Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19219 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 17/07/2019, (ud. 30/05/2019, dep. 17/07/2019), n.19219

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SAJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23253 del ruolo generale dell’anno 2017

proposto da:

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello

Stato, presso i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi,

n. 12;

– ricorrente –

contro

Compagnia per l’energia rinnovabile s.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti

Gaetano Barone e Guglielmo Barone per procura speciale allegata al

ricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Sicilia n. 1022/16/2017, depositata il giorno 20

marzo 2017;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno 30

maggio 2019 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

Fatto

RILEVATO

che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle dogane aveva notificato a Compagnia per l’energia rinnovabile s.r.l. (di seguito CER s.r.l.) un atto di irrogazione di sanzioni per maggiore Iva all’importazione accertata con avviso di rettifica, avendo rilevato che i beni importati (pannelli fotovoltaici) non erano destinati alla diretta installazione, ma erano stati rivenduti alla Tecno risorse s.r.l., sicchè non correttamente la società contribuente aveva applicato l’Iva agevolata del dieci per cento, dovendo invece applicare l’Iva ordinaria; avverso il suddetto atto impositivo la società contribuente aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Siracusa, che lo aveva accolto; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle dogane aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Siracusa, ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: ai fini della decisione, occorreva valutare quale fosse l’effettiva attività svolta dalla società contribuente; dall’atto costitutivo e dallo statuto della società si evinceva che la stessa svolgeva attività di realizzazione, conduzione e manutenzione di impianti per la produzione e la trasformazione dell’energia elettrica; dall’esame del contratto stipulato tra CER s.r.l. e Tecno risorse s.r.l. si evinceva che la stessa assumeva il ruolo di contraente generale, in forza del quale stipulava contratti con altri soggetti per la realizzazione dell’opera, assumendo la responsabilità anche della fornitura di tutti i materiali, i lavori, gli equipaggiamenti ed i servizi generali per la realizzazione dell’opera, potendo delegare parte della realizzazione dei lavori a subcontraenti o altre aziende specializzate; dalla documentazione in atti si evinceva che CER s.r.l. si era avvalsa dell’opera di altri soggetti per installare i pannelli acquistati; a conferma della considerazione espressa vi erano anche le risultanze della pronuncia del tribunale penale da cui poteva evincersi che la società contribuente non si era limitata alla mera fornitura del materiale acquistato, ma aveva provveduto all’installazione in un impianto fotovoltaico; dichiarava assorbite le ulteriori questioni.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;

in particolare, viene evidenziato che la sentenza non ha preso in considerazione la circostanza, dedotta nell’atto di appello, che nella descrizione del prodotto oggetto di compravendita, riportato in tutte le fatture, era unicamente riportata la dicitura “acquisto di pannelli fotovoltaici policristallini”, senza che fosse stato fatto riferimento ad una eventuale installazione degli stessi da parte della società contribuente, nonchè il fatto che le suddette fatture facevano riferimento a specifiche clausole contrattuali che attenevano espressamente alla vendita dei pannelli fotovoltaici e non ad una immediata installazione;

il motivo è inammissibile;

sebbene non espressamente indicato nella rubrica del presente motivo di censura, lo stesso va ricondotto nell’ambito della previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo parte ricorrente censurato la sentenza per non avere esaminato il fatto, ritenuto decisivo, circa l’esatto contenuto delle fatture emesse dalla contribuente;

va quindi osservato che alla fattispecie in esame si applica la previsione di cui all’art. 348 – ter c.p.c., comma 5, atteso che risulta dagli atti che il giudizio di appello è stato depositato in data 4 novembre 2013, quindi introdotto in data successiva all’11 settembre 2012, come disposto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2;

la previsione in esame dispone che la disposizione di cui al comma 4, relativa ai limiti di ricorso in cassazione per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), trova applicazione anche per il ricorso in cassazione avverso la sentenza di appello che conferma, per le stesse ragioni di fatto, la decisione di primo grado;

il giudice del gravame, invero, ha statuito sulla questione confermando la decisione del giudice di primo, avendo accertato, in fatto, che la società contribuente svolgeva attività non di mero acquisto di pannelli fotovoltaici, ma anche di successiva installazione in un impianto fotovoltaico;

secondo l’orientamento già espresso da questa Corte, nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dall’art. 348 – ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. civ., 15 maggio 2019, n. 13040; Cass. civ., n. 26774/2016; Cass. civ. n. 5528/2014);

nell’articolare il presente motivo di ricorso la ricorrente non ha dimostrato che le ragioni di fatto addotte dai giudici di merito siano diverse, incorrendo, in tal modo, nella non utilizzabilità del motivo di censura in esame configurata dal sopra citato art. 348 – ter c.p.c.;

con il secondo motivo si censura la sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 16,comma 2, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, Tabella A, parte III, punti 127 – quinquies e sexies e della nota 1072 della Tariffa doganale, per non avere rilevato che la società contribuente non si era conformata agli obblighi che imponevano la corretta compilazione della dichiarazione doganale di importazione, inserendo il codice CADD nel campo 33, indicando in tal modo la destinazione d’uso del bene, necessaria al fine di potere godere dell’agevolazione;

il motivo è inammissibile;

lo stesso, invero, prospetta una ragione di censura alla sentenza impugnata senza osservare il principio di specificità, non avendo riprodotto in questa sede l’atto di irrogazione della sanzione da cui evincere che la questione in esame era stata posta a fondamento della pretesa sanzionatoria fatta valere;

il mancato rispetto del principio di specificità non consente a questa Corte di apprezzare la rilevanza della questione;

in conclusione, il primo e secondo motivo sono inammissibili, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessive Euro 5.600,00, oltre spese forfettarie nella misura del quindici per cento e accessori.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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