Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19214 del 21/09/2011
Cassazione civile sez. II, 21/09/2011, (ud. 22/06/2011, dep. 21/09/2011), n.19214
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –
Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –
Dott. MATERA Lina – Consigliere –
Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 31284/2005 proposto da:
MEPA SAS DI PAVONI MORENA E C in persona del legale rappresentante
pro tempore P.IVA (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI Guido, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUPPI ALBERTO;
– ricorrente –
contro
GIRINI RENATO SAS DI QUAINI RENATO & C (OMISSIS) in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA G.B. VICO 1, presso lo studio dell’avvocato PROSPERI MANGILI
Lorenzo, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PREVIDI
ALBERTO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 569/2005 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,
depositata il 23/06/2005;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
22/06/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;
udito l’Avvocato ROMANELLI Guido, difensore del ricorrente che ha
chiesto accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato PROSPERI MANGILI Lorenzo, difensore del resistente
che ha chiesto il rigetto del ricorsO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 4916/2001 il Tribunale di Brescia, adito dalla s.a.s.
Mepa di Pavoni Morena & C., revocò il decreto ingiuntivo n. 1746/1998 emesso nei confronti dell’attrice, avente per oggetto il pagamento della somma di l. 42.041.425 alla s.a.s. Quaini Renato di Quaini geom. Renato & C, come corrispettivo di prestazioni consistite nell’esecuzione di opere edili.
Impugnata dalla soccombente, la decisione è stata riformata dalla Corte d’appello di Brescia, che con sentenza n. 569/2005 ha respinto l’opposizione avverso il provvedimento monitorio. A tale conclusione il giudice di secondo grado è pervenuto ritenendo tra l’altro – per quanto ancora rileva in questa sede – che fosse stato provato che i lavori in questione avevano formato oggetto di un contratto di appalto, concluso dalle parti quantomeno per facta concludentia e compiutamente eseguito dalla società Quaini.
La società Mepa ha proposto ricorso per cassazione, in base a otto motivi. La società Quaini si è costituita con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo, il secondo, il quarto, il quinto e il sesto dei motivi addotti a sostegno del ricorso, la società Mepa lamenta che la Corte d’appello ha dato corso a una prova testimoniale che non avrebbe potuto essere ammessa, in quanto vertente su circostanze che l’altra parte non aveva dedotto tempestivamente con la necessaria precisione, in particolare relativamente ai tempi, ai modi e alle persone della presunta conclusione del contratto di appalto in questione, il quale inoltre aveva un valore superiore al limite stabilito dall’art. 2721 cod. civ..
La doglianza va disattesa, poichè attiene a ipotesi di nullità che la ricorrente non ha dedotto, come era suo onere, di aver denunciato nell’immediatezza della loro verificazione o della relativa conoscenza, giacchè parla vagamente e genericamente di una propria opposizione “in ogni fase”. La questione – che non è stata affrontata nella sentenza impugnata e non è menzionata nelle conclusioni sottoposte al collegio – non può pertanto avere ingresso in questa sede: cfr. Cass. 18 luglio 2008 n. 19942, 20 maggio 2009 n. 11706.
Un’ulteriore ragione di nullità della stessa prova viene prospettata con l’ottavo motivo di ricorso: essere stata sentita come testimone la moglie in regime di comunione dei beni dell’amministratore della società Quaini, nonostante l’incapacità a deporre derivante dalla responsabilità gravante personalmente sul marito, in quanto accomandatario.
La tesi della ricorrente – che non è preclusa, a differenza di quella prima esaminata, in quanto ha formato oggetto di decisione nella sentenza impugnata – non può essere condivisa, poichè contrasta con la giurisprudenza di legittimità richiamata dalla Corte d’appello: Cass. 5 marzo 2004 n. 4532. Contrariamente a quanto afferma la società Mepa, il principio enunciato in tale precedente è estensibile al caso di specie, poichè si riferisce a tutte le attività imprenditoriali esercitate da un coniuge senza il concorso dell’altro, come appunto quella consistente nella partecipazione a una società di persone.
Con il terzo motivo di ricorso si sostiene che le testimonianze assunte non avevano comunque suffragato la tesi della società Quaini, sulla quale gravava l’onere di provare i fatti costitutivi del suo vantato credito.
Neppure questa censura può essere accolta, poichè attiene ad accertamenti di fatto e apprezzamenti di merito insindacabili in questa sede, se non sotto i profili dell’omissione, insufficienza e contraddittorieta della motivazione. Da tali vizi la sentenza impugnata è immune, poichè la Corte d’appello ha dato adeguatamente conto, in maniera esauriente e logicamente coerente, delle ragioni per le quali ha ritenuto che le risultanze istruttorie deponessero univocamente nel senso della conclusione tra le parti del contratto di cui si tratta e dell’adempimento, da parte della società Quaini, delle obbligazioni che ne derivavano. Le diverse e opposte valuta- zioni propugnate dalla ricorrente non possono costituire idonea ragione di una pronuncia di cassazione, stanti i limiti propri del giudizio di legittimità.
Nel contesto del terzo motivo di ricorso si accenna anche a una scrittura, da cui risulterebbe che l’incarico di eseguire i lavori in questione era stato conferito a un’impresa diversa dalla società Quaini, sicchè questa in realtà aveva assunto il ruolo di subappaltatrice. Ma in proposito la Corte d’appello ha rilevato che il documento non era presente in atti e questa constatazione darebbe luogo semmai un errore revocatorio – come è tipicamente quello che cade sulla produzione o non di un certo documento: cfr. Cass. 17 luglio 1997 n. 6556 – che avrebbe dovuto essere fatto valere con il mezzo di impugnazione apprestato dall’art. 395 cod. proc. civ..
Con il settimo motivo di ricorso la società Mepa si duole della omissione di pronuncia da cui afferma essere affetta la sentenza impugnata, per non avere la Corte d’appello provveduto sulla richiesta, reiterata anche in sede di precisazione delle conclusioni, di ammissione di prova testimoniale “contraria” a quella dedotta dall’altra parte.
Anche questa censura va disattesa, in quanto il giudice di secondo grado ha basato la propria decisione non tanto sulle deposizioni testimoniali assunte, quanto piuttosto su una circostanza non controversa tra le parti: la conoscenza, da parte dell’amministratrice della società Mepa, dei lavori che la società Quaini stava compiendo, dal che ha desunto che il contratto era stato concluso tra loro per facta concludentia: conclusione che costituisce una autonoma ratio decidendi e che non viene specificamente criticata nel ricorso, in cui si insiste nella contestazione di una stipulazione in forma esplicita del negozio.
Il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna della ricorrente a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 1.500,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 1.500,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 22 giugno 2011.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2011