Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19214 del 02/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 02/08/2017, (ud. 08/06/2017, dep.02/08/2017),  n. 19214

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28816/2010 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

P.R., rappresentato e difeso dall’Avv. Mauro Agliati, con

domicilio eletto in Roma, viale Bruno Buozzi, n. 59, presso lo

studio dell’Avv. Stefano Giorgio;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria, n. 96/10/09 depositata il 15 ottobre 2009;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 giugno

2017 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, con due mezzi, nei confronti di P.R. (che resiste con controricorso), avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Commissione tributaria regionale della Liguria ha respinto l’appello dell’Ufficio ritenendo illegittimo – conformemente alla decisione di primo grado – l’avviso di liquidazione Iva e irrogazione di sanzioni notificato al contribuente in data 23/9/2004.

Con tale atto l’Ufficio di Albenga, in relazione alla compravendita di fabbricato stipulata in data 18/6/1998 per la quale l’acquirente aveva fruito dell’aliquota Iva agevolata del 4% – prevista per le cessioni di case di abitazione non di lusso adibite a c.d. “prima casa” dalla Tabella A, parte 2, n. 21) allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in combinato disposto con la nota 2-bis all’art. 1 della Tariffa, parte 1, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (come modificati dal D.L. 22 maggio 1993, n. 155, art. 16, commi 1, lett. b, e comma 4, convertito con modificazioni dalla L. 19 luglio 1993, n. 243) -, aveva revocato detta agevolazione, ai sensi del comma 4 della citata nota 2-bis all’art. 1 della Tariffa, parte 1, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, avendo l’acquirente medesimo proceduto a rivendere l’immobile prima del decorso dei cinque anni previsti dalla legge, senza provvedere al riacquisto, entro il successivo anno, di altro immobile da adibire a prima casa.

In conseguenza di tale revoca l’Ufficio aveva liquidato la maggiore imposta pretesa nella misura pari alla differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata e aveva, altresì, irrogato la sanzione amministrativa pari al 30 per cento della differenza medesima (così facendo applicazione del nuovo testo del citato comma 4 della nota 2-bis all’art. 1 della Tariffa, parte 1, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, come modificato dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, dall’art. 41-bis, comma 5, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326).

I giudici di primo grado avevano accolto il ricorso del contribuente ritenendo tale provvedimento frutto della illegittima applicazione di una normativa entrata in vigore successivamente alla violazione in esame e manifestamente più sfavorevole al contribuente rispetto a quella vigente al momento della violazione.

I giudici d’appello, nel condividere le argomentazioni della decisione appellata, respingevano sia la tesi in via prioritaria sostenuta dall’amministrazione appellante circa la natura meramente interpretativa della novella, sia la domanda di liquidazione in base alla previgente normativa osservando che “la Commissione… (deve)… pronunciarsi sulla fondatezza o meno del ricorso nei confronti dell’avviso impugnato”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia violazione della nota 2bis all’art. 1 della Tariffa, parte 1 allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, come modificato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 41-bis, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. confermato l’annullamento dell’avviso di liquidazione d’imposta e irrogazione delle sanzioni, senza condannare il contribuente al versamento di alcuna integrazione d’imposta, nè al pagamento di alcuna sanzione, pur essendo pacifici i fatti che avevano determinato la decadenza dalle agevolazioni fiscali “prima casa”.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce inoltre, in relazione alla medesima doglianza, violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 1 e 2 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, assumendo che, a prescindere dalla natura innovativa o interpretativa della novella del 2003 (che ha modificato il comma 4 della nota 2-bis all’art. 1 della Tariffa, parte 1, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986) e, quindi, anche volendo affermare che al presente caso vada applicata ratione temporis la normativa antecedente, la C.T.R., quale giudice non solo dell’atto ma anche del rapporto tributario, avrebbe comunque dovuto rideterminare l’importo dovuto dal contribuente in conseguenza della incontestata decadenza dalle agevolazioni fiscali “prima casa”.

3. Entrambe le censure, congiuntamente esaminabili per la loro intima connessione, sono fondate.

Occorre muovere dal rilievo che il D.L. n. 269 del 2003, art. 41-bis, comma 5, (introdotto dalla Legge di conversione n. 326 del 2003 ed in vigore, pertanto, dal 26 novembre 2003), ha modificato il comma 4 della nota 2-bis all’art. 1 della Tariffa, parte 1, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, sostituendone il secondo periodo.

Nel testo precedente questo prevedeva che “se si tratta di cessioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, l’ufficio del registro presso cui sono stati registrati i relativi atti deve recuperare nei confronti degli acquirenti una penalità pari alla differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota aumentata del 30 per cento”.

Il nuovo testo prevede invece che “se si tratta di cessioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate presso cui sono stati registrati i relativi atti deve recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, nonchè irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30 per cento della differenza medesima”.

Con la nuova formulazione la “differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata” è dunque posta a carico del contribuente a titolo d’imposta e non, come invece previsto nel precedente testo, di “penalità” (la quale – come la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di precisare – pur essendo commisurata all’imposta evasa, maggiorata del 30%, non ha natura d’imposta bensì di sanzione: Cass. 23 marzo 2007, n. 7163); inoltre la nuova norma indica nell’Agenzia delle entrate il soggetto competente al recupero.

Tale nuovo assetto si spiega – oltre che con l’esigenza di tener conto del subingresso dell’Agenzia delle entrate, a decorrere dal 1 gennaio 2001 (secondo il disposto del D.M. 28 dicembre 2000, art. 1) in tutti i rapporti giuridici, i poteri e le competenze in materia tributaria facenti capo al Ministero dell’economia e delle finanze (D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57, comma 1), ivi compresa la gestione dei rapporti giuridici tributari pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale (con subentro dell’Agenzia fiscale ex lege, a titolo di speciale successione particolare: sul punto, ex plurimis, Cass. n. 2608 del 2007; Sez. U, n. 3118 del 2006) – anche con l’avvertita esigenza di equiparare, sotto il profilo delle conseguenze della revoca dell’agevolazione, gli atti soggetti a Iva e quelli soggetti a imposta proporzionale di registro.

Nella precedente formulazione, infatti, proprio la scelta della descritta modalità applicativa (sanzione irrogata, successivamente all’atto, dallo stesso Ufficio del Registro) giustificava la sottrazione delle conseguenze della revoca dell’agevolazione Iva al meccanismo tipico di tale imposta: non potendo l’Ufficio del Registro procedere al recupero dell’Iva, il maggior tributo veniva nominalmente richiesto a titolo di penalità. Tale escamotage aveva però finito per condurre ad effetti paradossali: la possibilità riconosciuta dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16 di definizione agevolata della controversia mediante pagamento, entro sessanta giorni dalla notifica dell’atto, di un importo pari ad un quarto della sanzione indicata, poneva infatti l’acquirente decaduto dalle agevolazioni nella condizione di conseguire ingiustificati vantaggi fiscali, con evidente disparità di trattamento, peraltro, con gli atti soggetti a imposta proporzionale di registro (ove, oltre all’irrogazione della sanzione, si sanciva il recupero delle “imposte (…) nella misura ordinaria”). Da qui l’esigenza dell’intervento riformatore.

In tale prospettiva, non può essere condivisa la tesi accolta dalla Commissione regionale secondo cui la descritta modifica normativa determinerebbe una cesura nel trattamento applicabile in caso di revoca dell’agevolazione fiscale, con l’effetto paradossale – per le fattispecie di diritto intertemporale – di ridurre ulteriormente e, anzi, azzerare, le conseguenze che ne derivano a carico dell’acquirente, così determinando per quest’ultimo un vantaggio – ingiustificato e discriminatorio – ancora maggiore rispetto a quello che si voleva invece eliminare.

Esigenze dunque di interpretazione sistematica, legata alla effettiva ratio dell’intervento riformatore, lasciano all’opposto emergere una evidente continuità normativa di fondo, rappresentata dalla persistente e mai mutata volontà del legislatore di far conseguire, alla revoca dell’agevolazione, l’effetto logico suo proprio di rendere la cessione soggetta all’imposizione ordinaria (oltre che la sanzione del 30% commisurata alla differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata).

Per converso le stesse esigenze non possono che ricondurre gli effetti normativi dei mutati elementi testuali ad una mera ridefinizione della imputazione formale delle conseguenze che si volevano – e continuano a volersi – far derivare dalla revoca dell’agevolazione.

Deve pertanto ritenersi che, nella fattispecie, l’Ufficio abbia correttamente operato conformandosi alla esposta lettura del quadro normativo di riferimento; nè violazione alcuna può ravvisarsi del principio del favor rei (lex mitior) sancito dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, comma 3, – che è criterio rilevante ai soli fini sanzionatori – avendo esso provveduto a liquidare la differenza d’imposta e ad applicare la sanzione del 30% (alla stregua della normativa sopravvenuta) piuttosto che ad applicare una sanzione pari alla differenza d’imposta maggiorata del 30% (alla stregua della normativa vigente ratione temporis).

4. Il ricorso merita pertanto accoglimento; la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo.

Avuto tuttavia riguardo alla peculiarità della questione trattata, sulla quale non si rinvengono precedenti, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese tra le parti.

PQM

 

accoglie il ricorso; cassa la sentenza; decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo. Compensa integralmente le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2017

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