Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19215 del 21/09/2011

Cassazione civile sez. II, 21/09/2011, (ud. 22/06/2011, dep. 21/09/2011), n.19215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24447/2005 proposto da:

D.S.R. (OMISSIS), D.V.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE TRIONFALE 123, presso lo studio dell’avvocato

ROSELLI NICOLA, rappresentati e difesi dagli avvocati DI RISIO

Giuseppina, LABBATE STEFANO;

– ricorrenti –

contro

L.M.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 1, presso lo studio dell’avvocato

MARCHIONE MAURO, rappresentata e difesa dagli avvocati RAIMONDI

Felice, BRACONE ANDREA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 441/2004 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 24/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

22/06/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;

udito l’Avvocato DI RISIO Giuseppina, difensore dei ricorrenti che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato MARCHESE Mauro, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato RIMONDI Felice, difensore della resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento 1 motivo; assorbito

il 2^ motivo del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 27 aprile 2001 il Tribunale di Vasto – adito da L.M.M. nei confronti di D.V.F. e D.S.R. – condannò i convenuti a rimuovere dal terrazzo annesso all’appartamento di loro proprietà una struttura in legno, in quanto posta a distanza minore di quella legale da un balcone della sovrastante unità immobiliare dell’attrice.

Impugnata dai soccombenti, la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello dell’Aquila, che con sentenza del 24 giugno 2004 ha rigettato il gravame. A tale conclusione il giudice di secondo grado è pervenuto ritenendo tra l’altro (per quanto ancora rileva in questa sede): che non poteva essere presa in considerazione, in quanto prospettata per la prima volta in appello, la tesi di D.V. F. e D.S.R., circa l’avvenuta costituzione per destinazione del padre di famiglia di un diritto di servitù che consentisse loro di mantenere il manufatto in questione così come realizzato; che la struttura oggetto della causa aveva la natura di una vera e propria costruzione, non assimilabile a una semplice pensilina.

D.V.F. e D.S.R. hanno proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi. L.M.M. si è costituita con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso D.V.F. e D.S. R. deducono che la Corte d’appello ha erroneamente reputato precluso, in quella sede, il tema della servitù, acquisita per destinazione del padre di famiglia, la quale consentiva loro di conservare l’intelaiatura lignea in questione, anche se collocata a distanza minore di quella legale dal sovrastante balcone dell’appartamento di L.M.M.: sostengono che l’argomento era già stato prospettato nelle loro comparse di risposta e conclusionale in primo grado e che in appello esso era stato soltanto meglio precisato nei suoi termini giuridici.

La doglianza non è fondata.

Risulta dagli atti di causa – che questa Corte può direttamente prendere in esame, stante la natura di error in procedendo del vizio denunciato – che nel costituirsi davanti al Tribunale D.V. F. e D.S.R. avevano contrastato la domanda proposta nei loro confronti, sotto il profilo che qui interessa, contestando che l’attrice potesse pretendere la rimozione della struttura in questione, in quanto essa già era stata da loro realizzata, allorchè l’attrice aveva acquistato il suo appartamento, sicchè la legittimazione attiva competeva al costruttore-venditore di quella unità immobiliare, il quale però aveva accettato la situazione.

Risulta quindi evidente che non era stata delineata una fattispecie riconducibile alla previsione dell’art. 1062 cod. civ., il quale peraltro neppure era stato menzionato: in fatto, non era stato dedotto nè che i due immobili fossero inizialmente appartenuti a uno stesso proprietario, nè che la situazione derivante dalla costruzione del manufatto fosse stata posta in essere da costui (ma anzi si era riconosciuto che i convenuti stessi vi avevano dato luogo); in diritto, se ne era desunta l’appartenenza del diritto a ottenere la rimozione non all’attrice ma al suo dante causa, con una conclusione incompatibile con la tesi dell’esistenza di una servitù che di tale diritto fosse impeditiva.

Correttamente, quindi, con la sentenza impugnata si è ritenuto che l’eccezione di cui si tratta, in quanto formulata per la prima volta in appello, fosse inammissibile per il disposto dell’art. 345 cod. proc. civ., nel nuovo testo applicabile nella specie ratione temporis.

Disatteso pertanto il primo motivo di ricorso, perde rilievo e consistenza il secondo, nella parte in cui si sostiene che la Corte d’appello, se avesse affrontato la questione – alla quale invece non ha dato ingresso – della costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, avrebbe dovuto risolverla in senso positivo, riconoscendo l’insussistenza del diritto vantato da L.M. M., il quale in realtà non le era stato trasmesso dal suo dante causa.

Con lo stesso secondo motivo di ricorso D.V.F. e D. S.R. deducono che la Corte d’appello ha ingiustificatamente qualificato come costruzione, soggetta quindi al rispetto della distanza stabilita dall’art. 907 cod. civ., il semplice reticolato ligneo, aperto e destinato a essere ricoperto con tende soltanto nei mesi estivi, che era stato realizzato nel terrazzo sottostante al balcone dell’attrice.

Neppure questa censura può essere accolta. Si verte nel campo di accertamenti di fatto e apprezzamenti di merito, insindacabili in questa sede se non sotto il profilo dell’omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Da tali vizi la sentenza impugnata è immune, poichè il giudice di secondo grado ha dato adeguatamente conto, in maniera esauriente e logicamente coerente, delle ragioni della decisione sul punto, evidenziando la tipologia, le caratteristiche e le dimensioni della struttura in questione, che impediscono, alla luce della costante giurisprudenza di legittimità in materia, di assimilarla a quelle entità edilizie di ridotta e precaria consistenza, che sono esenti dall’osservanza delle distanze legali.

Il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti – in solido, stante il comune loro interesse nella causa – a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 1.500,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 1.500,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2011

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