Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19216 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 19216 Anno 2018
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: IANNELLO EMILIO

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20054/2016 R.G. proposto da
Gabrielli Silvana, Gabrielli Franca, Gabrielli Emanuela, Gabrielli Gino,
Gabrielli Paolo, Gabrielli Serenella e Gabrielli Alberta, rappresentati e
difesi dall’Avv. Alessandro Gracis di Conegliano, con domicilio eletto
in Roma, via Monte Zebio, n. 9, presso lo studio dell’Avv. Giorgio de
Arcangelis;
– ricorrenti –

contro
Provincia Autonoma di Trento, rappresentata e difesa dall’Avv. Kurt
Aschbacher, con domicilio eletto in Roma, via Federico Confalonieri,

Data pubblicazione: 19/07/2018

n. 5, presso lo studio dell’Avv. Luigi Manzi;
– controricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento, n. 23/2016,
depositata il 27 gennaio 2016;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 luglio
2018 dal Consigliere Emilio Iannello.

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Trento ha
confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato la
domanda degli odierni ricorrenti volta alla condanna della Provincia
Autonoma di Trento al risarcimento dei danni patiti iure proprio in
conseguenza della morte del fratello Fiorenzo Gabrielli, a seguito di
incidente sul lavoro.
Il tragico evento si era verificato il 10/7/2009 allorquando il
predetto, dipendente dell’ente territoriale, nel corso di operazioni di
disboscamento dirette in particolare a movimentare due tronchi di
circa 4 m ciascuno agganciati ad una gru a cavo mobile, essendosi
questi impuntati su una ceppaia, usciva imprudentemente dal suo
riparo, dopo aver ordinato al caposquadra addetto a manovrare la gru
di fermare il tiro, per valutare la situazione e cercare di disincagliarli,
ma veniva mortalmente colpito dei tronchi che, nel frattempo mossisi,
si giravano con forza facendo perno sulla ceppaia.
Rigettando i vari motivi di gravame diretti a ribadire la
prospettata responsabilità dell’ente (per non aver provveduto a
un’adeguata attività di formazione e informazione del dipendente; per
la mancanza di un documento di valutazione dei rischi e la mancata
adozione in cantiere di un chiaro e condiviso codice di segnalazione
verbale tra i vari operatori; per la condotta colposa tenuta
nell’occorso dall’addetto alla manovra della gru, per avere questi
soltanto fermato ma non anche allentato il tiro; per la mancata
adozione di più efficaci sistemi di comunicazione tra gli addetti; per la
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Rilevato in fatto

mancata adozione di un migliore sistema di carico dei tronchi; infine,
per non avere l’ente convenuto offerto adeguata prova di aver fatto
tutto il possibile per evitare o prevenire il danno ovvero della sua
dipendenza da caso fortuito), la Corte territoriale ha in sintesi ritenuto
che l’evento fosse riconducibile esclusivamente all’improvvido
comportamento della vittima che, intenta ad operare in condizioni di

abitualmente espletate e per le quali era sicuramente competente, ha
con la propria incauta azione dato vita a un fatto estraneo alla sfera
di vigilanza del presunto danneggiante, in quanto avente «carattere
di imprevedibilità e assoluta eccezionalità e da solo idoneo a
cagionare l’evento».
Avverso tale decisione i congiunti della vittima propongono ricorso
per cassazione articolando otto motivi, cui resiste la Provincia
Autonoma di Trento, depositando controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis.1
cod. proc. civ..
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art.
360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., «nullità della sentenza
per motivazione apparente sul dovere del datore di lavoro di formare
ed istruire il lavoratore con riferimento alla specifica mansione
dell’esbosco».
Lamentano che, a fronte delle doglianze sul punto svolte (circa
l’irrilevanza o l’incompletezza della documentazione prodotta da
controparte, nonché delle deposizioni testimoniali rese sul punto dai
colleghi della vittima), la Corte d’appello si è limitata a un generico
richiamo della documentazione prodotta agli atti, risultando
impossibile comprendere a quali documenti e a quali parti degli stessi
essa faccia riferimento.
Affermano che, peraltro, nessuno dei documenti citati
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sicurezza, per un tipo di intervento rientrante tra le attività

genericamente dalla Corte concerne la specifica attività di esbosco e
da nessuno di essi, in particolare, risulta alcuna procedura codificata
con riguardo alla segnaletica da adottare, ma piuttosto si desume la
previsione di uno specifico dovere dell’arganista di allentare la fune in
caso di tensione anomala.

360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., «violazione del principio
secondo il quale il datore di lavoro deve formare ed istruire il
lavoratore con riferimento alla specifica mansione, prima di adibirlo
alla medesima» (artt. 15, 36, 37 e 73 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81),
nonché violazione degli artt. 2087 cod. civ. e 116 cod. proc. civ..
Lamentano che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto
adempiuti gli obblighi di formazione e informazione gravanti sul
datore di lavoro, sulla base dei documenti sopra menzionati, i quali
però — essi assumono — non riguardano corsi di formazione attinenti
alla specifica mansione dell’esbosco, né prevedono alcuna segnaletica
specifica e alcuna procedura codificata per le relative operazioni, ma
semmai l’obbligo per l’arganista di allentare la fune in caso di
anomala tensione.
Deducono che altresì erroneamente la Corte ha imputato a
negligenza del lavoratore la mancata partecipazione ai corsi, dal
momento che tale assenza avrebbe solo potuto comportare l’indizione
di altro corso ovvero l’impossibilità di adibire il dipendente alla
mansione dell’esbosco.
2.1. Le censure, congiuntamente esaminabili, sono inammissibili,
sotto diversi profili.
Il vizio di motivazione omessa o apparente ex art. 132 n. 4 cod.
proc. civ. è configurabile quando manchi del tutto una motivazione
ovvero questa non consenta in nessuna misura di comprendere quale
sia la ragione della decisione adottata mentre non può configurarsi
nel caso in cui la dedotta omissione riguardi solo una o alcune
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2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art.

delle questioni poste.
Nel caso di specie non può comunque dubitarsi che una
motivazione esista e che non sia meramente apparente, consentendo
la stessa di comprendere quale sia la ragione della decisione adottata
(la Corte ha in breve ritenuto documentata in atti la prassi

propri dipendenti, regolarmente invitati a parteciparvi; essa fa inoltre
particolare riferimento al documento n. 8, «esbosco con gru», che
specificamente prevede che in caso di impuntamento del carico,
prima di eseguire qualsiasi operazione, la fune di traino va allentata e
prescrive che l’arganista non debba compiere alcuna operazione se
non dopo aver consultato la stazione di carico o manchi con questa
un collegamento: «prescrizioni di cui il Gabrielli — si rimarca in
sentenza — prese visione sottoscrivendo detti documenti»).
È, piuttosto, evidente che con le censure mosse (come dimostra
del resto il secondo motivo, che postula vizio di per sé ovviamente
contraddittorio e incompatibile con quello di motivazione apparente di
cui al primo motivo) si intende contestare la correttezza di tale
motivazione, prospettandosi (e sollecitandosi) una diversa valutazione
di merito degli elementi acquisiti.
Può peraltro rilevarsi che le doglianze, richiamando il contenuto di
numerosi documenti, non rispettano l’onere imposto dall’art. 366,
comma primo, n. 6, cod. proc. civ., avendo i ricorrenti omesso di
trascriverne o quantomeno riassumerne in modo esaustivo il
contenuto — se non nei limiti di brevi incisi insufficienti a consentirne
una obiettiva e completa verifica —, né avendo essi dato adeguate
indicazioni sulla rispettiva localizzazione nel fascicolo processuale.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360,
comma primo, num. 3, cod. proc. civ., «violazione del principio
secondo cui il datore di lavoro deve redigere il documento di
valutazione dei rischi che individui le precise procedure per

dell’azienda di indire vari corsi di formazione ed informazione per i

l’attuazione delle misure di sicurezza in ispecie con riguardo alla
segnaletica da utilizzare, al suo significato e ai comportamenti
generali e specifici da seguire» (artt. 28, 164 e 162 e Allegato XXXI
d.lgs. n. 81 del 2008), nonché violazione dell’art. 2087 cod. civ..
Lamentano, in sostanza, che erroneamente la Corte d’appello

che distingue tre comandi («tira», «ferma» e «allenta» o «rilascia») e
che in particolare esclude che il comando «allenta» possa ritenersi
ricompreso in quello di «ferma», in assenza di supporto probatorio al
riguardo, essendosi con l’atto d’appello dedotto che dalla
documentazione in atti non risultava alcuna procedura codificata di
segnalazione, né tantomeno alcuna indicazione di segnalazione
verbale.
3.1. Anche questo motivo è inammissibile.
Lungi dal far emergere una erronea applicazione delle norme
indicate in rubrica, la doglianza investe esclusivamente la ricognizione
del fatto e segnatamente la valutazione, di merito, della effettiva
adozione da parte degli operatori di un sistema di comunicazione che
distingueva e prevedeva la necessità dei tre comandi.
4. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art.
360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., «omessa pronunzia o
motivazione apparente in ordine alla violazione da parte dell’arganista
Giacomelli del dovere di allentare la fune in caso di anomala tensione
della medesima», in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. o dell’art.
111, sesto comma, Cost..
Lamentano che la Corte, pur avendo ben individuato la doglianza
degli appellanti circa l’esistenza di uno specifico e autonomo dovere in
capo al gruista Giacomelli di allentare la fune in caso di tensione
anomala, indipendentemente dall’ordine che gli fosse pervenuto da
valle, nulla ha statuito in merito, con ciò incorrendo nel denunciato
vizio di omessa pronuncia.

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abbia postulato l’esistenza di un codice segnaletico tra gli operatori

Deducono in subordine, anche sul punto, vizio di motivazione
apparente, posto che la specifica doglianza fatta valere con il quinto
motivo d’appello non era quella di non avere (il gruista) eseguito
l’ordine dato dal Gabrielli ma quella di non aver proceduto
autonomamente e tempestivamente all’allentamento della fune.

comma primo, num. 3, cod. proc. civ., «violazione del principio per
cui il datore di lavoro e il suo preposto hanno l’obbligo di dare
attuazione a quanto previsto nel piano di sicurezza e in ispecie alla
misura preventiva ivi prevista dell’immediato allentamento della fune
da parte dell’arganista in ipotesi di anomala tensione della medesima
(artt. 2087 e 2049 cod. civ.)».
Lamentano che la Corte d’appello ha escluso la responsabilità
datoriale erroneamente postulando che l’arganista dovesse
provvedere all’immediato allentamento della fune solo in presenza di
una segnalazione in tal senso proveniente dal Gabrielli, laddove
invece dalla scheda di analisi dei rischi e dal piano generale di
sicurezza poteva desumersi l’obbligo per l’arganista di provvedere
autonomamente in tal senso, non appena fosse emersa dalla
strumentazione a sua disposizione una anomala tensione.
5.1. Il quarto e il quinto motivo, congiuntamente esaminabili,
sono anch’essi inammissibili.
Essi invero non investono l’autonoma ratio decidendi esposta in
sentenza (pag. 14) secondo cui «quand’anche per mera ipotesi si
volesse ritenere necessario un allentamento del capo» (per iniziativa
— è da intendersi — dello stesso arganista, indipendentemente
dall’ordine ricevuto dal Gabrielli, secondo la tesi qui riproposta dai
ricorrenti) «è evidente che si sarebbe trattato di un’operazione
separata e distinta dal solo fermo, richiedente quindi la necessità
dell’utilizzo di apposito comando, il che avrebbe richiesto un minimo
di tempo», lasso temporale che invece nel tragico occorso non si ebbe

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5. Con il quinto motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360,

a disposizione posto che — prosegue la sentenza — «purtroppo, forse
per l’eccessiva sicurezza nella propria esperienza, il Gabrielli, subito
dopo aver dato il comando “ferma”, è contestualmente uscito allo
scoperto … ed immediatamente è stato colpito dal rimbalzo, in una
sequenza di pochissimi secondi al punto che inutile è stato

Indipendentemente dal superiore assorbente rilievo è comunque
certamente da escludere la configurabilità di un vizio di omessa
pronuncia, avendo la Corte d’appello chiaramente affermato il
convincimento secondo cui spettasse al Gabrielli dare il comando di
«allenta», distinto e in aggiunta a quello di «ferma», con ciò
evidentemente respingendo l’opposta tesi posta a fondamento del
motivo di gravame che qui si assume non esaminato.
Altresì palesemente infondata è la subordinata censura di
motivazione apparente, per le ragioni già sopra spiegate.
Anche in relazione al tema in esame la censura di violazione di
legge si risolve poi nella mera prospettazione (e nella conseguente
inammissibile sollecitazione a questa Corte) di una diversa
valutazione di merito.
6. Con il sesto motivo i ricorrenti deducono ancora, in relazione
all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., «omessa
pronunzia o motivazione apparente in ordine al dovere di direzione e
sorveglianza del cantiere da parte del datore di lavoro e dei suoi
preposti», nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 19 d.lgs. n.
81 del 2008 e degli artt. 2049, 2087, 2050 e 2051 cod. civ..
7. Con il settimo motivo i ricorrenti denunciano altresì, ai sensi
dell’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ. «mancata
pronunzia o motivazione apparente in ordine alla violazione del
dovere di scegliere il migliore percorso per la modalità di esbosco con
gru a cavo».
Lamentano che la Corte, pur avendo ben individuato la doglianza
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l’immediato avvertimento lanciatogli dal collega Vaia».

degli appellanti circa la violazione dell’obbligo precauzionale di
scegliere il percorso migliore per il sistema di esbosco adottato, nulla
ha statuito in merito, con ciò incorrendo nel denunciato vizio di
omessa pronuncia.
Deducono in subordine, anche sul punto, vizio di motivazione
apparente, essendo del tutto incomprensibile il richiamo in sentenza

doglianza.
7.1. Entrambe le censure di omessa pronuncia, dedotte con il
sesto e il settimo motivo, sono inammissibili.
Non viene infatti riportato, per nessuna di esse, il motivo di
gravame che sarebbe stato ignorato dalla Corte di merito.
Costituisce al riguardo principio incontrastato nella giurisprudenza
di questa Corte, quello secondo cui è inammissibile, per violazione del
criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si
lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più
motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella
loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che
le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza
dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di
ufficio o di parte (Cass. 20/08/2015, n. 17049; 17/08/2012, n.
14561).
Quanto poi al vizio di motivazione apparente contestualmente
denunciato vale quanto già evidenziato in relazione al primo motivo,
potendosi peraltro rilevare che quello dedotto con il sesto motivo non
viene nemmeno in alcun modo illustrato, tanto da doversi
verosimilmente imputare a mero refuso la sua indicazione nella
relativa intestazione.
8. Con l’ottavo motivo i ricorrenti deducono infine, ai sensi
dell’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., «violazione del
principio dell’inversione dell’onere della prova e del nesso di
9

all’allegato IOAS 38, privo di significato in ordine alla specifica

causalità» (artt. 2087, 2050 e 2051 cod. civ., artt. 40 e 41 cod.
pen.), per avere la Corte d’appello ritenuto l’evento riconducibile
esclusivamente all’improvvido comportamento della vittima e
l’idoneità dello stesso a costituire caso fortuito idoneo ad escludere la
responsabilità dell’ente ai sensi degli artt. 2050 e 2051 cod. civ..

prima delle due rationes decidendi sul punto esposte in sentenza, la
quale infatti ha giudicato inammissibile il motivo di gravame con il
quale si svolgeva la tesi difensiva qui riproposta in punto di (prova
del) nesso causale, poiché: a) «genericamente formulato senza
specifico riferimento ai capi di sentenza che avrebbero violato i
principi sanciti dalle norme invocate»; b) trascura qualsiasi
riferimento all’art. 2087 cod. civ., del quale peraltro la Corte
incidentalmente rileva l’inapplicabilità alla fattispecie, «non essendo
gli attori, non eredi del defunto, subentrati nei suoi rapporti giuridici»;
c) si limita in poche righe a riportare alcune massime della Suprema
Corte sugli artt. 2050 e 2051 cod. civ., lamentando che la Provincia
Autonoma di Trento non abbia provveduto a «comprovare tutta una
serie di circostanze», non meglio specificate né individuabili.
9. Per le considerazioni che precedono il ricorso va in definitiva
rigettato.
La peculiarità della vicenda giustifica l’integrale compensazione
delle spese processuali.
Ricorrono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, legge 24
dicembre 2012, n. 228, per l’applicazione del raddoppio del contributo
unificato.
P.Q.M.

rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
lo

Anche tale motivo è inammissibile, non confrontandosi con la

sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello

CI)

dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo
13

Così deciso il 3/7/2018

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