuazione del fatto tramite la

interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12
preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla
motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia
motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si
tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene

sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e
si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di
«sufficienza», nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto
materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto
irriducibile fra affermazioni inconciliabili», nella «motivazione
perplessa ed obiettivamente incomprensibile»;
b) il nuovo testo dell’art. 360, comma primo n. 5, introduce
nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di
un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal
testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a
dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della
controversia);
c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio
di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in
causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché
la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
d) la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle
previsioni di cui all’art. 366, primo comma n. 6, e art. 369, secondo
comma n. 4 cod. proc. civ. – il fatto storico, il cui esame sia stato
omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza,
il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato
oggetto di discussione tra le parti, e la decisività del fatto stesso.
Nel caso in esame è del tutto evidente che con i primi tre motivi
— ben al di là del contenuto e dei limiti dell’invocato paradigma
8

all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della

censorio — si contesta la valutazione data dal giudice di merito delle
prove raccolte ovvero il mero giudizio di attendibilità dei testi,
risolvendosi le doglianze nella sollecitazione di una nuova valutazione
degli elementi di prova, ovviamente inammissibile in questa sede.
5.2. Peraltro dette censure investono una

ratio decidendí

quella principale [v. supra § 1 lett. c) nella parte narrativa della
presente sentenza] rappresentata dalla irrilevanza ai fini di causa
delle prove in questione, motivata sostanzialmente dal rilievo che
quand’anche tale incarico fosse stata effettivamente dato e fosse
stato eseguito, non avrebbe comunque condotto al fine sperato,
poiché si sarebbe trattato, nel contesto normativo descritto, di un
inventario nullo in quanto redatto al di fuori delle procedure
prescritte.
5.3. Il quinto motivo poi intende contestare, come detto,
l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui gli appellanti non
hanno neppure chiesto di provare di aver conferito specifico incarico
formale al dott. Dolia per la presentazione di un ricorso al tribunale
per la nomina dell’ufficiale designato la redazione dell’inventario.
A confutazione di tale affermazione i ricorrenti trascrivono i
capitoli di prova dedotti con atto difensivo depositato in primo grado
(non altrimenti indicato se non come «memoria 22.1.07»).
È agevole rilevare che, al di là della evidente genericità delle
circostanze dedotte nei primi tre di tali capitoli (ove si parla di
«adempimenti necessari per la pratica di accettazione con beneficio
d’inventario») e della estraneità a tale prospettazione di quella
dedotta ad oggetto del quarto (diretta a provare che il notaio avrebbe
assicurato il teste Giuseppe Firinu «di avere già presentato presso il
tribunale competente la richiesta di proroga dei termini di legge per la
redazione dell’inventario»), in ogni caso la censura non attinge l’altro
e prioritario rilievo secondo cui il conferimento di detto distinto
9

dichiaratamente aggiuntiva e secondaria e non attingono invece

specifico incarico non è stato comunque provato.
In tale diversa prospettiva nessuna specifica doglianza è svolta in
ricorso ed è dunque ultroneo rilevare che, comunque, i ricorrenti non
riferiscono se e quale provvedimento su dette richieste istruttorie sia
stato preso in primo grado, né soprattutto riferiscono se e in che

5.4. Il quarto motivo è poi inammissibile in quanto non coglie la
ratio decidendi sul punto esposta in sentenza.
È bensì vero che l’adempimento secondo diligenza dell’incarico di
ricevere l’atto di accettazione con beneficio d’inventario impone al
notaio, in una prospettiva finalistica, di illustrare al cliente il
contenuto e gli effetti dell’atto, avvertendolo dunque anche degli
ulteriori adempimenti necessari affinché lo scopo perseguito possa
essere raggiunto.
Non in altro però nella specie tale prestazione accessoria si
sarebbe potuta esplicare se non, appunto, nella adeguata
informazione dei clienti sugli adempimenti da compiersi
successivamente, sulle relative modalità e termini, essendo escluso in
particolare che alla redazione dell’inventario potesse comunque lo
stesso notaio utilmente procedere direttamente, nel contesto
normativo all’epoca vigente, quale correttamente ricostruito dai
giudici di merito.
Su ciò del resto convengono espressamente gli stessi ricorrenti,
affermando essere ad essi «certamente noto … che il notaio non può
redigere l’inventario se non previa delega da parte dell’autorità
giudiziaria». (v. pagg. 30-31 del ricorso).
In tali termini necessariamente inteso, però, l’assunto posto a
fondamento della censura (secondo cui l’adempimento secondo
diligenza dell’incarico diretto alla redazione dell’atto di accettazione
con beneficio d’inventario implicava per il notaio di provvedere a
quanto necessario affinché si producessero gli effetti perseguiti dalle

10

termini la questione sia stata poi riproposta in appello.

parti) in realtà non è affatto contraddetto dalla sentenza impugnata,
nella quale invero è chiaramente evidenziato (vedi pagina 10, primo
capoverso) che, in capo al notaio, doveva ritenersi sicuramente
sussistente «l’obbligo di informare i clienti e la procedura per
addivenire alla formazione dell’inventario, prospettando loro la

sua nomina o quella del cancelliere ovvero la possibilità di dargli
l’incarico di presentarlo, ragguagliandoli peraltro sui termini sulle
gravi conseguenze scaturenti dalla mancata, tempestiva redazione
dell’inventario».
Il rigetto sotto tale profilo della domanda è invero motivato in
sentenza sulla base del diverso rilievo — in sé non fatto segno di
alcuna specifica censura — che «l’inadempimento degli obblighi
informativi costituisce un titolo di responsabilità diverso rispetto
all’inadempimento dell’incarico di redazione dell’inventario,
trattandosi di fatto nuovo che, come tale, avrebbe dovuto essere
allegato, a pena di decadenza, nell’atto introduttivo del giudizio».
6. Per le considerazioni svolte deve in definitiva pervenirsi alla
declaratoria di inammissibilità del ricorso, con la conseguente
condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente,
delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Ricorrono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, legge 24
dicembre 2012, n. 228, per l’applicazione del raddoppio del contributo
unificato.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al
pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in Euro 3.000 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro
200,00, ed agli accessori di legge.
11

possibilità di presentare direttamente ricorso al giudice chiedendo la

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso

Così deciso il 3/7/2018
Il Presid te
(Giacomo

12

vaglino)

articolo 13.

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