Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19212 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 17/07/2019, (ud. 30/05/2019, dep. 17/07/2019), n.19212

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. DI NAPOLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 25734 del ruolo generale dell’anno 2017,

proposto da:

G.A. Operations s.p.a. – già Simint s.p.a. – in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura

speciale a margine del ricorso, dall’avv.to Alessandro Fruscione,

elettivamente domiciliata presso lo studio tributario Santacroce

& Associati, in Roma Via Giambattista Vico n. 22;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Emilia – Romagna n. 1111/14/2017, depositata il 27

marzo 2017, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30 maggio 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 1111/14/2017, depositata il 27 marzo 2017, la Commissione tributaria regionale della Emilia – Romagna, (hinc: “CTR”), rigettava l’appello proposto da G.A. Operations s.p.a. – già Simint s.p.a. – in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 37/04/2013 della Commissione tributaria provinciale di Reggio – Emilia (hinc: “CTP”) che aveva rigettato il ricorso della suddetta società avverso gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) del 2011 con il quale l’Ufficio delle dogane di Modena aveva rettificato il valore doganale della merce – riproducente il logo del marchio “(OMISSIS)” – importata dalla medesima società, nel 2008, da fabbricanti extracomunitari, includendovi, ai sensi del Reg. CEE 12 ottobre 1992, n. 2913, art. 32, comma 1, lett. c) e del Reg. CEE 2 luglio 1993, n. 2454, art. 157, par. 2, i diritti di licenza che la G.A. Operations s.p.a. corrispondeva alla licenziante (OMISSIS) s.p.a., titolare del marchio;

– in punto di diritto, la CTR osservava che: 1) gli avvisi di accertamento erano sufficientemente motivati essendo chiaro l’iter logico – giuridico seguito dall’Agenzia per l’adozione degli atti ed essendo stati gli esiti della previa verifica dell’Ufficio delle dogane di Modena richiamati nei singoli avvisi di accertamento; 2) dall’art. 4 (relativo alla previa necessaria approvazione da parte del licenziante della tipologia e del disegno del prodotto, delle materie prime, dei semilavorati e dei relativi fornitori) dall’art. 8 (relativo al diritto di accesso del licenziatario – rectius: licenziante – agli stabilimenti del produttore allo scopo del controllo di qualità nonchè sull’adeguatezza della programmazione della produzione e degli ordini di acquisto di materiali) e dall’art. 19 (relativo alla possibile commissione da parte del licenziatario della fabbricazione dei prodotti a terzi, solo previa autorizzazione scritta del licenziante, sempre revocabile, e alla necessaria conformità dell’operato dei terzi produttori alle previsioni contrattuali tra il licenziante e il licenziatario) degli accordi contrattuali tra la licenziante (OMISSIS) s.p.a. e la licenziataria G.A. Operations s.p.a. – già Simint s.r.l.- si evinceva trattarsi di un controllo della licenziante non già di mera qualità ma, bensì, sul processo produttivo, con conseguente sussistenza dei presupposti, ex art. 29, par. 1, art. 32, par. 1, lett. c), CDC e art. 157, par. 2, artt. 159 e 160 DAC, per includere le royalties nel valore doganale delle merci importate; 3) il metodo di rideterminazione del valore dei beni importati, con inclusione delle royalties, adottato dall’Agenzia delle dogane era corretto in quanto effettuato sulla base dei “prospetti riepilogativi del fatturato” forniti dalla stessa società contribuente; 4) gli interessi di mora decorrevano non già dal momento dell’accertamento della violazione ma dall’insorgenza dell’obbligo tributario e, dunque, ex art. 86 TULD – quale normativa nazionale non in contrasto con quella comunitaria – dal momento in cui il credito era divenuto esigibile ovvero dalla “dichiarazione di importazione definitiva”;

– avverso la sentenza della CTR, G.A. Operations s.p.a. propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle dogane;

– la società contribuente ha depositato memoria illustrativa ex art. 380 bis 1 c.p.c. insistendo per l’accoglimento del ricorso;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e dell’art. 380 – bis 1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 – bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del Reg. CEE n. 2913 del 1992 (CDC), art. 32 e del Reg. CEE n. 2454 del 1993 (DAC), artt. 143, 157, 159, 160, per avere la CTR ritenuto erroneamente sussistenti i presupposti di legge per l’inclusione delle royalties nel valore doganale delle merci importate, ancorchè, nella fattispecie, non fosse ravvisabile quel “legame” tra licenziante e terzo produttore, necessario, in base alla normativa unionale, per la configurazione del pagamento dei diritti di licenza come “condizione di vendita” ai sensi degli artt. 157 e 160 DAC;

– il primo motivo è infondato;

– va premesso che la nozione coinvolta è quella del valore in dogana delle merci importate, che, di regola, è il valore di transazione, ossia il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale dell’Unione, fatte salve le rettifiche da effettuare conformemente all’art. 32 di tale codice (Corte giust. 12 dicembre 2013, Christodoulou e a., causa C-116/12, punti 38, 44 e 50, nonchè 21 gennaio 2016, Stretinskis, causa C-430/14, punto 15). Esso deve comunque riflettere il valore economico reale della merce importata e, quindi, considerarne tutti i fattori economicamente rilevanti (in termini, da ultimo, Corte giust. 20 dicembre 2017, causa C-529/16, Hamamatsu). Anche i diritti di licenza, allora, sono destinati ad incidere sulla determinazione del valore doganale qualora i corrispondenti beni immateriali siano incorporati nella merce, così esprimendone o contribuendo ad esprimerne il valore economico. Sicchè, qualora il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate non ne includa – come nella specie – il relativo importo, l’art. 32 del codice doganale comunitario (Reg. n. 2913 del 1992) stabilisce che al prezzo si addizionano “…c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare…”;

– il Regolamento n. 2454 del 1993, contenente disposizioni di attuazione del codice doganale comunitario, specifica questa regola. In generale, esso stabilisce che “…quando si determina il valore in dogana di merci importate in conformità delle disposizioni dell’art. 29 del codice (doganale) si deve aggiungere un corrispettivo o un diritto di licenza al prezzo effettivamente pagato o pagabile soltanto se tale pagamento: – si riferisce alle merci oggetto della valutazione, e

– costituisce una condizione di vendita delle merci in causa” (art. 157, paragrafo 2). Occorre dunque che ricorrano tre condizioni cumulative:

– in primo luogo, che i corrispettivi o i diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare;

– in secondo luogo, che essi si riferiscano alle merci da valutare e, – in terzo luogo, che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare. In particolare, con riguardo al caso in cui il diritto di licenza si riferisca a un marchio di fabbrica, ossia al diritto d’importare e di commercializzare prodotti riportanti marchi commerciali, il regolamento di attuazione specifica che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare “soltanto se:

– il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione, – le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza, e – l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore (art. 159). Sempre in particolare, per il caso in cui l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, il regolamento prescrive che “…le condizioni previste dall’art. 157, par. 2, si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento” (art. 160). La disciplina generale fissata dal par. 2 dell’art. 157, dunque, trova specificazione in quelle particolari, rispettivamente concernenti il caso in cui il diritto di licenza riguardi un marchio di fabbrica e quello in cui il corrispettivo del diritto debba essere versato ad un terzo. E le particolarità finiscono col contrassegnare, più di ogni altra, l’identificazione delle “condizioni di vendita delle merci in causa”, che devono rispondere ai presupposti rispettivamente richiesti – dinanzi richiamati – dagli artt. 159 e 160, in relazione alle ipotesi da essi contemplate;

– quanto alla configurabilità del versamento dei diritti di licenza come condizione di vendita della merce nè l’art. 32, par. 1, lett. c), del codice doganale nè il Reg. n. 2454 del 1993, art. 157, par. 2, precisano cosa si debba intendere per “condizione di vendita” delle merci da valutare. A riempire la lacuna soccorre l’interpretazione che della disciplina ha fornito la Corte di giustizia con la sentenza 9 marzo 2017, causa C-173/15, GE Healthcare GmbH c. Hauptzollamt Diisseldorf;

– nella detta sentenza, la Corte di giustizia, ha stabilito, facendo leva sul punto 12 del commento n. 3 del comitato del codice doganale (sezione del valore in dogana) relativo all’incidenza dei corrispettivi e dei diritti di licenza sul valore in dogana, che l’identificazione della condizione di vendita si traduce nella verifica se il venditore sia disposto, o no, a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo del diritto di licenza. In generale, dunque, il pagamento in questione è una “condizione di vendita” delle merci da valutare qualora, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata – e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere;

– occorre cioè, come ha chiarito la Corte di giustizia (in causa C173/15, punto 68), “verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente”;

– sul punto, l’allegato 23 delle DAC – Note interpretative in materia di valore in dogana all’art. 143, par. 1, lett. e) (a norma del quale due o più persone sono considerate legate se l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra), stabilisce che “si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda”. Il controllo è dunque inteso in un’accezione ampia: da un lato, sul piano della fattispecie, perchè è assunto per la sua rilevanza anche di fatto, dall’altro, su quello degli effetti, perchè ci si contenta dell’effetto di “orientamento” del soggetto controllato. Quest’accezione ampia e necessariamente casistica, d’altronde, ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene;

– utili indicatori possono essere tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento (OMISSIS), nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, par. 1, lett. c), del codice doganale (ormai parte dell’acquis communautaire, ossia del diritto materiale dell’Unione, con valore di soft law): queste indicazioni, ha precisato la Corte di giustizia in causa C-173/15, punto 45, “sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sè considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice”. Ebbene, il documento in questione annovera, tra gli elementi utili per determinare la presenza di un controllo, tra gli altri, i seguenti: – il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; – il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); – il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; – il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; – il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; – il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc. – il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; – il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; – il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; – le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); – le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante;

– in materia, questa Corte (nn. 8473 del 2018; 25438 del 2018; 25437 del 2018; 24996 del 2018) ha affermato il condivisibile principio di diritto: “In tema di diritti doganali, ai fini della determinazione del valore in dogana di prodotti che siano stati fabbricati in base a modelli e con marchi oggetto di contratto di licenza e che siano importati dalla licenziataria, il corrispettivo dei diritti di licenza va aggiunto al valore di transazione, a norma del Reg. CEE del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, art. 32, come attuato dagli artt. 157, 159 e 160 del regolamento CEE della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi dei diritti di licenza”;

-nella specie, la CTR ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, avendo desunto – con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità dall’analisi delle singole clausole dei contratti di licenza intercorsi tra la licenziataria G.A. Operations e la licenziante (OMISSIS) s.p.a. la sussistenza di un controllo sulla produzione da parte di quest’ultima (stante, ex art. 4, la necessaria previa approvazione da parte della licenziante della tipologia e del disegno del prodotto da licenziare, delle materie prime, dei semilavorati e dei relativi fornitori; ex art. 8, il diritto di accesso della licenziante agli stabilimenti del produttore allo scopo del controllo di qualità nonchè di quello sull’adeguatezza della programmazione della produzione etc.; ex art. 19, la possibile commissione da parte del licenziatario della fabbricazione dei prodotti a terzi, previa autorizzazione scritta del licenziante, sempre revocabile, e la necessaria conformità dell’operato dei terzi produttori alle previsioni contrattuali tra il licenziante e il licenziatario) e, dunque, dei presupposti di legge per la configurabilità del versamento delle royalties come “condizione di vendita” con conseguente necessaria inclusione delle stesse nel valore doganale delle merci importate;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 1362 c.c. (comune intenzione delle parti), dell’art. 1363 c.c. (interpretazione complessiva delle clausole), dell’art. 1371 c.c.(criterio della minore gravosità), dell’art. 1372 c.c. (efficacia soggettiva del contratto), per avere la CTR, in spregio ai canoni interpretativi previsti dal codice civile, erroneamente desunto l’esistenza di un potere di controllo della licenziante sul terzo produttore in base all’esame dei contratti di licenza conclusi tra la licenziante e la licenziataria ai quali non risultavano avere mai aderito i terzi produttori; con ciò, senza esaminare i contratti tra licenziataria e produttori nonostante la presunta sussistenza del versamento dei diritti di licenza come “condizione di vendita” dovesse trovare sede proprio in tali accordi;

– l’infondatezza del primo motivo, per le ragioni sopra enunciate, rende inutile la trattazione del secondo, con assorbimento dello stesso;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione del divieto di “motivazione postuma” dell’atto impugnato (art. 112 c.p.c.), per avere la CTR, nel porre a base della sua decisione anche la clausola n. 4) degli Accordi di licenza- che era stata richiamata dall’Agenzia solo nelle controdeduzioni in sede di gravame- sostanzialmente ammesso la possibilità di una “integrazione postuma” della motivazione dell’accertamento, consentendo l’introduzione nel processo tributario di elementi ulteriori rispetto a quelli cristallizzati negli atti impugnati in primo grado;

– il motivo è infondato;

– premesso che “In tema di contenzioso tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2, riguarda l’eccezione in senso tecnico, ossia lo strumento processuale con cui il contribuente, in qualità di convenuto in senso sostanziale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale, ma non limita la possibilità dell’Amministrazione di difendersi dalle contestazioni già dedotte in giudizio, perchè le difese, le argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la fondatezza di un’eccezione non costituiscono, a loro volta, eccezione in senso tecnico” (Cass. n. 14486 del 2013; Cass. n. 8316 del 2012), nella specie, stante la contestazione di cui al p.v. del 27/7/2011- posta a fondamento degli avvisi di rettifica – della emersione dai contratti di licenza, di un controllo indiretto da parte della licenziante (OMISSIS) s.p.a. sul produttore, con conseguente configurabilità del pagamento dei diritti di licenza come “condizione di vendita”, l’avere la CTR fondato il proprio giudizio circa la sussistenza dei presupposti di legge per l’inclusione delle royalties nel valore in dogana della merce importata, anche sull’art. 4 del contratto di licenza- per quanto invocato dall’Amministrazione solo in sede di controdeduzioni in appello – non concreta un allargamento del thema decidendum nè tantomeno una c.d. “integrazione postuma” della motivazione degli avvisi impugnati;

– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 29, 30 e dell’art. 31, part. 2, lett. g) e dell’art. 32 CDC, per avere la CTR ritenuto non erroneo il metodo di ricalcolo del valore doganale delle merci importate adottato dall’Agenzia, ancorchè quest’ultima avesse fatto ricorso a valori fittizi, applicando un coefficiente di ricarico (mark up medio), desunto dal rapporto tra il valore delle importazioni e il totale delle royalties corrisposte nel periodo di interesse, con ciò senza tenere conto nella base di calcolo dei prezzi effettivamente pagati per le merci importate e senza escludere dalla base imponibile i costi di vendita e quelli (ad es. per distribuzione, stoccaggio etc.) sorti successivamente e indipendentemente dall’importazione delle merci;

– il motivo è infondato;

– la Corte di giustizia (con sentenza 9 marzo 2017, causa C-173/15, GE Healthcare GmbH c. Hauptzollamt DQsseldorf) ha stabilito che l’art. 32, par. 1, lett. c), del codice doganale non prevede che l’importo dei corrispettivi o dei diritti di licenza sia determinato al momento della conclusione del contratto di licenza o al momento dell’insorgenza dell’obbligazione doganale, affinchè i corrispettivi dei diritti di licenza siano considerati relativi alle merci da valutare. Difatti, il Reg. n. 2454 del 1993, art. 161, fissa sì la presunzione relativa che il pagamento del corrispettivo o diritto di licenza si riferisca alle merci oggetto di valutazione quando il metodo di calcolo di esso si basa sul prezzo delle merci importate; ma aggiunge che “Tuttavia, il pagamento del corrispettivo o del diritto di licenza, può riferirsi alle merci oggetto della valutazione quando l’ammontare di tale corrispettivo o diritto di licenza venga calcolato senza tener conto del prezzo delle merci importate” (in tal senso, Cass. 8473 del 2018);

– ininfluente è, allora, l’affermazione del giudice d’appello che la determinazione delle royalties fosse avvenuta sulla base dei “prospetti riepilogativi del fatturato” trasmessi dalla società contribuente. D’altronde, in una situazione simile, in cui “…l’importo dei corrispettivi o dei diritti di licenza dipende dalla percentuale del volume d’affari generato con la vendita a terzi delle merci importate in base al contratto di licenza” (punto 49 della sentenza in causa C-173/15), la Corte di giustizia ha appunto stabilito che il versamento di tali corrispettivi o diritti “si riferisce” alle merci da valutare; le modalità di calcolo delle royalties, infatti, non incidono sulla necessità della loro inclusione nel valore doganale, come ha successivamente esplicitato il paragrafo 1, secondo nucleo normativo, del Reg. di esecuzione n. 2015/2447/UE, art. 136, a norma del quale “Il metodo di calcolo dell’importo dei corrispettivi o dei diritti di licenza non è determinante”;

– con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 232 e 214 CDC e dell’art. 519 DAC nonchè del D.P.R. n. 43 del 1973 (TULD), art. 86, per avere la CTR erroneamente fatto decorrere gli interessi moratori dalla data della dichiarazione doganale e non già – conformemente al diritto unionale e alla giurisprudenza della Corte di giustizia nella sentenza del 31 marzo 2011, nella causa C- 546/09, Aurubis Balgaria e della Corte di cassazione nella sentenza n. 2073/2017 – da quella in cui scade il termine di pagamento dell’obbligazione contabilizzata a posteriori;

– il motivo va accolto;

– in base al condivisibile principio già affermato da questa Corte, nella sentenza n. 2073 del 2017 “In materia di dazi all’importazione, come chiarito dalla Corte di giustizia nella sentenza del 31 marzo 2011, in C-546/09, gli interessi di mora relativi all’importo dei dazi doganali che devono ancora essere percepiti possono essere riscossi, ai sensi del Reg. CEE n. 2913 del 1992, art. 232, come modificato dal Reg. CE della Commissione n. 214 del 2007, solo per il periodo successivo alla scadenza del termine di pagamento, sicchè non possono essere addebitati al contribuente interessi compensativi in relazione al periodo intercorso tra il momento dell’originaria dichiarazione doganale e quello della contabilizzazione “a posteriori” di tale obbligazione”;

– al riguardo, la Corte di giustizia, nella sentenza del 18 gennaio 2017, C365/15 Wortmann KG Internationale Schuhproduktionen, ha ribadito che: “come emerge dalla sentenza del 31 marzo 2011, Aurubis Balgaria (C-546/09, EU:C:2011:199, punti da 26 a 34), qualora, in seguito a un nuovo calcolo dei dazi doganali sulla base di informazioni complementari, rimanga un determinato importo di tali dazi da versare, gli interessi di mora relativi a tale importo possono essere percepiti, ai sensi dell’art. 232 del codice doganale, par. 1, lett. b), solo per il periodo successivo allo scadere del termine di pagamento di tale importo” (par. 30);

– pertanto, alla luce del diritto unionale vigente ratione temporis, come interpretato dalla Corte di giustizia, nel caso di contabilizzazione a posteriori dell’obbligazione doganale, la “data in cui il credito è divenuto esigibile”, quale momento di decorrenza, ex art. 86 TULD, degli interessi moratori coincide con la scadenza del termine di pagamento dell’importo relativo ai maggiori dazi da versare;

– ne consegue l’enunciazione del seguente principio di diritto: “Ai sensi del D.P.R. n. 43 del 1973 (TULD), art. 86 – interpretato in armonia con il Reg. del Consiglio del 12 ottobre 1992, n. 2913 (CDC), art. 232, n. 1, lett. b) e con la giurisprudenza della Corte di giustizia di cui alle sentenze del 31 marzo 2011, in C-546/09 e del 18 gennaio 2017, C-365/15 (par. 30) – la “data in cui il credito è divenuto esigibile”, quale momento di decorrenza, degli interessi moratori coincide, nell’ipotesi di contabilizzazione a posteriori dell’obbligazione doganale, con la scadenza del termine di pagamento dell’importo relativo ai maggiori dazi da versare “;

– nella specie, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi, per avere ritenuto che, nell’ipotesi di contabilizzazione a posteriori dell’obbligazione doganale, “gli interessi di mora decorrono dal sorgere dell’obbligo tributario” e dunque “dalla data in cui credito è divenuto esigibile da individuarsi con la dichiarazione di importazione definitiva”;

– con il sesto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per avere la CTR ritenuto erroneamente motivati gli avvisi di accertamento impugnati, ancorchè ai sensi dell’art. 12, comma 7, cit. “dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori”;

– il motivo è infondato;

– deve al riguardo ribadirsi che l’art. 12 del c.d. “statuto dei diritti del contribuente” non è applicabile al contraddittorio doganale, operando in merito alla rettifica degli accertamenti doganali il diverso jus speciale di cui al citato art. 11 (ex plurimis: Cass. sez. 5, 01/10/2018, n. 23669; Cass. sez. 6-5, 23/05/2018, n. 12832, Rv. 648523-01, in motivazione, oltre che, tra le tante, Cass. sez. 5, 20/07/2014, n. 15032, Rv. 631845-01, e Cass. sez. 5, 05/04/2013, n. 8399, Rv. 626110-01), che anche nella versione ante novella 2012 (D.I. 24 gennaio 2012 n. 1 conv., con modif., dalla L. 24 marzo 2012, n. 27), è stato ha promosso dalla giurisprudenza unionale da ultimo con la sentenza del 20 dicembre 2017, causa C-276/16, Preqù/Italia;

– se, dunque, ai sensi dell’art. 11, comma 4bis come introdotto dal legislatore con la novella del 2012 (a decorrere dal 24 gennaio 2012): “Nel rispetto del principio di cooperazione stabilito dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, dopo la notifica all’operatore interessato, qualora si tratti di revisione eseguita in ufficio, o nel caso di accessi – ispezioni – verifiche, dopo il rilascio al medesimo della copia del verbale delle operazioni compiute, nel quale devono essere indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche posti a base delle irregolarità, delle inesattezze, o degli errori relativi agli elementi dell’accertamento riscontrati nel corso del controllo, l’operatore interessato può comunicare osservazioni e richieste, nel termine di 30 giorni decorrenti dalla data di consegna o di avvenuta ricezione del verbale, che sono valutate dall’Ufficio doganale prima della notifica dell’avviso di cui al successivo comma 5”, ai sensi del cit. art. 11, commi 5, 7 ed 8, nel testo, ratione temporis applicabile, anteriore rispetto alla citata novella di cui al D.I. n. 1 del 2012, quando dalla revisione, eseguita sia d’ufficio sia su istanza di parte, emergono inesattezze, omissioni, o errori relativi agli elementi presi a base dell’accertamento, “l’ufficio procede alla relativa rettifica e ne dà comunicazione all’operatore interessato, notificando apposito avviso” di rettifica motivato. Entro trenta giorni dalla data della notifica dell’avviso, l’operatore può contestare la rettifica e in tal caso è redatto apposito verbale dall’Ufficio doganale “ai fini della eventuale instaurazione dei procedimenti amministrativi per la risoluzione delle controversie previsti dall’art. 66 ss. del TU delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43”;

– sotto il profilo della sufficienza motivazionale degli atti impositivi in materia doganale, ai sensi dell’art. 11 cit., comma 5 – bis “La motivazione dell’atto deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale ai fini della difesa. L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la motivazione di cui al presente comma”;

– nella specie, la CTR si è attenuta ai suddetti principi in materia avendo ritenuto – sulla base di un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità – sufficientemente motivati gli atti impostivi in questione, essendo chiaro l’iter logico – giuridico seguito dall’Agenzia per l’adozione degli avvisi medesimi ed, essendo stati richiamati, nei singoli atti, gli esiti della previa verifica dell’Ufficio delle dogane di Modena;

– in conclusione, va accolto il quinto motivo; assorbito il secondo; respinti i restanti; con cassazione della sentenza impugnata – quanto al motivo accolto – e decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, con accoglimento sul punto del ricorso originario proposto dalla società contribuente;

– si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese dei gradi di merito e in ragione del parziale accoglimento del ricorso solo per un motivo, si compensano integramente tra le parti anche quelle del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte: accoglie il quinto motivo di ricorso; assorbe il secondo; respinge i restanti; cassa la sentenza impugnata – in relazione al motivo accolto – e decidendo nel merito, accoglie sul punto il ricorso originario proposto dalla società contribuente; compensa integralmente le spese processuali dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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