Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19212 del 21/09/2011

Cassazione civile sez. II, 21/09/2011, (ud. 16/06/2011, dep. 21/09/2011), n.19212

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32028-2005 proposto da:

B.F. (OMISSIS) deceduto nelle more, S.

C. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

FLAMINIA 322, presso lo studio dell’avvocato MIRIELLO ANTONIO,

rappresentati e difesi dall’avvocato PITARI PIETRO;

– ricorrenti –

contro

B.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

Roma VIA ROVERETO 7 presso lo studio dell’avvocato DI ROSA VALERIO

ANTIMO, rappresentata e difesa dall’avvocato D’AVINO FRANCESCO;

– controricorrenti –

e contro

B.A., BO.CA., B.B.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 509/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 08/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2011 dal Consigliere Dott. PASQUALE DTASCOLA;

udito l’Avvocato Pietro PITARI, difensore dei ricorrenti che ha

chiesto il rinvio come da istanza depositata in cancelleria, in

subordine insiste sull’accoglimento;

udito l’Avvocato D’AVINO Francesco, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1) Nei due ultimi anni prima della morte, avvenuta a Steccato di Cutro, in Calabria, nel maggio 1987, B.D. si spogliava di tutto il patrimonio immobiliare, alienando i propri beni con 18 atti di compravendita: 1 stipulato con il figlio F. e la nuora S.C., con lui conviventi e altri 17 con altrettanti acquirenti diversi.

Nel 1998 quattro dei sei figli del de cuius, residenti in (OMISSIS) con la madre divorziata, agivano contro il fratello F. e S.C. per far accertare: a) la simulazione della compravendita, dissimulante donazione in loro favore; b) l’avvenuto conseguimento dei ricavati delle vendite da parte dei convenuti; c) la propria qualità di legittimari e il diritto a conseguire ciascuno un nono dell’eredità.

Il tribunale rigettava la domanda relativa alle vendite a terzi;

accoglieva quella di simulazione e rigettava la domanda riconvenzionale con la quale i coniugi B. avevano chiesto che fosse negata la qualità di figlia legittima di B.C..

La Corte di appello negava che, accogliendo una domanda di riduzione mai proposta, il tribunale avesse pronunciato ultrapetita. Rigettava l’appello.

B.F. e S.C. il 22 novembre 2005 hanno interposto ricorso per cassazione, resistito dalla sola B. C. con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2) Preliminarmente va disattesa l’istanza di interruzione del giudizio datata 23 maggio 2001 con la quale la difesa di parte ricorrente ha comunicato l’avvenuto decesso di B.F. e la sottoscrizione da parte di due degli intimati di “rinunziare all’azione intrapresa”.

Giova ricordare che il decesso della parte non dà luogo all’interruzione del giudizio di cassazione (Cass. 21133/07), retto da impulso officioso. Inoltre la irritualità della rinuncia effettuata soltanto da alcuni intimati non costituiti in giudizio, con comunicazione informale alla controparte, impedisce di trarre conseguenza alcuna a loro carico sul piano processuale. Non consta infatti neppure la formale rinuncia al ricorso da parte dei signori B. – S. nei confronti dei due intimati B.E. e A..

3) Il primo motivo lamenta: a) violazione dell’art. 112 c.p.c in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e vizi di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5). I ricorrenti sostengono che gli attori non avevano proposto azione di riduzione, ma mera petitio hereditatis per il recupero nell’asse ereditario dei beni alienati dal de cuius.

Entrambi i profili della censura sono inammissibili. Quanto alla ipotizzata ultrapetizione, va ricordato che in sede di legittimità occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su una domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa: solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un “error in procedendo”, in relazione al quale la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini delle pronuncia richiestale;

nel caso in cui venga invece in considerazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (Cass. 20373/08; 5876/11).

Nel caso di specie il giudice di merito non ha omesso l’indagine interpretativa della domanda ed ha anzi motivatamente espresso il suo convincimento in ordine all’esito dell’indagine, giacchè la questione relativa alla proposizione dell’azione di riduzione era oggetto dell’unico motivo di gravame (sentenza, pag. 10). Quanto al profilo di censura per vizio di motivazione su questo capo della decisione, ne va rilevata la inammissibilità. La critica alla sentenza è infatti affidata a brevi, apodittiche affermazioni e non ad un’analisi completa (anche sotto il profilo dell’autosufficienza del ricorso) dell’atto di citazione e delle motivate argomentazioni rese dalla Corte d’appello.

4) L’inammissibilità del primo motivo comporta che il secondo risulta assorbito. Esso verte sulla asserita violazione degli artt. 1417 e 2722 c.c., causata dalla ammissione di prove testimoniali conseguente alla qualificazione della domanda quale azione di riduzione. Detta qualificazione resta confermata dalla decisione qui resa sul primo motivo.

5) L’ultima censura espone “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c.”.

La criptica esposizione sembra dedurre che in sede di appello gli odierni ricorrenti avessero lamentato non solo ultrapetizione relativa all’azione di riduzione, ma anche l’insussistenza dell’asserita simulazione, desumibile da prove testimoniali acquisite in istruttoria relative alla piena capacità di intendere e volere del de cuius.

Il motivo, così asfitticamente formulato, è inammissibile. Non solo infatti non vengono riportati i contenuti dell’atto, ma non vengono neppure illustrate le circostanze di fatto indispensabili per comprendere come fosse stata articolato il motivo di appello e se esso fosse quindi ammissibile, decisivo e ritualmente formulato.

Non è dato comprendere, in assenza di congrua esposizione dei fatti di causa, in qual modo la capacità di intendere e volere del venditore alienante potesse inficiare la declaratoria di simulazione di un atto di vendita (profilo rilevato anche in controricorso), ditalchè sotto ogni aspetto il motivo non risulta scrutinabile, in sede di legittimità, al fine di pervenire ad una pronuncia che verta non su un’asserita astratta violazione processuale, ma su questione rilevante e adeguatamente sottoposta alla Corte.

Vale qui ribadire che la parte che impugna una sentenza con ricorso per cassazione per omessa pronuncia su una domanda o eccezione ha l’onere, per il principio di autosufficienza del ricorso, a pena di inammissibilità per genericità’ del motivo, di specificare non solo in quale atto difensivo o verbale di udienza l’abbia formulata, per consentire al giudice di verificarne la ritualità e tempestività, ma anche quali ragioni abbia specificatamente formulate a sostegno di essa. Ciò in quanto, pur configurando la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. un “error in procedendo”, per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il diretto esame degli atti processuali è sempre condizionato ad un apprezzamento preliminare della decisività della questione (Cass 6055/03; 7835/06).

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese di lite liquidate in Euro 5.000 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile tenuta, il 16 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2011

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